Cons. Stato Sez. IV, Sent., 29-04-2011, n. 2544 Giudizio avanti i Tribunali delle Acque Pubbliche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 2465 del 2004, la S. C. s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia – Romagna, sezione staccata di Parma, n. 591 del 6 novembre 2003 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Magistrato per il Po, il Comune di Rottofreno e l’AIPO Agenzia interregionale per il Po per l’annullamento: 1) del rapporto di servizio del Magistrato per il Po -Ufficio Operativo di Piacenza – del 14/1/1999; 2) dell’ordine di sospensione dei lavori adottato dal responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Rottofreno.

Dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente, con il ricorso n. 108 del 1999, notificato il 15/3/1999 e depositato il 18/3/1999, aveva chiesto l’annullamento, previa sospensiva: 1) del rapporto di servizio del Magistrato per il Po – Ufficio Operativo di Piacenza – in data 14/1/1999; 2) dell’ordinanza di sospensione dei lavori in data 28/1/1999 adottata dal Responsabile del Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Rottofreno;

Con lettera in data 18/1/1999, indirizzata al Comune di Rottofreno e alla Procura della Repubblica presso la Pretura di Piacenza, l’Ufficio Operativo di Piacenza del Magistrato per il Po aveva comunicato di avere accertato che in fraz. S. Nicolò del Comune di Rottofreno, era in corso di avanzata edificazione un fabbricato a distanza minima di m. 5,50 dal piede dell’argine sinistro del fiume Trebbia e che lungo il piede del rilevato arginale era posta in opera una recinzione lunga 130 metri e alta 2 metri, in violazione dell’art. 96 del R.D. 25/7/1994 n. 523, che prescrive la distanza minima di ml. 10 dal piede delle opere idrauliche arginali.

In conseguenza di tale accertamento il Magistrato per il Po chiese che il Sindaco disponesse la sospensione dei lavori assentiti con concessione edilizia.

Con ordinanza in data 28/1/1999, il Comune di Rottofreno aveva ingiunto alla società ricorrente l’immediata sospensione dei lavori assentiti con le concessioni edilizie n. 84 del 18/8/1998 e n. 127 del 22/12/1998, in attesa di ogni ulteriore determinazione.

La ricorrente evidenziava l’illeggittimità dei provvedimenti per i seguenti motivi in diritto.

1) – Violazione dell’art. 4 della L. n. 47 del 1985;

I provvedimenti impugnati violano microscopicamente l’art. 4 della L. n. 47 del 1985, perché il vizio del titolo autorizzativi non costituisce legittimo presupposto dell’ordine di sospensione dei lavori, non potendo la costruzione considerarsi abusiva prima dell’annullamento dell’atto di assenso;

2) – Violazione degli artt. 3, 8, 8, 10 L. n. 241 del 1990;

In violazione dell’art. 3, comma 3, della L. n. 241 del 1990, il Comune non ha reso disponibile, mediante contestuale notificazione o in altro modo idoneo, gli atti richiamati nell’ordinanza di sospensione dei lavori.

In violazione dell’art. 3, comma 1, nessuno degli atti impugnati menziona il provvedimento che classifica il rilevato come opera idraulica di 3^ categoria.

In violazione dell’art. 8, il Comune non ha comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento di annullamento d’ufficio delle concessioni edilizie.

In violazione dell’art. 10 della L. n. 241 del 1990, il Comune non ha messo in grado la ricorrente di di prendere visione degli atti del procedimento, incorrendo anche nel vizio di eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità manifesta, dell’indeterminatezza e della confusione, non avendo indicato le finalità del provvedimento cautelare adottato.

2) – Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 96 del R.D. 25/7/1904 n. 523; Eccesso di potere;

Il rilevato in questione non può essere considerato un argine e cioè un’opera idraulica di 3^ categoria, in quanto è un cumulo di ghiaia e non un terrapieno; è coperto da piante o arbusti; è privo di cartelli di segnalazione del Magistrato per il Po; è situato in mezzo a terreni appartenenti, da entrambi i lati, a privati; da tempo immemorabile non è stato lambito dalle acque di piena.

