T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 29-04-2011, n. 571 Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con provvedimento n. 14988 di data 10 maggio 2010, il Prefetto di Vibo Valentia ha decretato, a carico di F.F., il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi e, con conseguente provvedimento n. 14998 di pari data, ha disposto la revoca della licenza del porto di pistola per difesa personale in capo al medesimo.

Il detto provvedimento di divieto è stato assunto a seguito di proposta avanzata dal competente ufficio di Polizia, in quanto il Franzè veniva denunciato per minaccia aggravata, commessa utilizzando la pistola che il medesimo era autorizzato a portare al seguito.

Avverso i citati provvedimenti insorge il Franzè, il quale ne chiede l’annullamento, previa sospensione cautelare.

Il ricorrente, in particolare, con un primo motivo di ricorso, rileva che il provvedimento impugnato è privo di motivazione ed è stato assunto sulla base di una semplice denuncia, per la quale l’Autorità Giudiziaria si sarebbe limitata a richiedere l’emissione di un decreto penale, che non consentirebbe di assumere il divieto di detenere armi. A fronte della denuncia, non ci sarebbero stati obiettivi riscontri di indagini, né sarebbe stata effettuata dalla Prefettura alcuna verifica volta ad accertare l’effettiva affidabilità del ricorrente medesimo. Con il secondo motivo, il Franzè, in parte ribadendo argomenti già svolti al precedente punto, rileva come la Prefettura non abbia motivato in ordine alle ragioni della nuova valutazione rispetto alle precedenti, che avevano dato luogo al rilascio del titolo abilitativo, non adducendo elementi da cui desumere un possibile abuso delle armi, limitandosi il provvedimento a richiamare con formula di stile gli artt. 11, 39, 42 e 43 del T.U.L.P.S.; il ricorrente precisa, inoltre, d’aver sempre documentato la necessità di circolare armato, per specifiche esigenze di tutela personale, essendo stato vittima della criminalità organizzata; inoltre, anche i precedenti risultanti dal casellario giudiziario -per quanto non riportati dalla Prefettura nel provvedimento impugnato e quindi non utilizzabili, in quanto costituenti motivazione postuma – non sarebbero comunque idonei a giustificare il divieto in questione. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 7, 8 e 10 bis della legge 241/90, con la conseguenza che lo stesso non ha partecipato al procedimento e non ha potuto presentare memorie difensive.

Resistono in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Vibo Valentia, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale chiede, genericamente, che il ricorso sia dichiarato inammissibile, irricevibile e comunque infondato nel merito.

Con ordinanza n. 603, assunta alla Camera di Consiglio del 28 luglio 2010, è stata respinta la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 24 marzo 2011, il Collegio ha trattenuto il ricorso in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

I primi due motivi di ricorso, essendo connessi sotto il profilo logicogiuridico, possono essere trattati congiuntamente.

Il decreto prefettizio impugnato, di data 10 maggio 2010, richiama la proposta avanzata dal competente ufficio di Polizia ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S., di divieto di detenere armi nei confronti del ricorrente, in quanto quest’ultimo è stato denunciato per "minaccia aggravata", commessa proprio utilizzando la pistola che il medesimo era autorizzato a portare al seguito.

Tale episodio è stato considerato dal Prefetto motivo sufficiente per ritenere venuta definitivamente meno la fiducia circa l’affidabilità ed il buon uso delle armi nei confronti del ricorrente.

Dalla documentazione prodotta in giudizio dalla difesa erariale, emerge che l’episodio in questione, già di per sé di evidente gravità, ha permesso di ritenere che la permanenza della disponibilità di armi, nel contesto ambientale venutosi a creare, avrebbe potuto offrire lo strumento per fatti ancora più gravi.

Tali valutazioni sono, altresì, emerse, unitamente alle determinazioni da assumere, in sede di Riunione Tecnica di Coordinamento delle Forze di Polizia, come risulta dal verbale di data 22 aprile 2010, anch’esso depositato dalla difesa dell’Amministrazione resistente.

Del resto, sotto altro profilo, benché, come rilevato dal ricorrente, i precedenti penali dello stesso non siano stati richiamati nel provvedimento impugnato quale ulteriore motivo a supporto del divieto disposto, non può non rilevarsi come questi, che risultano indicati per esteso nella proposta di divieto di detenzione armi del 3.5.2010 della Legione Carabinieri Calabria – Comando Provinciale di Vibo Valentia, non possano che suffragare l’assunto circa l’inaffidabilità del ricorrente medesimo in materia di armi

Ciò premesso, in linea generale giova ricordare che l’art. 39 del R.D. 18 giugno 1931, n. 771 dispone che il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini del precedente art. 38, alle persone ritenute capaci di abusarne.

