Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-03-2011) 29-04-2011, n. 16637

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.S. presentava istanza di riesame avverso l’ordinanza custodiate emessa in data 10.06.2010 dal Gip presso il Tribunale di Napoli, per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, ex art. 416 bis c.p.;

Il Tribunale del riesame respingeva l’istanza con decisione del 14.07.2010.

Ricorre per cassazione il R. a mezzo del suo Difensore, deducendo:

1) – Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per omessa e manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame aveva ritenuto sussistenti le esigenze cautelari sulla scorta di elementi indiziari di carattere dichiarativo e, precisamente, sulla scorta di propalazioni accusatorie di alcuni pentiti, senza illogicamente considerare che tali dichiarazioni erano smentite dalle risultanze processuali, fondate essenzialmente sulle numerosissime intercettazioni telefoniche nelle quali, però, non emergeva la condotta addebitata all’indagato nè veniva chiarito il ruolo che avrebbe avuto nell’associazione criminosa;

– per altro verso, la motivazione era illogica per avere descritto con precisione gli elementi indiziari emersi a carico degli altri coimputati mentre si era limitata ad una generica indicazione degli elementi esistenti a carico dell’indagato, in assenza di riscontri dalle parti offese quanto alle imputazioni di estorsione;

Per questi motivi il ricorrente conclude per l’annullamento della ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, lungi dall’essere privo di motivazione, indica compiutamente gli elementi gravemente indiziari emersi a carico dell’indagato, sottolineando:

– che diversi collaboratori di giustizia indicavano il R. come; "(OMISSIS)", nella qualità di partecipe in posizione apicale al clan camorristico denominato "clan Beneduce- Longobardi", capeggiato da B.G. e L.G., egemone sui territori di Quarto e Pozzuoli, unitamente ai capi clan P.N. e C.S.;

– che, in particolare, il collaboratore T.C. aveva precisato che il R. era incaricato di riscuotere il ricavato delle attività illecite per conto del clan, tanto che anche il medesimo T. aveva l’abitudine di versare al predetto il 50% del ricavato della varie attività criminose;

– che la collaborante S.P.M. aveva dato parziale riscontro a tale circostanza, affermando che il R. era molto vicino al B.G. – di cui la collaborante era l’amante – tanto da pranzare insieme al predetto;

– che il collaborante Lu.Al. aveva precisato: – che il R. veniva denominato "(OMISSIS)" perchè titolare di un negozio di vetraio; – che era stato in precedenza interno al clan Longobardi, ove aveva avuto anche l’incarico di "tenere i soldi del gruppo"; -che in tale periodo e nell’ambito delle "guerre" tra gruppi contrapposti vi era stato anche un tentativo di omicidio a suo danno, nel quale restò ucciso il suo autista D. S.G.;

-che il collaborante Pe.An. conferma parzialmente queste circostanze precisando: – che l’indagato era stato interno prima al clan Longobardi e poi al clan Longobardi-Beneduce; – che rivestiva un ruolo apicale tanto da passar la "mesata" per conto del clan al medesimo Pe.; – che era responsabile anche del settore estorsioni (unitamente a (OMISSIS) e Co.Ge.) sicchè, in tale ruolo, lo aveva mandato a compiere un’estorsione ai danni di un deposito di barche in Agnano; – che il collaborante D. F.F. aveva confermato i ruolo apicale del R. nel campo delle estorsioni nella zona di Agnano e Pozzuoli per conto del clan;

il Tribunale osserva che le molte dichiarazioni accusatorie riguardanti il R., oltre che convergenti tra loro:

erano state riscontrate: – sia da alcune lettere intercettate dal carcere di Secondigliano, confermative dei rapporti dell’indagato con il B.G. e: – sia dalla sentenza di condanna emessa in data 25.06.08 a carico dello stesso R. per il reato di estorsione ai danni di una concessionaria di automobili, estorsione effettuata al fine di favorire il clan di B.G.;

Si tratta di valutazioni del giudice di merito congruamente motivate ed esenti da illogicità evidenti, così da risultare incensurabili in questa sede di legittimità.

Le censure del ricorrente si fondano su interpretazioni diverse delle stesse fonti di prova ovvero su una valorizzazione particellata di alcuni passaggi delle varie dichiarazioni, a discapito di altre, che si risolvono in valutazioni alternative delle stesse fonti di prova, inammissibili in questa sede, ove, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se il provvedimento di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i "limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento" secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. sez. 4 sent n. 47891 del 28.09.2004 – Cass. sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999; Cass. sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993).

La motivazione impugnata sottolinea come le dichiarazioni dei vari collaboranti siano specifiche, con riferimento a condotte precise, ed evidenzia la convergenza delle varie dichiarazioni al fine di ricavarne i necessari riscontri individualizzanti essendo noto come, ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’emissione della misura cautelare, le dichiarazioni provenienti dai collaboratori di giustizia possono fornire un adeguato supporto indiziario anche quando siano riscontrate esclusivamente attraverso l’incrocio di dichiarazioni provenienti da soggetti diversi.

Cassazione penale. sez. 6, 14 febbraio 1997. n. 662.

In proposito va ricordato che, in tema di misura cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto alfine giustificativo del provvedimento, (vedi Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Consegue l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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