Inoltre, a) il rilevato di ghiaia non può essere considerato opera idraulica di 3^ categoria, avendo questa la funzione di "impedire…invasioni di ghiaia o altro materiale di alluvione" (art. 7 lett. b R.D. n. 523 del 1904); b) l’art. 96 del R.D. n. 523 del 1904 vieta lavori "sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese", cioè su aree statali, contigue, senza soluzione di continuità alle acque pubbliche. Il rilevato, largo non più di 10 metri, è situato in mezzo ad aree private, a notevole distanza dall’alveo del fiume, dall’invaso di piena ordinaria e perfino dalla zona di tutela del fiume in parte edificata; c) Il rilevato non ha le caratteristiche degli argini stabilite dall’art. 96 lett. f R.D. n. 523 del 1904,essendo ricoperto da tempo immemorabile da piante e arbusti e contornato da manufatti e pertanto non ha alcuna funzione di difesa.

Tali dati non sono stati indicati nei provvedimenti impugnati, con conseguente violazione dell’art. 6 lett. a) e b) L. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per carenza di istruttoria e per motivazione insufficiente.

La mancata contestazione dell’illegittimità anche delle altre costruzioni situate a distanza inferiore dal rilevato, inficia i provvedimenti impugnati per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e dell’arbitrarietà.

3) – Falsa applicazione dell’art. 96 lett. F del R.D. n. 523 del 1904; Violazione degli artt. 7 n. 5 L. n. 1150 del 1942; 4 n. 1 lett G L. R. n. 47 del 1978; artt. 17, 18, 26, c. 8 del Piano Territoriale Paesistico Regionale; artt. 11, 26, 27 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rottofreno; Eccesso di potere;

Gli atti impugnati violano l’art. 96 lett. f R.D. n. 523 del 1904 in quanto il divieto di costruire i fabbricati a distanza inferiore ai 10 metri dagli argini, si applica solo in mancanza di "discipline vigenti nelle diverse località", cioè in assenza di norme locali a tutela delle acque pubbliche.

Nella fattispecie, il P.T.P.R. all’art. 18 vieta l’edificazione solo negli invasi di piena (art. 18 comma 2), nella fascia di 10 metri dagli invasi di piena ordinaria (art. 17, comma 10) eccettuate le aree ricadenti nell’ambito del territorio urbanizzato (art. 17 comma 3) e in una fascia di larghezza non inferiore all’altezza delle scarpate di terrazze fluviali (art. 26 comma 8).

A questo deve aggiungersi, che l’art. 11 delle n.t.a. del P.R.G. non prescrive riguardo alla zona B1 alcuna distanza dal rilevato e che l’art. 27 del P.R.G. ha recepito le norme del P.T.P.R.. e che quindi le norme locali citate consentono gli interventi sospesi dall’ordinanza impugnata.

La ricorrente richiedeva infine il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’adozione dei provvedimenti impugnati, con ammissione della prova testimoniale ai fini della quantificazione del risarcimento.

Si costituiva in giudizio, con controricorso e successive memorie, il Magistrato per il Po, eccependo, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del T.A.R. in quanto la presente causa riguarderebbe la materia delle acque pubbliche in cui ha giurisdizione il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. Nel merito, riteneva infondato il ricorso, chiedendone la reiezione, vinte le spese.

Si costituiva inoltre in giudizio il Comune di Rottofreno, chiedendo anch’esso declaratoria d’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e, nel merito, la reiezione del ricorso in quanto infondato.

Con memoria presentata in data 22/11/2002, la ricorrente riteneva infondata l’eccezione prefigurante l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del T.A.R. riguardo a materia inerente le acque pubbliche che è riservata alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche e quindi, nel merito, ribadiva le considerazioni svolte in ricorso, concludendo con richiesta di accoglimento del medesimo e della contestuale azione risarcitoria.

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le doglianze, ritenendo la propria giurisdizione e contestando nel merito la ricostruzione della natura dell’opera realizzata.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia la correttezza della propria difesa, dolendosi dell’erronea ricostruzione in fatto ed in diritto operata nella sentenza.

Nel giudizio di appello, si è costituita l’Avvocatura dello Stato per la il Magistrato per il Po e per l’AIPO Agenzia interregionale per il Po, proponendo altresì ricorso incidentale per l’accoglimento della richiesta di declinatoria di giurisdizione e, nel merito, agendo per il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
Motivi della decisione

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – In via preliminare, va ribadita la giurisdizione di questo giudice in relazione alla questione in scrutinio.