La giurisprudenza ha chiarito che i poteri del Prefetto in tale materia sono ampiamente discrezionali e finalizzati alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, sicché i relativi provvedimenti negativi sono sufficientemente motivati mediante il riferimento a fatti idonei a far dubitare, anche solo per indizi, della sussistenza dei requisiti di affidabilità richiesti dalla normativa (tra le tante, TAR Molise, sez. I, 12 aprile 2008, n. 109), fermo restando che rientra nella discrezionalità amministrativa la valutazione, ai fini del giudizio, di singoli episodi anche risultati privi di rilevanza penale (TAR Liguria, sez. II, 28 febbraio 2008, n. 341). E’ stato, poi, precisato come non vi sia necessità di un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto, in base agli elementi acquisiti, non dia completo affidamento di non abusare delle armi, ciò proprio in funzione della finalità della norma come sopra richiamata (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 settembre 2008, n. 1223).

Il concetto di abuso delle armi, inoltre, deve essere considerato anche nel senso di un impiego non sufficientemente prudente delle stesse, da intendersi in termini estremamente rigorosi (Consiglio di Stato, sez. VI, 14 febbraio 2007, n. 616).

Va, infine, evidenziato come la giurisprudenza sia costante nel ritenere che la motivazione del provvedimento ex art 39 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, attesa l’ampia discrezionalità che lo caratterizza, non richieda una particolare ostensione dell’apparato giustificativo, potendo la stessa essere censurabile solo se del tutto mancante o se manifestamente illogica o arbitraria (a mero titolo esemplificativo, Consiglio di Stato, sez. VI 12 febbraio 2007, n. 535, id, 18 gennaio 2007, n. 63; TAR Piemonte, sez. II, 27 settembre 2008, n 2104; id, 14 aprile 2004, n. 849).

Alla luce dei principi esposti, le censure dedotte dal ricorrente in ordine alla carenza di motivazione del provvedimento impugnato non possono essere condivise.

Come sopra ricordato, la chiara disposizione di cui al citato art. 39 consente al Prefetto, nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti ai soggetti ritenuti capaci di abusarne, capacità che, nel caso in esame, si è estrinsecata nella minaccia aggravata, realizzata proprio con l’arma della cui autorizzazione si tratta.

Quanto al difetto di motivazione, si rileva come nell’atto prefettizio impugnato sia chiaramente indicato il presupposto del provvedimento medesimo – "minaccia aggravata", commessa utilizzando la pistola che il medesimo era autorizzato a portare al seguito -, con la conseguenza che non si è in presenza di una mera "formula di stile", priva di specifico e concreto contenuto o di un vuoto richiamo delle formule normative degli artt. 11, 39, 42 e 43 T.U.L.P.S.

Da quanto sopra deriva che l’indicazione delle circostanze poste alla base del provvedimento, pur nella sua sinteticità, fornisce, in considerazione di quanto esposto in precedenza, sufficiente motivazione a supporto del provvedimento medesimo, anche in considerazione dell’interva vicenda qui in esame.

Quanto al terzo motivo di ricorso, premesso che la censura può riferirsi esclusivamente agli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990 e non all’art. 10 bis, stessa legge, trattandosi di provvedimento che dispone il divieto di detenere armi e munizioni che, ovviamente, non consegue ad una istanza del ricorrente, si rileva quanto segue.

La Sezione ha già avuto modo di precisare che tra gli atti caratterizzati da particolari esigenze di celerità, per i quali lo stesso art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 consente di prescindere dalla comunicazione di avvio del procedimento, rientra il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi (tra le altre TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 settembre 2008, n. 1223; id, 16 aprile 2003, n. 1337).

Invero, la normativa in materia di porto d’armi risponde all’esigenza di proteggere la collettività dal pericolo dell’uso delle armi. Tale esigenza è soddisfatta sottraendo con celerità le armi alla disponibilità del soggetto che non fornisce più idonee garanzie di non abusare delle stesse. A ciò consegue che tutti i provvedimenti in materia, essendo preordinati alla salvaguardia dell’incolumità delle persone, sono rivestiti dal carattere dell’urgenza, dovendo rispondere ad esigenze di particolare celerità. In tali casi, pertanto, può anche essere omessa la comunicazione di avvio del procedimento prevista dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e ss.mm., come espressamente indicato nei provvedimenti impugnati (in tal senso Consiglio di Stato, sez. VI, 7 febbraio 2007, n. 509; Consiglio di Stato, sez. VI, 9 maggio 2006, n. 2528; TAR Piemonte, sez. II, 11 marzo 2008, n. 391; TAR Umbria, 13 febbraio 2008, n. 73; TAR Marche, sez. I, 15 maggio 2007, n. 767; TAR Liguria, sez. II, 14 gennaio 2008, n. 29).

In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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