Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 29-04-2011, n. 16662 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rale in persona del Dott. Oscar Cedrangolo che ha concluso per l’inammissibilità.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p. 1. Con ordinanza del 2/11/2010, il Tribunale di Ancona respingeva l’appello avverso l’ordinanza con la quale, in data 5/10/2010, il Tribunale di Macerata, in composizione collegiale, nell’ambito di un dibattimento che si stava svolgendo a carico di U.N. per i delitti di rapina aggravata e porto di arma da fuoco, aveva respinto l’istanza diretta ad ottenere la scarcerazione dell’imputato per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Rilevava il Tribunale che:

– l’ U. veniva arrestato nella flagranza di reato in data 12/02/2009 e, in data 14/02, il g.i.p. gli applicava, in sede di convalida, la misura cautelare della custodia in carcere;

– in data 29/09/2009, il g.i.p. emetteva decreto di giudizio immediato;

– di conseguenza, poichè si procedeva nell’ambito della fase dibattimentale, si applicava l’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis, che prevede, per il delitto di rapina aggravata, il termine massimo di un anno e sei mesi, in conseguenza dell’aumento fino a sei mesi del termine massimo di cui ai precedenti nn. 1, 2 e 3. p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, l’imputato, in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione di legge atteso che l’aumento di sei mesi dei termini della fase dibattimentale non sarebbe automatico, così come ritenuto dal Tribunale, ma avrebbe dovuto essere dichiarato dal giudice il quale avrebbe anche dovuto specificare i motivi di particolare gravità per i quali sarebbe stato necessario e giustificato il suddetto aumento. Aggiunge il ricorrente che "tra l’altro l’aumento non specificato è violativo del principio di tassatività e di determinatezza relativamente all’art. 23 c.p. nonchè incostituzionale in relazione agli artt. 3 e 111 Cost.". p. 3. La doglianza è manifestamente infondata. Premesso che i fatti così come riportati nell’impugnata ordinanza non sono contestati, correttamente il tribunale ha applicato quella pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo la quale "In tema di custodia cautelare, l’aumento fino a sei mesi dei termini della fase dibattimentale di primo grado, previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. B), n. 3 bis, qualora si proceda per i delitti di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. A) è automatico, in quanto esplicitamente voluto dal legislatore in ragione della rilevante gravità di una particolare categoria di delitti; ne consegue che, per farsi luogo a detto aumento del termine, non è necessario alcun provvedimento del giudice, neppure in relazione alla sua quantificazione, rispetto alla previsione normativa che ne dispone l’ulteriore durata "fino a sei mesi", atteso che la quantificazione effettiva del termine non può che coincidere con il tempo occorrente per giungere alla pronuncia della sentenza di primo grado: Cass. 36763/2003 Rv. 226445 – Cass. 3043/2005 Rv. 230871 – Cass. 40401/2008 Rv. 241863. Quanto alla pretesa incostituzionalità della suddetta normativa, questa Corte, con la sentenza n 40401 del 24/09/2008 Rv.

241863 l’ha dichiarata manifestamente infondata rilevando che "con riferimento all’art. 3 Cost., si osserva che esso garantisce un trattamento uguale in situazioni uguali, mentre nel caso di specie la disciplina speciale dettata dal legislatore è collegata alla particolare gravità dei delitti di cui il sottoposto alla cautela è imputato. Con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., non si vede quale lesione dei principi del diritto di difesa e del contraddittorio si possa ravvisare, posto che il sottoposto alla cautela può ricorrere a molteplici mezzi giurisdizionali a tutela dei suoi diritti. Con riferimento al disposto dell’art. 5, par. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, il quale garantisce che "ogni persona arrestata o detenuta (…) ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere posta in libertà durante l’istruttoria", occorre osservare che i principi elaborati in materia di durata della custodia cautelare dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo affermano che, in via astratta, non è possibile indicare quando sia ragionevole che un imputato resti in stato di custodia cautelare, ma occorre valutare le circostanze del caso; il mantenimento della custodia deve in ogni caso essere giustificato dall’esistenza di un effettivo "interesse pubblico" che, nonostante la presunzione di innocenza, sia in grado di superare la regola del rispetto della libertà individuale. E’ compito, inoltre, delle autorità giudiziarie nazionali accertare che, in un dato caso, la custodia cautelare non ecceda un tempo ragionevole (Michta e, Polonia, 4 maggio 2006). Ebbene, nel caso di specie, è sufficiente rilevare che la ragionevolezza della disciplina legislativa è collegata alla esistenza di un provvedimento che dispone il giudizio, mentre l’interesse pubblico" emerge dalla gravità dei delitti contestati". p. 4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA Il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

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