Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-04-2011) 29-04-2011, n. 16668

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con atto depositato in data 24/05/2010, R.M., imputato in un procedimento penale che si celebrava avanti il Tribunale monocratico di Roma in persona del dr. P.F., ricusava il suddetto giudice esponendo che il medesimo, all’udienza del 26.4.2010, dopo le questioni preliminari formulate dal proprio difensore relativamente al decreto di citazione a giudizio ed alla costituzione di parte civile, aveva rigettato l’eccezione di nullità del decreto, aveva inoltre rigettato l’atto di costituzione di parte civile rilevando che la costituzione sembrava riferita al dottor L., legale rappresentante della società, piuttosto che a quest’ultima, effettiva parte lesa,, concedendo però termine alla società fino all’udienza del 24.5.2010, cui rinviava il dibattimento, per costituirsi in giudizio in proprio; a tale decisione, che l’istante definiva abnorme ed elusiva delle decadenze imposte dalla legge processuale per la costituzione di parte civile, anche in considerazione del fatto che la decisione delle questioni preliminari postulava la dichiarazione di apertura del dibattimento, e ad altra che respingeva, a suo dire del tutto infondatamente una richiesta di sospensione del dibattimento ai sensi degli artt. 70 e 71 c.p.p., si era aggiunto da parte del giudice, secondo l’istante, dopo la chiusura del verbale di udienza, un comportamento ancor più rilevante ai fini della ricusazione, denotante difetto della necessaria imparzialità; al termine dell’udienza, infatti, secondo l’istante, "l’avv. Bianchetti, difensore della persona offesa, parte civile esclusa, si era avvicinato allo scranno del giudice, per chiedere quale iniziativa avrebbe dovuto assumere per la nuova costituzione; il giudice, piuttosto che invitare l’avv. Bianchetti ad allontanarsi dall’aula di udienza, essendo stato chiuso il verbale, manifestava indebito consiglio in merito ai necessari poteri che la società Labor Elolding sa. avrebbe dovuto conferire al difensore";

ciò alla presenza di numerose persone, tra cui una di fiducia dell’istante (avvocato civilista di Roma), disponibile a testimoniare se necessario. p. 2. Con ordinanza del 13/07/2010, la Corte di Appello di Roma rigettava la dichiarazione di ricusazione osservando che "se anche la condotta endoprocessuale del giudice non impedisce, in via assoluta, il ricorso allo strumento della ricusazione, tuttavia è necessario che, comunque, il pregiudizio si sia concretizzato in un vero e proprio abuso della funzione del giudice nel processo. La lettura degli atti consente di escludere in modo certo tale connotazione nei provvedimenti assunti dal giudice ricusato; mentre infatti la documentazione medica prodotta dalla difesa, oltretutto risalente nel tempo, non sembra affatto evidenziare uno stato mentale dell’imputato tale da impedirne la cosciente partecipazione al processo, il rinvio dell’udienza, senza dichiarare l’apertura del dibattimento, per consentire alla persona offesa di regolarizzare la costituzione di parte civile, è stato più volte ritenuto legittimo dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. Pen. Sez. 3^, 8.3.2002, n. 15968); a tale ultimo riguardo non può non rilevarsi come la lettura della costituzione di parte civile effettuata all’udienza del 26.4.2010 consenta di affermare che la costituzione era stata fatta nell’interesse della società Labor Holding SA (dichiarando in essa il dottor L. di agire quale legale rappresentante della società) e che solo alcune espressioni improprie usate nell’atto e nella procura speciale allegata potevano far sorgere il dubbio che il L. avesse inteso costituirsi in proprio, talchè deve ritenersi che il giudice abbia nella sostanza, per tuziorismo, rinviato il dibattimento al fine di consentire la regolarizzazione della costituzione. Comunque, le doglianze formulate dall’istante in ordine ai provvedimenti adottati dal giudice, possono essere fatte valere con il rimedio delle impugnazioni riconosciute dalla legge processuale e non giustificano di per se sole lo strumento della ricusazione. Quanto al comportamento tenuto dal giudice dopo aver dichiarato chiusa l’udienza, esso, lungi dal rappresentare motivo di ricusazione ai sensi dell’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. c), costituisce esplicazione di un mero atteggiamento di cordialità (sempre auspicabile) nei confronti delle parti del processo, del tutto inidoneo a prefigurare il venir meno ai doveri di imparzialità. Come risulta infatti dalle dichiarazioni rese dall’avv. Bonanno, acquisite dal difensore del R. ai sensi degli artt. 391 bis e 391 ter c.p.p. (sia pure tardivamente rispetto al deposito della ricusazione), il giudice, a fronte dei chiarimenti richiesti dal difensore della parte civile, si limitava ad affermare "deve dimostrare i poteri" con ciò alludendo evidentemente o ai poteri del difensore o a quelli del L., legale rappresentante della società persona offesa dal reato; tale espressione pronunciata in udienza immediatamente dopo la lettura dell’ordinanza e in presenza del difensore dell’imputato, ripetitiva di ciò che in generale prescrive la legge ai fini della costituzione di parte civile, è nella sua assoluta genericità inidonea a configurare l’ipotesi dell’aver dato "consigli sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie". p. 3. Avverso la suddetta ordinanza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. VIOLAZIONE dell’art. 41 c.p.p., comma 3, per non avere la Corte territoriale assunto le necessarie informazioni per verificare se il consiglio elargito dal giudice al difensore della parte civile fosse stato effettuato o meno alla presenza del difensore dell’imputato;

