Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-04-2011) 29-04-2011, n. 16712 Sentenza penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di A.P.B. in ordine al reato di cui all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6, a lui ascritto per avere, in concorso con D. L.F.B.J., M.G., D.M.A. e S.F., detenuto, acquistato e trasportato, a fini di spaccio, un chilogrammo e mezzo circa di sostanza stupefacente del tipo cocaina. Secondo la ricostruzione fattuale della vicenda, fondata sulle risultanze di intercettazioni telefoniche, attività di osservazione effettuata dalla polizia giudiziaria e le dichiarazioni dello stesso imputato, nell’aprile 2007 l’ A. aveva ceduto al M. una partita di cocaina, da lui introdotta in Italia dalla Repubblica Domenicana, ove si era recato in precedenza, cocaina detenuta insieme al connazionale D.L., ed aveva successivamente ricevuto dal M., tramite il D.L., il corrispettivo della vendita della sostanza stupefacente.

Nel rigettare i motivi di gravame dell’appellante, in sintesi, la Corte territoriale ha ritenuto pienamente provati i fatti, così come descritti, sulla base delle risultanze delle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione, degli ulteriori elementi acquisiti dagli organi di polizia giudiziaria, quali la verifica dei viaggi effettuati dall’ A. nella Repubblica Dominicana immediatamente prima della cessione della sostanza stupefacente, del fatto che il D.L. era stato trovato in possesso della somma di Euro 22.450,00 dopo essersi incontrato con il M. e delle dichiarazioni dello stesso imputato, il quale aveva ammesso che il contenuto di alcune conversazioni telefoniche si riferiva alla cocaina, di cui avrebbe promesso la fornitura senza dare seguito a tale promessa.

La Corte ha inoltre respinto la richiesta di esclusione dell’aumento di pena per la recidiva e di concessione delle attenuanti genetiche.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla affermazione di colpevolezza. Si deduce, in sintesi, che l’accertamento del fatto ascritto all’imputato è fondato su elementi congetturali o ricostruzioni ipotetiche della vicenda, stante la assoluta carenza di univocità del contenuto delle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione in relazione a quanto da esse inferito dai giudici di merito. Tali conversazioni non posseggono i caratteri della gravità, precisione e concordanza cui devono rispondere gli elementi indiziali per costituire prova del fatto illecito. Si deduce, inoltre, che nella sentenza non sono state valutate correttamente prove favorevoli all’imputato, quali la dichiarazione della teste B.P. con riferimento alla provenienza lecita della somma trovata in possesso del D.L., e si conclude affermando che la colpevolezza dell’imputato non risulta affatto provata oltre ogni ragionevole dubbio, sicchè nel caso in esame doveva trovare applicazione l’art. 530 c.p.p., comma 2.

Con il secondo mezzo di annullamento, denunciando vizi di motivazione in relazione alla applicazione dell’art. 192 c.p.p., si ribadiscono sostanzialmente le precedenti deduzioni in ordine alla carenza di univocità delle conversazioni telefoniche in relazione ad un presunto traffico di sostanza stupefacente.

Con l’ultimo mezzo di annullamento si denunciano vizi di motivazione ed errata applicazione di legge in relazione al disposto di cui agli artt. 62 bis e 133 c.p..

Si osserva che i coimputati D.L. e M., giudicati separatamente, hanno ottenuto, nel procedimento a loro carico, nel quale erano imputati di due reati, la concessione delle attenuanti genetiche, al contrario dell’ A..

Si deduce che nel caso in esame la concessione delle generiche avrebbe consentito una risposta sanzionatoria più adeguata alla gravità dei fatto, tenuto conto del trattamento riservato ai coimputati.

Con riferimento alla recidiva si deduce che l’ A. è gravato da un solo precedente poco significativo in relazione alla pericolosità sociale e alla propensione a delinquere dell’imputato.

Il ricorso non è fondato.

Sul punto della interpretazione delle intercettazioni telefoniche o ambientali è opportuno ricordare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, il linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate, (sez. 6, 8.1.2008 n. 17619, Gionta ed altri, RV 239724;

sez. 6, 11.12.2007 n. 15396 del 2008, Sitzia ed altri, RV 239636;

conf. sez. 4, 28.10.2005 n. 117 del 2006, Caruso, RV 232626).

Orbene, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha riportato le conversazioni telefoniche, oggetto di intercettazione, in ordine cronologico, specificando la correlazione del loro contenuto con quanto formava oggetto di indagine.

Sono state inoltre valorizzate nella interpretazione delle intercettazioni telefoniche le attività di osservazione effettuate dalla polizia giudiziaria, con specifico riferimento ai viaggi dell’imputato a (OMISSIS); il rinvenimento della somma di danaro trovata in possesso del D.L., cui, secondo il contenuto di una successiva conversazione con il M., faceva seguito la dazione della ulteriore somma di Euro 13.000,00; le ammissioni dello stesso imputato in relazione al riferimento della conversazione tra l’ A. da (OMISSIS) ed il M. ad una partita di cocaina.

Pertanto, l’interpretazione del contenuto di tali conversazioni con riferimento alla sostanza stupefacente, in assenza peraltro di altre plausibili interpretazioni, si palesa assolutamente coerente con le predette risultanze ed immune da vizi logici, cosi come risulta giuridicamente corretta, in relazione al disposto dell’art. 192 c.p.p., la valutazione del coacervo di elementi indiziali univoci e concordanti sui quali è stato fondato l’accertamento del fatto illecito.

Inoltre l’attendibilità delle dichiarazioni della B., che ha affermato di avere consegnato lei il danaro al D.L., era stata già esclusa dalla sentenza di primo grado con valutazione di merito supportata da adeguata motivazione, che pertanto si sottrae al sindacato di legittimità; valutazione che trova riscontro nella ricostruzione dello svolgimento dei fatti operata dalla sentenza di appello.

E’ appena il caso, infine, di ricordare in punto di diritto che "La previsione normativa della regola di giudizio dell’"al di là di ogni ragionevole dubbio" non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato".

(sez. 2, 2.4.2008 n. 16357, Crisiglione, RV 239795; sez. 1, 28.6.2006 n. 30402, Volpon, RV 234374; sez. 1, 11.5.2006 n. 20371, Ganci e altro, RV 234111); certezza processuale di cui le sentenze dei giudici di merito hanno dato adeguatamente conto.

Anche l’ultimo motivo di gravame è infondato.

Il diniego della attenuanti generiche e la non esclusione della recidiva hanno formato oggetto di adeguata motivazione, immune da vizi logici; nè sul punto del trattamento sanzionatorio può farsi riferimento a quello riservato da altra pronuncia ai coimputati, che hanno scelto riti alternativi e la cui personalità ha formato oggetto di valutazione in un separato processo.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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