Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-03-2011) 29-04-2011, n. 16631

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Catania, con ordinanza del 15.06.2010, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di:

B.F. perchè indagato per concorso esterno nell’associazione mafiosa denominata "clan Bottaro-Attanasio" ex artt. 110 e 416 bis c.p., operante nel territori di Siracusa al fine di compiere i reati-fine:

– di illecita concorrenza aggravata;

– di truffa – di estorsione;

L’indagato proponeva impugnazione ed il Tribunale per il riesame di Catania, con ordinanza del 16.07.2010, annullava l’ordinanza impugnata nei confronti di B.F. quanto all’imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa ex artt. 110 e 416 bis c.p.; escludeva, nel contempo, l’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 e confermava il provvedimento impugnato quanto alle residue imputazioni per i reati satellite contestati al medesimo.

Avverso tale decisione del Tribunale della libertà, ricorre per cassazione l’indagato a mezzo del difensore di fiducia, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

– Con il primo motivo, il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 292 c.p.p. in quanto dal contesto dell’ordinanza non potevano desumersi gli estremi dei fatti contestati ed, in specie, mancava ogni riferimento al luogo ed alla data del contestato reato;

– con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 273 c.p.p. atteso che il Tribunale, pur avendo escluso l’esistenza del reato associativo e dell’aggravante D.P. n. 152 del 1991, ex art. 7, non aveva tratto le conseguenze che scaturivano da tale decisione ed aveva omesso di individuare con precisione gli elementi indiziari per ciascuno dei reati superstiti, ormai non più riconducibili all’ambito associativo;

– in particolare, nessun riferimento sarebbe stato espresso riguardo alle condotte adottate nelle varie estorsioni contestate e veniva trascurata la circostanza che nessun atto di violenza o di minaccia era attribuibile al B.;

– con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 274 c.p.p. perchè, una volta esclusa l’ipotesi associativa, diveniva illogico giustificare la misura cautelare con la necessità di recidere ogni legame dell’indagato con l’ambiente criminale;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Il primo motivo, legato alla violazione dell’art. 292 c.p.p. è del tutto infondato, dovendosi condividere l’impostazione data dal Tribunale nell’ordinanza impugnata laddove si è sottolineato che, per costante giurisprudenza, è sufficiente la "descrizione sommaria del fatto" funzionale alle esigenze difensive dell’indagato;

Cassazione penale, sez. 5, 07 marzo 2007, n. 15134 contrariamente a quanto sostenuto nei motivi di ricorso, il luogo del reato è chiaramente indicato nell’ordinanza cautelare con riferimento alla sede in cui si trovavano gli esercizi presi di mira e precisamente:

– Bar "(OMISSIS)" di C.G.;

– Bar "(OMISSIS)" di V.R., e così tutti gli esercizi commerciali di volta in volta citati nell’ordinanza cautelare; quanto al tempo, lo stesso capo di imputazione colloca i fatti nel periodo tra il maggio 2008 e il 31.01.2009;

Si tratta di una motivazione del tutto conforme alla giurisprudenza di legittimità, costante nel ritenere che ai fini della validità dell’ordinanza che disponga una misura cautelare, il requisito della descrizione sommaria del fatto, pur non dovendo necessariamente essere formalizzato in un autonomo capo di imputazione, deve tuttavia risultare in modo inequivocabile, e sin dal momento dell’emissione, dal contesto del provvedimento, in quanto funzionale all’esigenza dell’indagato di difendersi mediante il confronto tra i fatti contestati e la valenza indiziaria degli elementi posti a sostegno della misura. Cassazione penale, sez. 5, 07 marzo 2007. n. 15134.

Quanto al merito, si deve rilevare che le doglianze non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali che appaiono immuni da vizi logici o giuridici. Va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Il Tribunale ha ampiamente, congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza riguardo alle imputazioni ex artt. 110, 81 cp. e 513 bis c.p., ascritti ai capi B) e C) della rubrica, osservando che i gestori dei bar "(OMISSIS)" ( V.R.) "(OMISSIS)" ( G.R.) e la parte offesa C. G., avevano descritto i metodi estorsivi praticati da P. G. che, unitamente ai suoi sodali, tra cui anche il ricorrente B.F., imponeva loro l’installazione delle macchine di "video-gioco" nonchè le clausole vessatorie per la divisione degli utili; al riguardo il ricorrente sostiene che nessuna condotta illecita sarebbe emersa a suo carico ma trascura di considerare che i fatti sono contestati a titolo di concorso ed è nota la giurisprudenza che sostiene, come anche la semplice presenza, purchè non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato è sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa, quante volte sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o un maggiore senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa. Cassazione penale, sez. 2, 08 ottobre 2008, n. 40420 in realtà, l’ordinanza non si limita a segnalare la prova in ordine alla presenza del B. negli esercizi oggetto delle vessazioni ma segnala, significativamente, anche il ruolo attivo svolto dal ricorrente che il V. indica tra coloro che si occupavano anche della contabilità e del prelievo del denaro proveniente dai predetti macchinari; (pag. 7 motivaz.).

Tali principi inducono a ritenere inammissibili anche i motivi relativi alla ricorrenza delle esigenze cautelari, atteso che sul punto il Tribunale ha evidenziato il concreto rischio di recidiva, tratto dalla elevata pericolosità dimostrata dall’indagato che "ha agito in concorso con altri soggetti e per un apprezzabile arco di tempo";

Il Tribunale ha compiuto così una valutazione di puro fatto, in ordine al pericolo di recidiva, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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