In fatto, occorre premettere che il giudizio verte sulla verifica della legittimità di un’ordinanza comunale ex art. 4 L. n. 47 del 1985 di sospensione di lavori già assentiti con concessione edilizia. La questione attiene solo indirettamente il tema delle distanze dal margine fluviale e risulta estranea al regime delle acque pubbliche. Deve quindi confermarsi la decisione del giudice di prime cure, nella constatazione che la speciale giurisdizione in materia di acque pubbliche di cui all’art. 143 comma 1 lett. a) r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, è limitata ai soli atti e provvedimenti che, ancorché emanati da autorità non specificamente preposte alla tutela delle acque pubbliche, abbiano sul regime di queste ultime un’incidenza immediata e diretta, con esclusione quindi degli atti che siano solo strumentali all’adozione di altri atti aventi tale caratteristica di diretta incidenza (in particolare, proprio in tema di concessione edilizia e dell’esclusione della giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche, si veda tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2192; tra le decisioni del giudice della legittimità in senso conforme, si veda Cassazione civile, sez. un., 14 giugno 2006, n. 13692).

La questione pregiudiziale, riproposta con appello incidentale della difesa erariale, va quindi respinta.

3. – Venendo al merito del ricorso, va valutato il primo motivo di diritto, con cui ci si duole della violazione dell’art. 4 della legge n. 47 del 1985 ed errore di procedura. Il T.A.R. avrebbe errato a ritenere legittimo l’ordine di sospensione lavori, atteso che le opere realizzate erano conforme al titolo abilitativo rilasciato, per cui era necessario procedere prima all’eventuale autoannullamento della concessione edilizia.

La censura può essere esaminata unitamente al secondo motivo, dove si lamenta il mancato avviso di avvio del procedimento di annullamento della concessione e la mancata ostensione degli atti a questo relativo.

3.1. – La doglianza non può essere condivisa.

Correttamente, il giudice di prime cure evidenzia come, dagli atti di causa, emerga che "l’intervento cautelare del Comune è dovuto alla riscontrata difformità tra quanto effettivamente realizzato, situato in parte, come ha accertato il magistrato per il Po, a distanza inferiore di m. 10 da un rilevato arginale e quanto indicato nella planimetria allegata al progetto edilizio assentito dal Comune, dove, invece, risulterebbe rispettata la predetta distanza dal piede dell’argine".

Peraltro, tale situazione, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, emerge anche dagli accertamenti condotti in sede penale, visto che, nella richiesta di archiviazione del procedimento penale r.g.n.r. 397/99 del 31 gennaio 2001, il pubblico ministero scrive che "emerge effettivamente che la costruzione realizzata dall’impresa S. C. in parte giunge a distanza inferiore a mt. 10 dal piede dell’argine".

Deve quindi confermarsi la legittimità, sotto tale profilo, dell’ordinanza gravata in prime cure, in quanto intervenuta per sospendere lavori eseguiti in difformità da quanto previsto nel titolo edilizio precedentemente assentito.

L’emissione di tale provvedimento non necessitava quindi di un intervento demolitorio dell’atto abilitativo assentito. Per tale ragione, anche la censura sul mancato avviso di avvio del procedimento deve essere respinta, non essendovi stata alcuna ragione di dare vita a tale ulteriore adempimento.

In merito poi alla mancata ostensione degli atti, occorre evidenziare come questa non emerga dagli atti, come correttamente ha notato il giudice di prime cure.

4. – Con il terzo motivo di diritto, viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 96 del R.D. n. 523 del 1904 ed eccesso di potere, atteso che l’opera realizzata non poteva costituire un argine, ossia un’opera idraulica come descritta nella disciplina invocata.

4.1. – La censura non può essere condivisa.

