Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-03-2011) 29-04-2011, n. 16641

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.M.;

B.G.;

presentavano istanza di riesame avverso l’ordinanza custodiate inframuraria emessa in data 10.06.2010 dal Gip presso il Tribunale di Napoli, per il delitto: – capo A) – partecipazione ad associazione mafiosa ex art. 416 bis, pluriaggravata;

il solo B.G., anche del – capo 18) partecipazione associazione finalizzata al traffico di stupefacenti D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74;

Il Tribunale del riesame respingeva il reclamo con decisione del 15.07.2010.

Ricorrono per cassazione B.M. e B.G. a mezzo dei Difensori, deducendo:

B.G.:

1) – Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e), per omessa ovvero manifesta illogicità della motivazione riguardo all’imputazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74;

– Il ricorrente censura la motivazione impugnata per avere ritenuto la sua partecipazione ad associazione dedita al traffico di stupefacenti trascurando, illogicamente, le indicazioni espresse dalla difesa ed in particolare l’esito positivo dei procedimenti "Festante ed altri" e "Longobardi ed altri" nei quali l’indagato era stato assolto dall’imputazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 ed all’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7;

– il ricorrente sottolinea come l’esito assolutorio di tali processi, relativi alle stesse imputazioni solevate nel presente procedimento, contraddiceva in maniera incontrovertibile l’accusa che, perciò, doveva ritenersi infondata;

B.M.:

1) – Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e);

– il ricorrente sottolinea di essere accusato esclusivamente con l’imputazione ex art. 416 bis c.p. per la quale, tuttavia, la motivazione risultava del tutto omessa, essendosi limitato il Tribunale ad operare un rinvio "per relationem" all’ordinanza cautelare;

tale rinvio era però frutto di un equivoco, generato dalla circostanza che riguardo a tale imputazione (ex art. 416 bis c.p.) i coimputati B.G. e C.V. non avevano formulato motivi di reclamo, essendosi limitati a censurare l’ordinanza cautelare solo per l’accusa D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74;

in realtà B.M. aveva proposto dei motivi specifici di censura proprio per l’imputazione ex art. 416 bis c.p., sicchè la sua posizione non era assimilabile a quella di B. G. e C.V., come erroneamente ritenuto dal Tribunale il quale, in sostanza, era incorso nel vizio di omessa motivazione riguardo agli specifici motivi di censura sollevati dal ricorrente;

– in ogni caso, gli elementi indiziari indicati per l’appartenenza all’associazione camorristica erano inconsistenti, atteso:

– che la dichiarante S.P.M. era inattendibile perchè sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio;

– che il dichiarante L.A. si era limitato a sottolineare il vincolo di parentela dell’indagato con il bos B.G.;

– che le intercettazioni ambientali presso il carcere evidenziavano, semmai, delle intemperanze di B.R., fratello del ricorrente, intemperanze alle quali quest’ultimo non partecipava, limitandosi ad una fase di ascolto;

Per questi motivi i ricorrenti concludono per l’annullamento della ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Il Tribunale ha precisato:

– che i predetti: B.G. e B.M., unitamente a B.R., erano indiziati ex art. 416 bis c.p., perchè aderenti al clan di stampo camorristico denominato "clan Beneduce-Longobardi" diretto ed organizzato da L. G. e B.G., unitamente a P.N. e C.S., per i territori di Quarto e Pozzuoli, operante nel campo delle estorsioni, del traffico di stupefacenti e molte altre attività illecite, attraverso il controllo del territorio realizzato anche con l’uso delle armi e in contrapposizione armata con organizzazioni rivali; – da ultimo, lo scontro tra le fazioni facenti capo a B.G. da un lato, e a L. G. dall’altro, si era acuito con la prevalenza del gruppo facente capo al primo;

– ma a partire dal marzo 2007 aveva prevalso, invece, il gruppo facente capo a L. e C., attraverso l’alleanza con il gruppo "Sarno", pur garantendosi al B. parte degli introiti provenienti dalle estorsioni;

inoltre:

– B.G. e B.R., erano indagati anche per il capo 18) relativamente alla partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, facente capo a B.G., al fine di raggiungere i fini illeciti di tale organizzazione;

– B.G. era indagato anche per una serie di reati-fine, espressamente contestati nella rubrica;

Le doglianze mosse dai ricorrenti, pur se fondate su argomentazioni diverse, non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, lungi dall’essere privo di motivazione, indica compiutamente gli elementi gravemente indiziari emersi a carico degli indagati, sottolineando:

– riguardo a B.G.:

