Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 29-04-2011, n. 16666 Durata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.L., tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza, in data 27.10.2010, con cui il Tribunale del Riesame di Milano confermava l’ordinanza 27.4.2010 del GIP del Tribunale di Milano che aveva rigettato la richiesta di retrodatazione dell’inizio della custodia cautelare in carcere al 23.4.2009,data di esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura medesima, emessa dal GIP del Tribunale di Milano il 20.4.2009, nel procedimento penale n. 12686 R.G.N.R. e n. 2298/06 R.G. GIP (indagine "Bad Boys"), pendente presso il Tribunale di Busto Arsizio, con conseguente dichiarazione di perdita di efficacia della misura per decorrenza dei termini di durata massima, ex art. 303 c.p.p..

Il Tribunale del Riesame aveva rigettato l’appello del M. rilevando che l’ordinanza, in data 5.7.2010, e-seguita il 23.7.2010, aveva ad oggetto fatti diversi e successivi rispetto a quelli presi in esame nell’ordinanza in data 20.4.2009; che i reati contestati nelle due ordinanze erano diversi in quanto quelli dell’ordinanza 23.4.2009 riguardavano la partecipazione del M. all’associazione di tipo mafioso denominata "locale di (OMISSIS)" ed alcuni reati- fine di usura ed estorsione, mentre la successiva ordinanza riguardava la partecipazione del M. alla autonoma struttura "ndranghetistica" denominata "Lombardia" e, sebbene tra i fatti delle due ordinanze fosse configurabile la connessione qualificata di cui all’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b), tuttavia, poichè il fatto contestato nella seconda ordinanza non era stato commesso anteriormente alla prima ordinanza e, comunque, "solo una piccola parte degli elementi posti a base della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima ordinanza", non poteva operare la retrodatazione richiesta.

Il ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato deducendo:

1) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3;

contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, la n’drangheta costituiva una struttura unitaria capillarmente ramificata, sicchè la partecipazione del M. al "Locale di (OMISSIS)", come branca dell’associazione "(OMISSIS)", non poteva essere "sdoppiata nell’interpretazione dei fatti e costituire il fondamento di due distinte imputazioni per associazioni di stampo mafioso"; 2) il Tribunale della Liberà aveva escluso l’applicabilità della disciplina relativa alle cd. "contestazioni a catena" ex art. 297 c.p.p., comma 3 ed aveva ritenuto configurabile tra i fatti riguardanti le due ordinanze una connessione qualificata, ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b), disattendendo i principi affermati dalla richiamata sentenza della Corte Cost. n. 408/2005 e dalla sentenza delle S.U. n. 14535/2006; con quest’ultima pronuncia si era, infatti, ribadito che, nell’ipotesi di fatti diversi, ma connessi ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b) o c) come ritenuto dal Tribunale nel caso di specie, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con ordinanze successive, opera automaticamente e non richiede la desumibilità dagli atti dell’esistenza,al momento dell’emissione della prima ordinanza, di elementi idonei a giustificare le misure successive;comunque, nel caso in esame, il ruolo ed i rapporti del M. con gli altri indagati, nel successivo procedimento n. 43733/06, erano desumibili dagli atti esistenti al momento dell’emissione del primo provvedimento coercitivo, avuto riguardo all’informativa dei Carabinieri di Varese, datata 25.8.2008,trasfusa nell’ordinanza dell’aprile 2009 e successivamente acquisita nel presente procedimento;

3) motivazione illogica e contraddittoria, laddove il provvedimento in esame affermava che il fatto contestato nella seconda ordinanza non era stato commesso anteriormente alla prima ordinanza,pur dandosi atto, contraddittoriamente, della "permanenza attuale dei fatti contestati in entrambe le ordinanze; illegittimamente, poi, il rigetto della richiesta di retrodatazione dei termini di custodia cautelare era stato fondato sulla data di redazione di un atto di p.g., in relazione ad elementi di accusa ritenuti "non desumibili dall’informativa dei Carabinieri di Varese in data 25.8.08", mentre doveva farsi riferimento alla data di emissione della prima ordinanza. Con memoria integrativa il ricorrente rilevava che, anche sotto il profilo temporale, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, fra le contestazioni dei due distinti procedimenti presi in esame vi era vi era coincidenza temporale, a seguito della modifica dell’imputazione, operata dal P.M., all’udienza del 12.10.2010. Il ricorso è infondato.