2. VIOLAZIONE dell’art. 36, comma 1 – art. 38 c.p.p.: sostiene il ricorrente che, nella fattispecie, "non soltanto è stato vanificato l’inderogabile principio della terzietà del Giudice, codificato nell’art. 111, comma 2 della Carta Costituzionale, ma è stato scardinato il principio secondo cui il Giudice deve porsi al di sopra delle parti, ruolo che non risulta osservato, posto che il rinvio della prima udienza, senza invito alle parti di richiedere i mezzi di prova, il "consiglio" elargito dopo che era stato rinviato il dibattimento, infine la ammissione della costituzione di parte civile, tardiva ed inammissibile, nella seconda udienza, consentono di ritenere provato che il Giudice ha violato il principio del divieto di elargire "consiglio" alle parti che esorbiti la giurisdizione".
Motivi della decisione

p. 4. VIOLAZIONE dell’art. 41 c.p.p., comma 3: la doglianza è manifestamente infondata non peraltro perchè i fatti così come ricostruiti dalla Corte territoriale non sono contestati e gli accertamenti che, ad avviso del ricorrente, la Corte avrebbe dovuto compiere sono palesemente del tutto irrilevanti ed ininfluenti alla fine della decisione, tant’è che lo stesso ricorrente non spiega in che modo avrebbero potuto influire sulla decisione. p. 5. VIOLAZIONE dell’art. 36 c.p.p., comma 1 – art. 38 c.p.p.: sul punto, va premesso che, in via di diritto, è costante il principio enunciato da questa Corte di legittimità secondo il quale "la causa di astensione e di ricusazione consistente nell’avere il giudice "manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie" (art. 36 lett. C, richiamato dall’art. 37 cod. proc. pen., lett. a)), implica che in quel parere sia riconoscibile l’espressione di un vero e proprio "convincimento" nutrito dal giudice in ordine a quello che egli ritiene essere lo sbocco, giuridicamente necessario, del procedimento "de quo", rimanendo quindi estranea alla previsione di legge la diversa eventualità che il giudice si sia limitato ad esprimere una generica valutazione meramente probabilistica circa il presumibile esito del medesimo procedimento: Cass. 4182/1996 Rv. 205322 – Cass. 766/2005 Rv. 233332.

Nel caso di specie, la Corte territoriale, ha accertato, sulla base degli atti processuali che il "consiglio" elargito dal giudice al difensore della parte civile non era affatto un parere ma solo la reiterazione, per via orale, di quanto il giudice aveva già ritenuto nell’ordinanza che aveva pronunciato e a seguito della quale aveva legittimamente rinviato proprio per consentire alla parte civile di sanare la rilevata irregolarità.

Sul punto, a ben vedere, lo stesso ricorrente, nulla deduce, se non la generica doglianza riportata nella parte motiva della presente sentenza: di conseguenza, il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: "non integra il motivo di ricusazione dell’avere il giudice espresso, fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, un parere sull’oggetto del procedimento, ove il giudice, richiesto di chiarimenti dalla parte civile la cui costituzione era stata rigettata e l’udienza rinviata proprio per consentire la sanatoria, si limiti a ripetere quanto già scritto nell’ordinanza e comunque ciò che in generale prescrive la legge ai fini della costituzione di parte civile". p. 6. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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