Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-01-2011) 29-04-2011, n. 16681 Istituti di prevenzione e di pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Roma, ha respinto la richiesta avanzata dal condannato B.G., detenuto in espiazione di una pena residua di anni undici e mesi undici di reclusione, di proroga della detenzione domiciliare per grave infermità fisica, a lui concessa ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 ter ord. pen. dal Tribunale di sorveglianza di Messina e già più volte prorogata dal Tribunale di sorveglianza di Bologna.

2. – Ricorre per cassazione il condannato, personalmente, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 147 cod. pen. e art. 47 ter, comma 1 ter, ord. pen., nonchè per manifesta illogicità della motivazione.

Nel ricorso, premesse le complesse vicende detentive e morbose del B., affetto da "un’importante obesità, con indicazione all’intervento chirurgico, e patologie cardiocircolatorie di rilevante entità", si deduce, In particolare, che l’ordinanza impugnata è inficiata da almeno tre macroscopici vizi, ravvisati:

2.1.a. – nell’aver valorizzato, quale elemento ostativo alla concessione della richiesta proroga della detenzione domiciliare, la circostanza che il periodico monitoraggio ed i continui controlli richiesti dalle condizioni di salute del condannato – definite, alla luce di un recente elaborato peritale, "di una certa rilevanza", anche se attualmente stazionarie – ben potevano "essere effettuati anche in istituto o ricorrendo a temporanei ricoveri ex art. 11 ord. pen.", laddove "la necessità di costanti contatti con i presidi sanitari territoriali", in uno con la "particolare gravità delle condizioni di salute", rappresenta, in effetti, uno degli elementi legittimanti, nell’ambito di una lettura costituzionalmente orientata degli artt. 147 cod. proc. pen. e 47 ter ord. pen., l’adozione della richiesta misura alternativa, volta ad impedire trattamenti contrari al senso di umanità e non rispettosi del fondamentale diritto alla salute;

2.1.b. – nell’aver valorizzato quale ulteriore elemento contrario all’accoglimento dell’istanza, la circostanza che, sebbene le gravi patologie da cui è affetto il B. sarebbero suscettibili di miglioramenti "tramite interventi … sollecitati sin dal 2007", gli stessi ancora non risultavano eseguiti, senza considerare che la scelta di rimandare l’esecuzione dell’intervento di "diversione bilio- pancreatica", in base alle stesse risultanze processuali (perizia del professor C.; parere del dotto F.) è da attribuirsi, in realtà, non già ad una volontà non collaborativa del ricorrente, come adombrato dal tribunale, quanto piuttosto, all’elevatissimo rischio cardiologico, che rende la grande obesità diagnosticata al condannato, "non correggibile chirurgicamente";

2.1.c. – nell’aver valorizzato, infine, ai fini del rigetto dell’istanza, l’asserita elevata pericolosità sociale del B., desunta oltre che dalla "storia criminale" del condannato, anche dall’esistenza a suo carico di numerosi procedimenti penali pendenti, relativi anche a reati di particolare gravità (omicidio), senza considerare, per un verso, quanto ai procedimenti pendenti, il principio costituzionale di non colpevolezza, e quanto alla durata della pena da espiare, che secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, trattasi di dato "ininfluente ai fini della valutazione dei presupposti della sospensione".
Motivi della decisione

1. – Il ricorso appare, nei termini che si diranno, fondato.

1.1. – Il Tribunale, nella parte iniziale del provvedimento impugnato, ha richiamato: "la diagnosi" sulla cui base il Tribunale di sorveglianza di Messina aveva concesso al B. la detenzione domiciliare, precisando che in essa si evidenziava che il ricorrente era affetto da una "importante obesità con indicazione all’intervento chirurgico e patologie cardiocircolatorie di rilevante entità"; la nota dell’Azienda Ospedaliere Universitaria di Modena del 6 aprile 2007 nella quale si segnalava "che il permanere dello stato di detenzione … sta … ostacolando la soluzione dei problemi di salute del detenuto"; l’accertamento peritale disposto dal Tribunale di sorveglianza di Bologna nel gennaio 2011, da cui emergeva che il B. presentava "diversi fattori di rischio cardiovascolare quali obesità severa, ipertensione arteriosa, diabete mellito compensato con impiego di antidiabetici orali, sindrome apnee notturne, cardiopatia ischemica con pregresso by pass aorto coranario in possibile pregresso infarto della parete inferiore ed angina pectoris residua stabile per sforzi lievi – moderati", precisando che "tali condizioni di salute sono ritenute suscettibili di aggravamenti improvvisi e, pertanto, incompatibili con la detenzione".