Con corretta e logica motivazione il Tribunale del Riesame ha evidenziato che l’ordinanza 5.7.2010 si fondava su atti di indagine successivi a quelli presi in esame con l’ordinanza 20.4.2009 e riguardava, comun-que, fatti diversi, considerato che l’ordinanza del 5.7. 2010 faceva riferimento, quanto alla posizione del M., ad operazioni di riciclaggio successive a quelle risultanti dall’informativa dei Carabinieri di Varese in data 25/8/08 e che, sulla base delle intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni rese dalle vittime di usura, acquisite successivamente al 25.8.2008, era emerso, a carico del M., come l’attività di usura (contestata al capo 65) non veniva gestita singolarmente, ma di concerto con i sodali N., D.C. e Z. e, peraltro, anche i reati- fine contestati con le due ordinanze erano diversi(V. pag. 3 ord. imp.) E’ stato escluso, di conseguenza, il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto alla emissione della prima, posto che la condotta del M., di partecipazione all’associazione mafiosa, contestato in "permanenza attuale", risultava essersi protratta dopo l’emissione della prima ordinanza(Cfr. Cass. n. 20882/2010). I giudici del riesame, inoltre, pur non avendo escluso che tra i reati contestati nelle due ordinanze vi fosse la connessione qualificata di cui all’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b); hanno, tuttavia, rilevato che "solo un piccola parte" degli elementi posti a base della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima ordinanza; in particolare, non erano desumibili dall’informativa dei Carabinieri di Varese, in data 25.8.08, gli elementi di accusa riguardanti la partecipazione del M. alla riunione del 21.1.09 presso il bar "(OMISSIS).

Orbene,tale accertamento, relativo alla "desumibilità dagli atti", compete al giudice di merito, perchè richiede l’esame e la valutazione degli atti ed una ricostruzione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità(Cfr. Cass. n. 9990/2010), sicchè la motivazione sul punto, in quanto esente da vizi di manifesta illogicità, non è cen-surabile in sede di legittimità.

Occorre, poi, rilevare che le S.U. della S.C. hanno affermato il principio che la retrodatazione dei termini di tifa durata della custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, oltre a non operare in procedimenti diversi non collegati da connessione qualificata, non opera, comunque, anche in caso di comprovata connessione qualificata, ove i fatti non siano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza (S.U., n. 14535/2007).

La circostanza che l’ordinanza emessa nel secondo procedimento si fondi su "alcuni" elementi probatori già presenti nel primo, non costituisce, peraltro, circostanza sufficiente per ritenere che, al momento della emissione della prima ordinanza, l’autorità inquirente fosse già in possesso degli elementi sufficienti per richiedere l’adozione della misura cautelare anche per il reati oggetto del successivo provvedimento, come avvenuto nel caso di specie, avuto riguardo alle indagini successive svolte per i reati stessi e di cui il Tribunale del Riesame ha dato conto; in tal caso non è dato ravvisare, infatti, una scelta indebita dell’autorità giudiziaria, nel senso che l’adozione della seconda misura sia da ritenersi avvenuta procrastinando l’adozione della seconda misura o separando alcune delle notizie di reato.

La decisione impugnata è, quindi, conforme alla citata giurisprudenza delle S.U. ed a quella successiva ( Cass. n. 34576/2009; n. 20882/2010), laddove è stato ulteriormente ribadito che l’applicazione della regola della retrodatazione della decorrenza del termini della custodia cautelare, nel caso di emissione di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare nei confronti dello stesso imputato, per fatti diversi, presuppone che i fatti dell’ordinanza rispetto ai quali operare la retrodatazione siano commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, e che tale condizione non sussiste ove l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso la cui commissione risulti persistere pur dopo l’emissione della prima ordinanza.

Il provvedimento del Tribunale del riesame non è neppure contraddetto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 408/2005 che ha dichiarato "la illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza".

Il provvedimento impugnato rientra, infatti, nelle ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare ( art. 297 c.p.p., comma 3, seconda parte).

Si osserva, infine, con riferimento a quanto evidenziato nella memoria difensiva, che la contestazione "permanente" di entrambi i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, non comporta, di per sè, l’identità delle due associazioni e l’applicazione dell’art. 293 c.p.p., comma 3, in quanto ciascun atto di partecipazione è da solo sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e dovendosi, in ogni caso, escludere, nel caso in esame, la unicità dei fatti, già desumibile dagli atti al momento della emissione della prima ordinanza cautelare. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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