In questa sede, deve rammentarsi come il T.A.R. sia pervenuto all’individuazione della natura dell’opera a seguito di esplicita consulenza tecnica, la quale ha indicato, con una dovizia di esame non contrastata nel giudizio di appello, come l’opera sia da considerarsi idraulica sia dal punto di vista strutturale che funzionale. In merito al primo aspetto, la relazione tecnica ha evidenziato "..che l’impiego di ghiaia e terra era di uso corrente all’epoca, come si evince dalla descrizione del progetto, approvato dal competente Ministero ed alla base del R.D. del 1905 di classificazione in 3^ categoria delle opere, che prevedeva la costruzione di nuovi tratti d’argine colleganti tra loro le opere esistenti a costituire una difesa continua in sponda sinistra del Trebbia."; in merito al secondo aspetto, ha affermato che "non si può non riconoscere, dalle descrizioni storiche esistenti, che i terreni in sponda sinistra del Trebbia furono soggetti a ripetute inondazioni a causa di piene che, per la caratteristica torrentizia del fiume, provocarono anche la rottura degli argini esistenti. A salvaguardia delle difese furono progettati e realizzati nel tempo traversanti e pennelli con lo scopo di allontanare le acque dalle sponde e ridurre la forza d’urto della corrente".

Anche questo motivo di censura deve quindi essere respinto.

5. – Con il quarto motivo di ricorso, viene infine evidenziata la falsa applicazione dell’art. 96 lett. F del R.D. n. 523 del 1904; degli artt. 7 n. 5 della legge n. 1150 del 1942; art. 4 n. 1 lett G della legge regionale n. 47 del 1978; artt. 17, 18, 26, c. 8 del Piano Territoriale Paesistico Regionale; artt. 11, 26, 27 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rottofreno; eccesso di potere.

In concreto, viene lamentato che il giudice di prime cure non avrebbe tenuto in considerazione che le fasce di rispetto previste dalla normativa nazionale in tema di acque possono essere applicate solo in mancanza di una diversa disciplina vigente nella località. Nel caso in specie, devono quindi essere applicate le NTA del Piano Territoriale Paesistico Regionale, le quali prevedono il divieto di edificazione nella fascia di rispetto di dieci metri solo in casi ben determinati, e non valevoli nell’area in questione. Inoltre, la disciplina del Piano Territoriale Paesistico Regionale era stata recepita dal PRG del Comune, costituendo quindi un elemento a giustificazione e legittimazione della costruzione stessa.

5.1. – La doglianza va respinta.

Occorre ricordare che il divieto di costruzione di opere ad una determinata distanza dagli argini dei corsi d’acqua, previsto dall’art. 96 lett.f) t.u. 25 luglio 1904, n. 523, abbia carattere assoluto ed inderogabile, in quanto teso a consentire le normali operazioni di ripulitura e di manutenzione, e di impedire le esondazioni delle acque (Cassazione civile, sez. I, 22 aprile 2005, n. 8536; Consiglio di Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4663; Consiglio di Stato, sez. V, 26 marzo 2009, n. 1814).

La deroga contenuta nella lettera F del citato art. 96, per cui la distanza minima si applica in mancanza di "discipline vigenti nelle diverse località" è quindi di carattere eccezionale. Come è stato chiarito dalla giurisprudenza della Suprema corte, "ciò significa che la normativa locale, per prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l’eventuale deroga. Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante l’utilizzo di uno strumento urbanistico, come può essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in eventuale deroga al R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f), in relazione alla specifica condizione locale delle acque di cui trattasi" (Cassazione civile, sez. un., 18 luglio 2008, n. 19813).

In relazione al caso in specie, correttamente il giudice di prime cure si è intrattenuto nella disamina della ratio delle norme di favore indicate dall’attuale appellante, evidenziando come le stesse non consentano di individuare l’esistenza dei citati principi. Infatti, in merito alle disposizioni del P.T.P.R., la loro inidoneità "discende sia dalla loro valenza generale ed indistinta per tutto il territorio regionale sia dalla diversa finalità di tutela ambientale – propria delle norme contenute in un piano paesistico – che con esse si è inteso perseguire", mentre, per quello che riguarda il recepimento all’interno del PRG comunale, non vi è dubbio che l’art. 11 delle N.T.A. del P.R.G. in riferimento alla zona in cui si trova il rilevato arginale non detti alcuna disciplina di carattere speciale.

Deve quindi integralmente confermarsi il percorso argomentativo seguito dal giudice di prime cure.

6. – L’appello va quindi respinto, non potendosi esaminare la richiesta risarcitoria, attesa la legittimità del comportamento della pubblica amministrazione. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione decisa.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 2465 del 2004;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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