– che nella discussione camerale e nelle memorie, i difensori avevano limitato le impugnazioni all’imputazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, ascritta al capo 18), sicchè per le restanti imputazioni – ex art. 416 bis c.p. e reati-fine concorrenti- si rinviava alla motivazione di cui al provvedimento cautelare;

– che, quanto alla contestazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, emergevano gravi elementi indiziari rinvenienti dalle dichiarazioni dei collaboratori e testimoni di giustizia: T., S. P., L., P., D.F., S.R.;

-che tali dichiarazioni apparivano intrinsecamente credibili perchè rese da soggetti provenienti da quegli stessi ambienti criminali, per operazioni alle quali avevano, sia pure in parte, partecipato direttamente;

– che i predetti dichiaranti erano attendibili, perchè le loro dichiarazioni si riscontravano reciprocamente in quanto convergenti tra loro e perchè, inoltre, risultavano confermate da riscontri esterni individualizzanti, costituiti: – dalle dichiarazioni di recente rese dal collaborante T.G., nonchè: – dalle intercettazioni telefoniche; – dai servizi di o.c.p.; ed altre attività di PG;

Si tratta di valutazioni del giudice di merito congruamente motivate ed esenti da illogicità evidenti, così da risultare incensurabili in questa sede di legittimità, sia con riferimento ai gravi indizi raccolti riguardo ai reati contestati e sia con riferimento all’attendibilità dei collaboranti di giustizia, le cui dichiarazioni risultano ampiamente riscontrate. Il ricorrente deduce che l’accusa relativa al traffico di stupefacenti sarebbe contraddetta dall’esito assolutorio dei precedenti processi ma il motivo non coglie nel segno perchè non tiene nel debito conto la motivazione impugnata che, al riguardo, osserva: – che nella presente indagine si sono ricostruite le fila della complessa struttura della gestione delle "piazze di spaccio" controllate dal "clan Beneduce- Longobardi" struttura che, tuttavia, resta "diversa e distinta" rispetto alla consorteria criminale di stampo camorristico; -che il sistema delle "piazze" nel (OMISSIS) era stato illustrato, sotto il profilo indiziario, dai collaboranti: T.C., L.A., P.A. e D.F.F., che avevano descritto il ruolo di capo-clan del B.G. (coadiuvato dal figlio R., unitamente a T.M.) nella gestione e controllo capillare delle piazze denominate: -"600 alloggi"- -"case parcheggio"- -"palazzine carro armato"-.

Le censure del ricorrente fondate sull’esito assolutorio dei precedenti processi, per un verso, sono prive di rilevo, stante l’autonomia dei singoli procedimenti e, per altro verso, si risolvono in valutazioni alternative delle stesse fonti di prova vagliate dal Tribunale, inammissibili in questa sede, ove, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se il provvedimento di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i "limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento" secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. sez 4 sent n. 47891 del 28.09.2004 – Cass. sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999; Cass. sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993).

– riguardo a B.M.: la motivazione impugnata risulta provvista dei requisiti minimi di sufficienza e congruità atteso che, premessa la descrizione dei gravi indizi relativi alla dimostrazione del "clan Beneduce-Longobardi" ed al ruolo apicale di B.G., richiama la motivazione dell’ordinanza cautelare per la posizione di B.R. e B.M., citando all’uopo i paragrafi: 4.10 e 4.11 relativi agli indizi emersi a carico dei medesimi ex art. 416 bis c.p., con espresso riferimento alle già menzionate dichiarazioni dei collaboranti dalle quali emerge il consapevole contributo apportato dai predetti M. e R. al raggiungimento degli scopi illeciti dell’organizzazione.

La sinteticità della motivazione è rapportata alla scelta processuale dei difensori di limitare la discussione dinanzi al Tribunale solo all’imputazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 e, comunque, non esclude il controllo di legittimità attraverso il meccanismo della motivazione "per relationem" con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non contengano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso.

(Cassazione penale, sez. 4^, 17 settembre 2008, n. 38824); elementi di novità insussistenti anche nell’odierno ricorso, ove si sono ripercorse le censure sulla mancanza di attendibilità e credibilità dei collaboranti sopra menzionati, riguardo al quale aspetto il Tribunale ha, invece, ampiamente motivato, come sopra riportato.

In proposito va ricordato che, in tema di misura cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto alfine giustificativo del provvedimento, (vedi Cassaz. Pen., sez. 4^, 06.07.2007 n. 37878).

Consegue il ricorso dei ricorsi con condanna dei ricorrenti alle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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