Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-03-2011) 29-04-2011, n. 16630

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Svolgimento del processo

F.S. presentava istanza di riesame avverso l’ordinanza custodiale emessa in data 24.06.2010 dal Gip presso il Tribunale di Napoli, per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, ex art. 416 bis c.p.;

Il Tribunale del riesame respingeva l’istanza con provvedimento del 13.07.2010.

Ricorre per cassazione il F. a mezzo del suo Difensore, deducendo:

1) – Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per omessa ovvero manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente lamenta che il Tribunale aveva ritenuto sussistenti le esigenze cautelari sulla scorta di propalazioni accusatorie di alcuni pentiti, senza illogicamente considerare che le stesse erano smentite dalle risultanze processuali atteso che dalle numerosissime intercettazioni telefoniche non emergeva alcun contatto tra l’odierno ricorrente ed personaggi indicati dai dichiaranti come partecipi al sodalizio criminale;

per altro verso, la motivazione era illogica per non avere considerato che nelle varie dichiarazioni, valorizzate ai fini del reato associativo, si attribuivano al F. anche gravi delitti, quali: omicidi e traffico di stupefacenti in ordine ai quali, però, non era stata sollevata alcuna imputazione;

– a parere del ricorrente, la mancata imputazione al F. di tali gravi reati, privava di credibilità le dichiarazioni dei pentiti e sottolineava la mancanza di riscontri obiettivi ed individualizzanti;

– il ricorrente ripercorre, infine, le dichiarazioni di ciascuno dei dichiaranti, evidenziandone per ciascuno l’inattendibilità;

Conclude per l’annullamento della ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, lungi dall’essere privo di motivazione, indica compiutamente gli elementi gravemente indiziar emersi a carico dell’indagato, osservando:

– che il medesimo, detto " S.", risulta partecipe in posizione apicale del clan camorristico capeggiato dal fratello B. G.;

– che diversi collaboratori di giustizia lo indicano come fido e diretto collaboratore di B.G. nella pianificazione delle attività illegali del clan;

– che, in particolare, il collaboratore T.G. descrive il F. come partecipante a riunioni di vertice del clan, in presenza di soggetti posti in posizione preminente quali: B.G., D.C.F., D.F.R., riunioni nelle quali si discuteva della spartizione dei proventi da estorsione;

– che la collaborante S.P.M., aveva ricordato che l’indagato gestiva un birreria per conto del fratello B. G. ed era coinvolto nel traffico di stupefacenti, svolto in località "palazzine";

– che tale circostanza risultava riscontrata dalle dichiarazioni del collaboratore P.A. laddove aveva riferito che il F. si riforniva di cocaina dal bos To.Sa.;

– che, per altro verso, il dichiarante D.F.F. aveva descritto la posizione del F. all’interno dell’organizzazione ove, in assenza del capo clan, assumeva il comando del sodalizio, restando coinvolto nell’omicidio di Pe.Ga. nonchè in altri omicidi;

– che i dichiaranti erano intrinsecamente credibili perchè provenienti dal contesto criminale descritto ed erano provvisti di adeguati riscontri individualizzanti, essendo le varie dichiarazioni convergenti e sovrapponibili tra loro ed essendo, altresì, certa l’identificazione dell’indagato, denominato " S.".

Si tratta di valutazioni del giudice di merito congruamente motivate ed esenti da illogicità evidenti, così da risultare incensurabili in questa sede di legittimità.

Le censure del ricorrente si fondano su interpretazioni diverse delle stesse fonti di prova ovvero su una valorizzazione parcellizzata di alcuni passaggi delle varie dichiarazioni a discapito di altre, che si risolvono in valutazioni alternative delle stesse fonti di prova, inammissibili in questa sede, ove, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se il provvedimento di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i "limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento" secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. sez 4 sent n. 47891 del 28.09.2004 – Cass. sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999; Cass. sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993).

La motivazione impugnata sottolinea come le dichiarazioni dei vari collaboranti sono specifiche, con riferimento a condotte ben individualizzate, ed evidenzia la convergenza delle varie dichiarazioni al fine di ricavarne i necessari riscontri individualizzanti essendo noto come, ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’emissione della misura cautelare, le dichiarazioni provenienti dai collaboratori di giustizia possono fornire un adeguato supporto indiziario anche quando siano riscontrate esclusivamente attraverso l’incrocio di dichiarazioni provenienti da soggetti diversi. Cassazione penale, sez. 6, 14 febbraio 1997, n. 662.

I principi ora ricordati evidenziano l’infondatezza anche dei motivi nei quali si censura come illogica la motivazione per non avere considerato che dalle predette dichiarazioni dei collaboranti non era scaturita alcuna imputazione a carico del ricorrente per i vari delitti che gli erano stati attribuiti, atteso che la misura cautelare in oggetto si colloca nell’ambito delle indagini preliminari, suscettibili di evoluzione alla luce delle indagini in corso e la stessa imputazione deve ritenersi provvisoria e suscettibile di modifiche. In proposito va ricordato che, in tema di misura cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto alfine giustificativo del provvedimento, (vedi Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Inoltre il giudice di merito, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’imputato, non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi prospettati dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del fatto e delle risultanze processuali, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della adozione del provvedimento cautelare rimanendo implicitamente disattese e superate tutte le altre argomentazioni.

Consegue l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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