Sulla scorta di tali elementi ed altresì delle indicazioni contenute nella "relazione di dimissione" proveniente dal Policlinico Universitario di(OMISSIS), secondo cui "eseguiti i necessari accertamenti" le condizioni generali apparivano "stabili e tali da richiedere successivi controlli", il tribunale ha concluso sostenendo che le patologie da cui è affetto il B. al momento non assumono "I caratteri della particolare gravità".

Tuttavia, come rimarca il ricorrente ed altresì il Procuratore Generale nella sua requisitoria in atti, la perizia affermava in realtà il contrario, e cioè, "che la patologia era suscettibile di aggravamenti improvvisi ed incompatibile con la detenzione". Movendo quindi da siffatta ridefinizione "riduttiva" della patologia del ricorrente, il Tribunale ha ritenuto la adeguatezza, in concreto, delle cure che il B. poteva ricevere in ambiente carcerario, così assumendo, sia pure implicitamente, che dalla perizia non emergeva, in definitiva, alcuna specifica "controindicazione" alla permanenza del condannato presso dei centri medici specializzati ovvero in luoghi esterni di cura; senza spiegare, però, come tale assunto fosse conciliabile con le conclusioni peritali (non dichiaratamente disattese) nè con I provvedimenti di concessione di proroga della misura alternativa adottato da altra Autorità giudiziaria sulla loro scorta. Sicchè va rimarcato che il Tribunale ben poteva ritenere non convincenti i giudizi espressi nella perizia disposta da altra autorità giudiziaria, ma avrebbe dovuto allora – atteso il livello squisitamente tecnico dell’indagine medico legale richiesta – disporne di nuova, munendosi del parere e delle relazioni di esperti della materia, specie per quel che attiene la mancata esecuzione di un intervento chirurgico, che pure era stato indicato come "esigenza primaria". Quel che è certo è che non era consentito al tribunale immotivatamente disattendere l’elaborato peritale a sua disposizione e trame conclusioni difformi sulla base di una semplice attestazione di relativa "stabilità" delle condizioni di salute.

1.2. La richiesta del ricorrente di prorogare la detenzione domiciliare è stata quindi respinta sulla base del rilievo, che un periodico monitoraggio delle condizioni di salute del ricorrente po’ essere effettuato anche in ambito carcerario; che il B., nel luglio 2009, aveva rilevato una "sorprendente" capacità fisica a svolgere lavori manuali. Orbene tali considerazioni, oltre che non sufficientemente Illustrate quanto alla loro diretta incidenza sul giudizio di non "particolare gravità" espresso relativamente alle condizioni di salute del ricorrente, si rivelano, altresì, delle affermazioni di per sè non decisive, con riferimento alla valutazione richiesta al tribunale.

E’ infatti principio consolidato – derivante dalla necessità (ex art. 27 Cost., comma 3 e art. 3 Convenzione EDU) che la pena non si risolva in un trattamento inumano o degradante – che lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per Infermità fisica o la applicazione della detenzione domiciliare, non è solo la patologia implicante un pericolo per la vita, andando comunque considerato contrario al senso di umanità ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di quella soglia di dignità che pure in carcere si richiede debba essere rispettata (una sofferenza e un’afflizione di tali intensità da eccedere il livello che deriva inevitabilmente da una pena legittima, come dice la Corte EDU). Anche la mancanza di cure mediche appropriate, e più in generale la detenzione in condizioni inadeguate in rapporto alla gravità di una malattia che potrebbe avere altrove assistenza idonea, può pertanto, in linea di principio, costituire un trattamento contrario al senso di umanità.

Erroneamente quindi il Tribunale ha fondato la sua valutazione sulla mera esistenza di un situazione di relativa "stabilità" dello stato di malattia.

2. L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma perchè proceda a nuovo esame, dando conto dei risultati raggiunti in punto di natura e gravità delle condizioni di salute del ricorrente sulla base di cognizioni scientifiche correttamente formulate e considerando l’intera gamma degli strumenti, anche eventualmente di controllo, che l’ordinamento pone a disposizione per ovviare alle incompatibilità quota vitam e quoad valetudinem mediante un ragionevole bilanciamento di esigenze retributive e special – preventive da un lato, istanze umanitarie dall’altro.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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