Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-04-2011) 29-04-2011, n. 16611

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 8/07/2010, il G. di P. di Ancona riteneva M.A. responsabile del delitto di cui all’art. 635 c.p. (per avere graffiato con un punteruolo la porta di accesso all’abitazione di P.S. e B.F.) e la condannava, concesse le attenuanti generiche, alla pena di Euro 500,00 di multa.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo illogicità e contraddittorietà della motivazione Sotto i seguenti profili:

– per avere il giudice fondato la sua decisione sulle dichiarazioni rese dalle parti offese non avvedendosi che avevano "reso falsa testimonianza negando il vero (di avere stranamente scattato le fotografie datate tre giorni prima della denunzia) e affermando il falso (che il portoncino fosse in buono stato prima della denunzia) mentre il solo episodio veritiero riferito è di avere utilizzato fotografie identiche per dimostrare distinti episodi di danneggiamento avvenuti in tempi diversi": peraltro "le foto scattate prima e dopo il presunto danneggiamento raffigurano segni e graffi di identiche caratteristiche (…)";

– le dichiarazioni delle parti offese, erano poi contraddittorie perchè la P. aveva riferito di avere visto l’imputata con un cacciavite o un punteruolo, mentre il B. aveva dichiarato che la M. aveva colpito la porta con uno scopettone;

– la parte offesa B. non poteva ritenersi attendibile perchè era già stata condannata per minacce aggravate nei confronti della M.;

– in realtà, lo stesso fatto di danneggiamento era stato denunciato più volte e le parti offese lo hanno provato allegando le stesse identiche foto ed hanno cercato di far passere la falsa tesi secondo cui il portone era in buono stato prima del fatto.

3. Il ricorso è inammissibile perchè con esso vengono dedotte ragioni diverse da quelle che possono essere sottoposte al giudice della legittimità. La ricorrente deduce il vizio della motivazione nella forma sia del travisamento della prova che della incompletezza riguardo ad elementi probatori addotti dalla difesa. Sotto il primo profilo deve rilevarsi che il travisamento è stato dedotto senza il rispetto di tutti i requisiti di ammissibilità pretesi dalla costante giurisprudenza di questa Corte, alla luce delle norme di rito. Si è affermato infatti reiteratamente il principio secondo cui nel caso in cui con il ricorso per cassazione venga dedotta la manifesta illogicità della motivazione, secondo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), che in ragione delle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 consente il riferimento agli "altri atti del processo pecificamente indicati nei motivi di gravame", è necessario che dalla esposizione del ricorrente emerga il fumus della illogicità del provvedimento impugnato, che sia ricollegabile ad un atto del processo specificamente indicato. Ne consegue che è inammissibile il ricorso, che pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, di guisa da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Cass. 11910/2010 riv 246552 – Cass. 3100/2009 riv 245958). Infatti, deve essere recepito ed applicato anche in sede penale il principio della "autosufficienza del ricorso", costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile. In altri termini, il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento;

b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Cass. 45036/2010 riv 249035).

Di conseguenza, il ricorso va ritenuto inammissibile per genericità ed aspecificità poichè il ricorrente, non ha assolto al suddetto onere essendosi limitato a rinviare questo giudice di legittimità alla lettura di atti di cui non ha minimamente indicato la specifica attitudine a sovvertire l’assunto accusatorio, mediante il richiamo al loro testuale contenuto.

4. Dalla dichiarata inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *