Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-03-2011) 29-04-2011, n. 16605

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Torino con sentenza del 19.2.2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ivrea del 16.1.2008, esclusa la recidiva e concesse le attenuanti generiche rideterminava la pena inflitta al ricorrente in anni tre e mesi dieci di reclusione ed Euro 700,00 di multa per estorsione e usura ai danni di C.D. B..

La Corte territoriale riteneva provata la responsabilità del ricorrete alla luce delle dichiarazioni precise e analitiche della parte offesa riscontrate dalle stesse ammissioni dell’imputato di avere corrisposto somme al C. senza plausibili ragioni e sempre in contanti, dal rinvenimento di cambiali rilasciate dalla parte offesa, dalle dichiarazioni rese dal teste M. che in dibattimento aveva inizialmente tentato di ritrattare quanto inizialmente dichiarato, nonchè dalle deposizioni rese da parte dei parenti della parte offesa ed infine dalle dichiarazioni e rese in istruttoria dal teste L. acquisite ex art. 512 c.p.p. che aveva riferito di un tentativo di arrivare ad una composizione dei rapporti davanti ad un avvocato. Le frase pronunciata da parte dell’imputato era certamente intimidatoria ed era confermata da una frase analoga percepita dal padre della parte offesa.

Ricorre l’imputato che allega che non si era effettivamente accertata la credibilità delle dichiarazioni della parte offesa senza esaminare affatto gli specifici rilievi mossi nell’atto di appello.

La documentazione bancaria non confortava le dichiarazioni della parte offesa che erano prive di sostanziali conferme e dovevano essere vagliate con severità provenendo da soggetto debitore dell’imputato e quindi portatore di interessi confliggenti con quelli del ricorrente.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, deve essere dichiarato inammissibile.

Va ricordato con riferimento al vizio di motivazione che le SU. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6A 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone). Ora la motivazione della Corte territoriale appare congrua e immune da vizi logici: la Corte ha ricordato le precise dichiarazioni rese dalla p.o., riscontrate dalle stesse ammissioni dell’imputato di avere corrisposto somme al C. senza dimostrate ragioni plausibili e sempre in contanti, dal rinvenimento di cambiali rilasciate dalla parte offesa, dalle dichiarazioni rese dal teste M. che in dibattimento aveva inizialmente tentato di ritrattare quanto inizialmente dichiarato, nonchè dalle deposizioni rese da parte dei parenti della parte offesa ed infine dalle dichiarazioni e rese in istruttoria dal teste L. acquisite ex art. 512 c.p.p. che aveva riferito di un tentativo di arrivare ad una composizione dei rapporti davanti ad un avvocato.

Pertanto quanto riferito dalla parte offesa è stata vagliato attraverso molteplici riscontri. In relazione alla frase minacciosa le dichiarazioni della parte offesa sono riscontrate da quelle del padre che ha riferito di una frase sostanzialmente identica, quanto a contenuto intimidatorio, a quella che emerge dalle dichiarazioni del figlio.

Pertanto la motivazione appare congrua e logicamente coerente; mentre le cesure sono di mero fatto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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