T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 28-04-2011, n. 774 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente, proprietaria di un fondo sito in località Quattrograne, nel comune di Avellino (di estensione complessiva di mq 47091, riportato in catasto al foglio n. 42, part. nn. 222, 223, 358, 296, 2867, 2871, 2875, 2876, 2878, 2883, 2885, 2886, e acquistato in data 21.6.2006 con rogito, notaio D’amore, rep. n. 200015 racc. n. 27779), con ricorso al TAR Campania Napoli, notificato il 27.3.2008 e depositato il successivo 9 aprile, ha impugnato gli atti in epigrafe indicati relativi all’approvazione del PUC di Avellino.

Parte ricorrente ha dedotto svariati ed articolati motivi di doglianza con i quali, in sostanza, lamenta la compressione dello ius aedificandi che il nuovo strumento urbanistico opererebbe a suo danno sui propri fondi, rispetto alla più ampia capacità edificatoria prevista dal precedente Piano regolatore generale (PRG) del comune di Avellino, approvato con D.P.G.R.C. n. 4750 del 28.5.1991.

Precisa parte ricorrente che il lotto in questione è localizzato nel centro cittadino del comune di Avellino, a ridosso del centro storico della città: in particolare, l’area in questione dista circa ml 400 da Piazza Libertà, la piazza principale del comune e circa ml 300 dalla sede municipale; in relazione all’area considerata, sono presenti inoltre le opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Secondo il previgente PRG, i fondi della società ricorrente ricadevano nelle seguenti zone con rispettive destinazioni:

1. Ricostruzione del fabbricato (Villa Amendola) a parità di volumetria preesistente;

2. Ricostruzione fabbricati rurali esistenti a parità di volumetria (con possibilità di delocalizzazione del fabbricato rurale incluso nell’area da destinare ad uffici pubblici);

3. F2.1 "Zona per attrezzature terziarie e direzionali a scala comunale e territoriale; superfici mq 26.700, cubature realizzabili mc 89.804;

4. F2.6 "Zona per attrezzature ricettive a livello urbano"; superfici mq 3828, cubature realizzabili mc 9.570;

5. D4 "Zona produttiva per attività commerciali";Superfici mq 9982, cubature realizzabili mc 12.400;

per un totale di cubatura realizzabile sul’area in questione di mc 111.774.

Al contrario, rileva parte ricorrente, l’intero lotto di sua proprietà è nel nuovo PUC destinato a "zona di nuovo impianto NI05" con destinazione d’uso "residenza e terziario" ed un indice di edificabilità massimo di 0,4 mq/mq, con conseguente riduzione di oltre un terzo della volumetria massima assentibile rispetto al precedente strumento urbanistico. Su questi aspetti ha allegato perizia tecnica di parte, depositata agli atti il 15.12.2010.

La provincia di Avellino, ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio.

Il comune di Avellino, costituitosi in giudizio con atto depositato il 5.8.2008, ha eccepito la competenza territoriale del Tar Salerno.

Il Tar Campania Napoli, in accoglimento dell’eccezione, con ordinanza presidenziale n. 144 del 5.8.2008, ha trasferito a questo TAR il ricorso, iscritto al numero di registro generale 1252 del 2008.

In esito all’istanza di prelievo, depositata il 15.9.2010, la causa è stata posta in discussione per l’udienza pubblica del 27.1.2011, in vista della quale le parti hanno depositato memorie ed atti.

In particolare il comune di Avellino, con memoria depositata il 23.12.2010, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, posto che contro i provvedimenti impugnati la ricorrente ha successivamente prestato acquiescenza; in ogni caso ha eccepito l’infondatezza nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso.

La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1.- Va in primo luogo esaminata l’eccezione, sollevata dal comune d’improcedibilità del presente ricorso, per sopravvenuta carenza d’interesse, a seguito di acquiescenza nei confronti dei provvedimenti oggetto d’impugnazione. Più in particolare, rileva l’amministrazione comunale che, dopo l’approvazione del PUC, I.B. ha presentato una proposta di Piano urbanistico attuativo per un intervento edilizio sull’area in questione, approvata dall’amministrazione con provvedimento della giunta n. 596/2009 e decreto sindacale del 24.11.2009, proposta alla quale è seguito il rilascio, in data 14.12.2009, di due permessi di costruire. I relativi lavori hanno avuto inizio l’8.1.2010 e sulle aree di cui trattasi è stata già realizzata una consistente parte degli interventi edilizi assentiti. Pertanto, il pregresso comportamento della ricorrente si porrebbe in contraddizione con il ricorso proposto.

L’eccezione non è condivisibile.

Secondo orientamento consolidato in giurisprudenza, dal quale il Collegio non ha motivi per cui discostarsene, l’acquiescenza si manifesta con l’accettazione espressa o tacita del provvedimento amministrativo lesivo. Poiché essa determina l’estinzione del potere di azione ed incide pertanto sul diritto fondamentale della difesa, l’accertamento in ordine all’avvenuta accettazione del contenuto e degli effetti di un provvedimento lesivo dev’essere accurato ed esauriente e svolgersi su tutti gli elementi di fatto e di diritto. L’acquiescenza pertanto si configura solo in presenza di una condotta del soggetto -titolare di interessi giuridicamente rilevanti da fare valere eventualmente in giudizio- libera ed inequivocabilmente sintomatica della rinuncia a contestare il complesso delle posizioni giuridiche, come definito dall’Amministrazione a mezzo degli atti che si vuol contestare.

Pertanto, la presenza di una chiara e definitiva intenzione di non rimettere in discussione l’atto lesivo deve emergere senza incertezza alcuna (Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7125; sez. V, 21 settembre 2010, n. 7031), circostanza che non ricorre nel caso in esame. Ed invero, la richiesta, con esito positivo, della società ricorrente di ottenere permessi di costruire in esecuzione del PUC, oggetto di ricorso, non è indicativa di acquiescenza, perché non è affatto in contrasto con l’interesse della ricorrente alla riclassificazione dell’area con indici di volumetria superiori a quelli previsti dal PUC e già concessi al comune con i richiamati permessi, ma anzi ne rappresenta una manifestazione ulteriore.

L’eccezione va quindi respinta.

2.- Può passarsi all’esame nel merito del ricorso.

2.1.- Con il primo e secondo motivo di ricorso, che per contiguità ed omogeneità delle censure negli stessi formulati, possono essere trattati congiuntamente, parte ricorrente censura l’illegittimità del PUC per violazione dell’art. 3 L. n. 241 del 1990 e dell’art. 13 L. n. 1150 del 1942; l’eccesso di potere per carenza d’istruttoria e difetto di motivazione, contraddittorietà e travisamento dei fatti, nella parte in cui classifica l’area della ricorrente quale "zona di nuovo impianto" (NI), anziché quale "zona di riqualificazione urbanistica" (RQ), come richiesto dal precedente proprietario, al quale è subentrato la ricorrente I.B., con l’osservazione n. 195/2 al PUC, respinta dal comune.

In particolare, con tale osservazione parte ricorrente precisa che:

1. l’area di sua proprietà, non edificata, è inserita in un tessuto urbano consolidato, centrale e totalmente edificato: la stessa avrebbe quindi necessità di una riqualificazione per valorizzare il tessuto insediativo e consentire l’inserimento di funzioni di servizio alle persone e di attività commerciali.

2. l’area è distante solo ml 400 da Piazza Libertà e ml 300 dalla sede municipale;

3. la stessa è dotata delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Su queste premesse, le aree in oggetto non avrebbero caratteristiche di zone di nuovo impianto (NI), ma di riqualificazione urbanistica (RQ) come definite e normativizzate dal PUC.

2.2.- Replica il comune che l’area interessata è carente delle supposte urbanizzazioni primarie e sostanzialmente priva di quelle secondarie rispetto agli standard minimi stabiliti dalla normativa regionale, poiché gli interventi attuati nella zona non sono stati accompagnati dalla realizzazione dei relativi servizi e delle attrezzature d’uso pubblico. La ricorrente, peraltro, nel chiedere di insediare esclusivamente a residenza ed attività commerciali in luogo di una più ampia gamma di destinazioni previste, entrerebbe nel merito di scelte strategiche che invece competono al potere discrezionale dell’amministrazione comunale, in specie del consiglio, circa la destinazione delle singole zone omogenee. Nell’esercizio di tale potere l’amministrazione non deve fornire una motivazione specifica sulle scelte adottate in merito alla destinazione delle singole aree perché le stesse si giustificano sulla base dei criteri generali d’impostazione del piano.

Fa presente, inoltre, che, per il profilo tecnico, la richiesta di attribuire all’area la destinazione a zone di riqualificazione (RQ) in luogo di zona di nuovo impianto (NI) avrebbe comportato come conseguenza l’automatico innalzamento dell’indice territoriale, per le RQ pari a 0,6 mq/mq in luogo dello 0,4 mq per le ZNI.

Su queste premesse il comune non ravvisa alcuna differenza tra le zone urbanistiche, le quali prevedono entrambe la necessità di reperire aree per standards mediante la cessione gratuita di porzione di suoli all’amministrazione comunale (pari al 50% del comparto per le RQ ed al 60% per le NI). Evidenzia inoltre che entrambe le zone citate dalla ricorrente erano già classificate come zone omogenee di tipo B dal vigente PRG e, pertanto, già ricomprese nell’ambito di un tessuto edilizio consolidato e da riqualificare.

2.3.- Il Collegio osserva al riguardo che il mancato recepimento dell’osservazione n. 195/2 e la conseguente classificazione dell’area della ricorrente I.B. quale ZNI appare contraddittoria rispetto alle definizioni contenute nel Piano urbanistico comunale, definizioni trasfuse dal progettista del piano nella relazione illustrativa, propedeutica alla redazione del piano medesimo.

In particolare, nella citata relazione le zone di riqualificazione sono definite quali aree inserite all’interno del tessuto urbano centrale, aree periferiche e in alcuni casi marginali della città. "Di fatto" -è espressamente citato- "si tratta di vuoti all’interno di parti di città già urbanizzate, nelle quali l’occasione della trasformazione è finalizzata al completamento dei tessuti edilizi esistenti, alla creazione di nuovi spazi pubblici, alla riqualificazione del tessuto insediativo della città con l’inserimento di nuove funzioni residenziali, terziarie e di servizio alle persone".

Il Collegio evidenzia poi che:

– l’art. 16 delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PUC definisce le zone di nuovo impianto (NI) quelle "parti del territorio non edificato nelle quali sono previsti interventi di ristrutturazione urbanistica"; mentre le zone di riqualificazione (RQ) quelle "parti del territorio poste entro il tessuto urbano esistente, ancora in edificate o prevalentemente non edificate, pianificate o meno, nelle quali realizzare interventi di nuova edificazione"

– le due zone sono classificate "di trasformazione" mediante il principio della perequazione urbanistica; per entrambe, le modalità attuative prevedono il permesso di costruire convenzionato o altre procedure attuative previste dalle leggi vigenti, nonché la cessione di aree per servizi, in ossequio agli standards urbanistici.

Dalle tavole di zonizzazione, e comunque in quelle di inquadramento generale del PUC, i suoli di proprietà dei ricorrenti costituiscono l’unica area non edificata al centro di quartieri centrali ed in prossimità del centro storico della città.

E’ chiaro allora che, sulla base delle determinazioni assunte dagli atti programmatori, l’area di proprietà della ricorrente non può essere inclusa nella zona NI per la quale il PUC fornisce la seguente definizione: "parti del territorio poste ai margini del tessuto consolidato della città, nelle quali obiettivo prioritario del piano è la configurazione dei limiti della città.".

In questo senso, non si entra nel merito della scelta discrezionale dell’amministrazione comunale circa l’attribuzione dell’area ad una particolare qualificazione, ma si censura semplicemente che in concreto il tipo di classificazione adottato per l’area in questione non sia coerente con i principi, l’architettura e le definizioni stabilite nel PUC. Per questo aspetto i provvedimenti censurati, appaiono deficitari nella motivazione e contraddittori rispetto alle scelte poste nel PUC.

Appare evidente la disparità di trattamento in relazione alla classificazione da parte dello stesso PUC rispetto ad aree simili a quelle di proprietà di parte ricorrente.

3.- Con il terzo e quarto motivo di ricorso che, anch’essi, per ragioni di contiguità ed omogeneità di oggetto possono ricevere trattazione congiunta, parte ricorrente censura in sostanza l’illegittimità del PUC per motivazione erronea, contraddittoria e sviata nonché per difetto d’istruttoria nella parte in cui, con riferimento ai fondi di parte ricorrente, attribuisce la destinazione d’uso "Residenza e Terziario" anziché "Residenza con Piano Terra (P.T.) – Servizi alle persone (come richiesto dal precedente proprietario con l’osservazione n. 195/1, respinta dal Comune in sede di adozione del PUC stesso).

I motivi sono fondati.

Il collegio rileva al riguardo che, con la richiamata osservazione n. 195/1, formulata dal precedente proprietario al quale è subentrato l’odierna ricorrente, si era chiesto di modificare le previsioni del PUC, relativamente alle destinazioni d’uso, da "Residenza a terziario" a "Residenza con P.T. -Servizi alle persone".

L’osservazione era accolta dai progettisti del PUC con il codice A7, posto che "dalle verifiche effettuate risultano corrette le osservazioni e i rilievi circa la nuova classificazione dell’edificio e dell’area normativa.". La stessa era però rigettata dal consiglio comunale, con la delibera n. 18/13 del 23.1.2006, senza che venisse fornita adeguata motivazione ma col semplice rinvio "al documento della maggioranza relativamente al punto residenziale e terziario" nel quale è indicato che "l’incremento delle quote di residenziale comporrebbe una verifica di tutti gli standard urbanistici che allo stato non è possibile effettuare". Questa indicazione non tiene però in alcun conto la circostanza che le verifiche sono state effettuate dal progettista del PUC, proprio ai fini dell’esame delle osservazioni.

Emerge quindi la carenza d’istruttoria e l’insufficiente motivazione nella decisione assunta dall’amministrazione comunale.

Sostiene la resistente amministrazione comunale che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici ma semplici apporti collaborativi; pertanto il loro rigetto o accoglimento non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio (richiama al riguardo giurisprudenza del Consiglio di Stato, n. 4024/2009; 2709/2008; 5337/2007).

Il rilievo è in astratto condivisibile. Tuttavia, nel caso in esame non può trascurarsi la circostanza che il progettista del PUC aveva in prima battuta espresso una sua valutazione positiva in merito all’osservazione. Ora, posto che il progettista si presume in grado, più degli altri, di formulare un giudizio tecnico attendibile e calibrato su eventuali osservazioni, non solo per le sue supposte competenze professionali ma perché è colui che, avendo predisposto il piano nella fase progettuale, si reputa esserne a conoscenza dei singoli aspetti e, quindi, in grado di valutare le implicazioni che eventuali variazioni possano produrre sull’armonia complessiva del piano. E’ per questo che il consiglio comunale, nel momento in cui si è espresso sulle osservazioni di parte ricorrente, avrebbe dovuto motivare in misura più approfondita e circostanziata le ragioni del diniego, rendendo esplicite anche le ragioni della difformità di giudizio rispetto alla conclusioni positive del progettista.

In disparte questa considerazione, l’incongruità della motivazione emerge comunque dall’affermazione circa l’impossibilità di accogliere le osservazioni a causa dei tempi ristretti che non consentirebbero di condurre un’approfondita verifica tecnica sulle stesse, per il ricalcolo degli standards. In disparte la considerazione che tale verifica era già stata condotta dal progettista, ancorché il consiglio comunale non ne abbia tenuto in alcun conto, tuttavia è palese che una motivazione la quale si appigli ad elementi di natura temporale e politica, del tutto estranei ai risvolti tecnici connessi all’osservazione, si mostra palesemente insufficiente ed incongrua.

Nella motivazione del provvedimento sono indefettibili i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che anno determinato la decisione dell’amministrazione in virtù delle risultanze dell’istruttoria.

3.- E’ invece infondato quinto motivo di ricorso, col quale parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità del PUC per motivazione erronea, contraddittoria e sviata, nonché per difetto d’istruttoria, nella parte in cui, respingendo l’osservazione n. 195/5, avanzata dal precedente proprietario, non calcola, in aggiunta alla volumetria realizzabile sul fondo, la volumetria costituita da due edifici rurali insistenti sul fondo.

Parte ricorrente fa presente al riguardo che, all’interno dell’area interessata identificata dal PUC quale zona di nuovo impianto NI 05, ricadono due edifici rurali, per entrambi i quali è stato anche espresso parere urbanistico favorevole per la ricostruzioni ai fini della L. n. 219/198 e, per uno dei quali, richiesto ed ottenuto sanatoria ai sensi della L. n. 47/1985 per ampliamento di volumetria.

Ciò posto, con l’osservazione n. 195/5, è stato chiesto che tali volumetrie derivanti dalla ricostruzione siano convertite in Superficie lorda di pavimento (cd. S.P.L.) e siano realizzate, insieme con le relative pertinenze, come approvate ai fini della legge 2129/1981, in aggiunta alla SPL prevista per il comparto, con localizzazione a definirsi nello stesso comparto in funzione della disposizione finale da realizzarsi.

Il motivo non è condivisibile per le ragioni di seguito esposte.

La ricostruzione dei due edifici danneggiati dal sisma non è preclusa dalle previsioni del PUC; tuttavia si condivide sul punto con le posizioni assunte dall’amministrazione comunale secondo cui, nell’ambito di una zona omogenea (qual è il comparto NI05), non è possibile incrementare l’indice di utilizzazione territoriale per la ricostruzione dei due edifici. Per questa ragione appare ragionevole che dall’indice di utilizzazione territoriale debbano essere sottratte le superfici degli edifici esistenti o comunque da ricostruire. Appaiono infatti prevalenti le esigenze di non superare i limiti di densità edilizia fissati dal PUC nelle singole zone omogenee.

Ciò appare giustificato e conforme alle definizioni generali contenute all’art. 1, punto 9, delle norme di attuazione del PUC, nelle quali è riportato che "Superfici territoriali e fondiarie asservite per il calcolo degli indici di edificabilità territoriale e fondiaria. IN caso di frazionamento della proprietà di aree si fa riferimento, ai fini del calcolo delle capacità edificatorie, alla situazione esistente alla data di adozione del PUC, tenendo conto degli edifici già esistenti sulle medesime aree.

Nell’ambito di una zona omogenea suscettibile di trasformazione è stabilito un indice di utilizzazione territoriale (art. 1, punto 13 NTA) col quale è stabilito il rapporto tra la superficie lorda edificata o edificabile e la superficie territoriale, rapporto che indica i metri quadrati di superficie lorda edificata o edificabile per ogni metro quadrato di superficie territoriale; è chiaro che il superamento di tale rapporto vanificherebbe le capacità edificatorie massime stabilite per ciascuna zona.

4.- Non condivisibile è di conseguenza il sesto motivo col quale parte ricorrente lamenta la disparità di trattamento posta in essere dall’amministrazione tra l’osservazione n. 195/5 ed altre osservazioni analoghe relative a richieste di ricostruzione di edifici danneggiati per effetto del sisma; per questo riporta le osservazioni accolte dal consiglio comunale.

Nota il collegio al riguardo, che le osservazioni riguardanti la possibilità di ricostruire gli edifici danneggiati sono solo in apparenza analoghe a quelle formulate dal ricorrente; il loro contenuto è invece diverso perché con le stesse si chiede di scorporare o stralciar dal perimetro del comparto dell’area di sedime relativa al fabbricato ricostruito o da ricostruire; in questo modo si evita che si possa beneficiare due volte dell’eventuale accoglimento dell’osservazione.

6.Tutto ciò premesso, il ricorso va accolto nei sensi e nei limiti di cui in motivazione con conseguente annullamento per quanto di ragione degli atti impugnati.

Non può accogliersi la richiesta di risarcimento dei danni, posto che la stessa è stata genericamente enunciata nell’epigrafe del ricorso ma non è suffragata da alcuna evidenza probatoria o ulteriore elemento che ne circoscriva esattamente il suo ambito. In ogni caso, il collegio è dell’avviso che la tutela demolitoria degli atti impugnati appare di per sé ampiamente satisfattiva delle pretese di parte ricorrente.

7.- Le spese in considerazione della complessità della materia, dell’accoglimento relativo a quattro motivi di ricorso, possono compensarsi tra le parti costituite.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento per quanto di ragione degli atti con lo stesso impugnati.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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