Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-02-2011) 29-04-2011, n. 16604

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Torino con sentenza del 25.3.2010, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Mondovì in composizione monocratica in data 12.2.2009, in accoglimento dell’appello del P.G. dichiarava che la concessa attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 era equivalente alla contestata recidiva e rideterminava la pena in anni tre di reclusione ed Euro 600,00 di multa per rapina.

Si tratta di una rapina impropria in quanto l’imputato, dopo essersi impadronito di un registratore di cassa e di alcuni oggetti di proprietà della ditta il Baretto srl, minacciava R.L. e T.P. con la frase "fermati o ti ammazzo". La Corte territoriale ricordava le dichiarazioni dei testi G. e T. sulla frase pronunciata dall’imputato. Rilevava ancora che la contestata recidiva dichiarata equivalente impediva che si considerasse solo l’accertata attenuante e quindi ritenuta come detto l’equivalenza tra le stesse rideterminava la pena inflitta.

Ricorre l’imputato che allegava la carenza motivazionale della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta rapina nella quale non si attentamente vagliata l’attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi in orine alla frase assseritamente pronunciata dall’imputato.

Inoltre le dichiarazioni delle parti civili erano contraddittorie con quanto dichiarato invece dal teste G.M..

In realtà l’imputato aveva pronunciato la frase "mi sto ammazzando" in quanto per fuggire dal locale ove era avvenuto il furto si era pacificamente ferito.

Con il secondo motivo si deduce che la recidiva anche con il nuovo sistema era facoltativa e che il giudice avrebbe dovuto motivare in ordine alle sue scelte, mentre non si erano considerate precise circostanze addotte dall’imputato circa le proprie condizioni personali.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa il primo motivo si tratta di una censura puramente di fatto in quanto la frase di cui all’imputazione, di chiara efficacia intimidatoria anche in relazione alle circostanze in cui avvenne il fatto, risulta essere pronunciata alla luce delle deposizioni concordi dei G. e To.; mentre la tesi difensiva per cui in realtà il ricorrente avrebbe pronunciato la diversa frase "mi sto ammazzando" è rimasta senza riscontri. La motivazione appare congrua e logicamente coerente, mentre, come detto, le censure sono di merito, inconferenti in questa sede.

Circa il secondo motivo la recidiva ben poteva essere applicata avendo natura discrezionale e le circostanze addotte nel ricorso non appaiono pertinenti in relazione a tale applicazione essendo semmai relative alla determinazione della pena, come da motivo di appello all’epoca avanzato e non riproposto in quanto tale in questo grado.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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