Cass. pen., sez. I 21-04-2009 (01-04-2009), n. 16935 ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA – Obbligo del tribunale di sorveglianza di determinare la pena da espiare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RILEVATO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Milano ha respinto la domanda di affidamento in prova terapeutico, avanzata da D.C., detenuto in espiazione di una condanna per violazione alla legge stupefacenti, con fine pena al 18.3.2010.
A ragione ha osservato che il detenuto, ammesso alla misura presso un Comunità di recupero con provvedimento provvisorio del magistrato di sorveglianza il 14.3.2008, era stato trovato, come da nota trasmessa il 2.10.2008, in possesso di materiale non consentito, e cioè di denaro, 9 pacchetti di sigarette di varie marche, 2 pacchi di tabacco di marche differenti, di una carta sim e di un caricabatteria per cellulare, in violazione delle prescrizioni impartitegli. Tanto che la Comunità aveva manifestato la revoca delle disponibilità ad accoglierlo. Con nota 3.10.2008 la ASL aveva quindi comunicato che l’episodio dimostrava le difficoltà del soggetto, in ragione della sua non elaborata fragilità, ad intraprendere il programma terapeutico e ad adeguarsi ad "contesto normativo". 2. Ricorre l’interessato a mezzo del suo difensore, che chiede l’annullamento del provvedimento.
Denunzia che il Tribunale di sorveglianza avrebbe erroneamente considerato fatti privi di connotazioni d’illiceità, non destabilizzanti, intrinsecamente modesti; senza conoscere le dichiarazioni dell’interessato e arbitrariamente assumendo una continuità della condotta da nulla dimostrata.
Il Tribunale di sorveglianza aveva inoltre completamente eluso l’obbligo di individuare la decorrenza del rigetto a partire dal 2.10.2008, data della segnalazione, anzichè dall’inizio della esecuzione provvisoria della misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che le doglianze che attengono alla concedibilità della misura dell’affidamento in prova appaiono manifestamente infondate.
Il Tribunale ha infatti valutato la portata della infrazione alle regole della Comunità da questa segnalate e, soprattutto, la revoca della disponibilità ad accogliere il condannato da parte della Comunità stessa assieme alle notizie e alla relazione della ASL, ritenute "allarmanti" sulla base di un apprezzamento di merito non implausibile e incensurabile in questa sede.
2. Merita accoglimento invece la censura rivolta all’omessa, totale, considerazione del periodo già trascorso in affidamento al fine di determinare la residua pena da espiare tenuto conto delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante detto periodo.
Non v’è dubbio infatti che o principi enunziati da C. cost. n. 185 del 1985 (illegittimità costituzionale della L. n. 345 del 1975, art. 47, nella parte in cui non consente che valga come espiazione di pena il periodo di affidamento in prova al servizio sociale, in caso di annullamento del provvedimento di ammissione), n. 312 del 1985 (illegittimità costituzionale della L. n. 354 del 1975, art. 47, nella parte in cui non prevede che valga come espiazione di pena il periodo di affidamento in prova al servizio sociale, nel caso di revoca del provvedimento di ammissione per motivi non dipendenti dall’esito negativo della prova) e n. 343 del 1987 (illegittimità costituzionale della L. n. 354 del 1975, art. 47, comma 10, nella parte in cui – in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova – non consente di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova) trascendano i singoli istituti cui sono stati riferiti e vadano applicati pure al caso in esame, di applicazione provvisoria dell’affidamento in prova ad opera del Magistrato di sorveglianza e di successivo rigetto della richiesta di applicazione della misura ad opera del Tribunale.
Se è vero infatti che vanno unitariamente considerati tanto i casi di annullamento, quanto quelli di revoca per cause originarie o sopravvenute di inammissibilità dell’affidamento in prova al servizio sociale, a nulla rilevando, a tali fini, la diversa denominazione dei provvedimenti terminativi (C. cost. n. 312 del 1985) e quelli ancora di revoca per incompatibilità del comportamento tenuto (sent. n. 343 del 1987), unificando tali situazioni la comune considerazione che non è "pensabile" "che il periodo effettivamente trascorso in affidamento in ottemperanza alle specifiche prescrizioni imposte al condannato, venga, viceversa, considerato come non mai trascorso ovvero inutilmente trascorso";
analoga esigenza, naturale e logica prima ancora che giuridica, assiste ogni ipotesi in cui il condannato sia stato ammesso alla misura alternativa e l’accesso alla stessa gli sia stato poi negato con effetto ex tutte.
Anche nell’ipotesi di applicazione interinale e di successivo diniego, infatti, il condannato ha in concreto subito delle limitazioni alla sua libertà per un periodo che non può ritenersi in astratto privo di significato, e che nel caso in esame è stato addirittura pari a quasi sette mesi, pena la "inaccettabile contraddizione" della trasformazione della ""misura alternativa" alla detenzione … in una "misura aggiuntiva" alla detenzione stessa, senza che questo vero e proprio "supplemento" di pena trovi fondamento e sia quindi legittimato da una sentenza di condanna" (C. cost. n. 185 del 1985). E anche in questo caso vale la considerazione (C. cost. n. 343 del 1987) che, occorrendo distinguere tra prescrizioni obbligatorie e facoltative e tra carichi coercitivi che esse esprimono, il giudizio sulla trasgressione va misurato sulla incisività, che ben può essere significativamente diversa, delle prescrizioni concretamente imposte rispetto a quelle specificamente violate, nonchè attempo delle violazioni.
2.1. Il Tribunale non s’è invece dato carico di valutare le limitazioni in concreto subite dal condannato nel periodo pregresso nè l’effettivo suo comportamento. Non può supplire a tale omissione la notazione sulla "verosimile" non occasionalità della infrazione da ultimo rilevata, contenuta nel provvedimento impugnato, del tutto priva di giustificazione fattuale e che appare – come giustamente rimarca il ricorrente – assolutamente apodittica.
Per tale aspetto il rigetto della misura richiesta s’è risolto dunque in una illegittima, perchè non motivata, revoca ex tutte dell’affidamento in prova già trascorso, o, più esattamente, nella arbitraria considerazione del periodo effettivamente patito in affidamento in ottemperanza (salva effettiva verifica del contrario) alle specifiche prescrizioni imposte al condannato, "come non mai trascorso ovvero inutilmente trascorso".
Il provvedimento impugnato deve di conseguenza essere annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Milano, che procederà a nuovo esame sul punto determinando la pena espiata da imputare al periodo di affidamento in prova al servizio sociale e quella da espiare secondo i principi prima ricordati, tenendo cioè conto della durata e delle limitazioni patite durante l’affidamento provvisoriamente disposto dal magistrato di sorveglianza allo stesso modo che nel caso di revoca dell’affidamento disposto dal Tribunale (cfr. S.U. n. 10530 del 27.2.2002, Martola).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione della decorrenza della revoca della misura e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di sorveglianza di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *