Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 29-04-2011, n. 16723

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 9 giugno 2010, la Corte d’Appello di Catania dichiarava inammissibile la richiesta di ricusazione ex art. 37 c.p.p., formulata da A.A., dei consiglieri della Prima Sezione Penale della medesima Corte.

La ricusazione era fondata sull’affermazione che il Collegio ricusato avrebbe indicato in un proprio provvedimento "norme inesistenti", manifestando così la "volontà di condannare" e veniva rigettata sul presupposto della tassatività dei casi in cui la richiesta può essere formulata e tra i quali non rientrava quello prospettato dall’istante.

Avverso tale decisione l’ A. proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione, rilevando come la Corte territoriale, pur avendo ammesso implicitamente la presenza di errori da parte dei componenti del collegio ricusato, non aveva tenuto conto del fatto che, in realtà, si trattava di "vere e proprie invenzioni di norme", avendo i giudici ricusati applicato una disposizione, l’art. 303 c.p.p., comma 2, dichiarata incostituzionale e ciò al fine evidente di impedire la sua scarcerazione.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge, avendo i giudici deciso de plano sulla ricusazione senza dargli la possibilità di interloquire in un regolare contraddittorio.

Insisteva pertanto per l’accoglimento del ricorso.

Con memoria in data 3 agosto 2010, ad integrazione di quanto esposto in ricorso, comunicava che il Tribunale del Riesame di Catania aveva accolto il suo ricorso ordinandone la scarcerazione se non detenuto per altra causa e che tale evenienza era la dimostrazione del lamentato atteggiamento dei giudici ricusati nei suoi confronti.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Con riferimento al primo motivo di ricorso, deve rilevarsi come correttamente la Corte di merito abbia rilevato che le argomentazioni poste a sostegno della ricusazione non rientrano in alcuno dei motivi tassativamente previsti dall’art. 37 c.p.p..

Da quel che è dato rilevare dal ricorso, oggetto della doglianza è il richiamo, da parte dei giudici ricusati, di norme inesistenti che il ricorrente indica nell’art. 303 c.p.p., comma 2, dichiarato in parte incostituzionale ed in ciò egli individua la volontà dei giudici di pervenire ad un giudizio di condanna oltre che di impedire la sua scarcerazione.

Ciò posto e considerato che tale affermazione resta confinata nell’ambito delle mere supposizioni, deve rilevarsi che la prospettazione del ricorrente non è riconducibile a nessuna delle ipotesi previste dall’art. 37 c.p.p., in generale e, in particolare, come correttamente osservato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, non può configurare un caso di indebita manifestazione del proprio convincimento prima della pronuncia della sentenza nè, tantomeno, una manifestazione di inimicizia grave.

Nel primo caso, infatti, il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell’imputazione richiede che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale (Sez. 3, n. 17868, 29 aprile 2009: Sez. 1, n. 35208, 20 settembre 2007; Sez. 1, n. 18454, 17 maggio 2005); nel secondo, invece, il sentimento di grave inimicizia, per essere pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere semplicemente dal trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità.(Sez. 2, n. 30443, 21 luglio 2003).

Altrettanto infondato è il secondo motivo di ricorso.

L’art. 41 c.p.p., comma 1 dispone che quando la dichiarazione di ricusazione è stata proposta da chi non ne aveva il diritto o senza l’osservanza dei termini o delle forme previsti dall’art. 38 ovvero quando i motivi addottati sono manifestamente infondati, la corte, senza ritardo, la dichiara inammissibile con ordinanza.

L’inammissibilità della richiesta di ricusazione per manifesta infondatezza deve essere dichiarata, pertanto, con procedura camerale "de plano" (giurisprudenza consolidata. V. da ultimo, Sez. 1 n. 6621,18 febbraio 2010).

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità". (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento oltre alla somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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