T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 29-04-2011, n. 563 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.R. espone di essere stato oggetto, nel periodo di servizio prestato presso la Sezione di Polizia Stradale di Vibo Valentia, nel periodo febbraio 1994 – luglio 1999, agli ordini del Vicequestore aggiunto Francesco Picardi, di una serie di comportamenti "persecutori" da parte del proprio superiore.

Tali comportamenti sarebbero stati palesemente intesi a discriminare e screditare il ricorrente nel suo ambiente lavorativo, al fine di provocarne le dimissioni o, comunque, al fine di danneggiarlo nella progressione di carriera.

In particolare, il ricorrente afferma che tali comportamenti si sarebbero sostanziati: in valutazioni non obiettive del servizio prestato, rese dal superiore Picardi con i rapporti annui 1995, 1996, 1997 e 1998, del tutto diversi da quelli ottenuti dallo stesso ricorrente successivamente al trasferimento a Cosenza; in ossessivi controlli delle attività prestate anche al di fuori dell’orario di lavoro e non giustificati da esigenze di servizio; in richiami e sanzioni disciplinari immotivate ed illegittime, quali il richiamo scritto annullato da questo Tribunale con sentenza n. 109/2008; in espressioni offensive, utilizzate in atti ufficiali, in merito alle condizioni di salute del ricorrente, definito "malaticcio" o "cagionevole di salute"; nella diffusione di giudizio gratuiti e addirittura malevoli nei confronti del ricorrente.

Il ricorrente afferma ancora che il proprio superiore gerarchico, abusando della qualifica, lo avrebbe perseguitato e gli avrebbe provocato "disagi materiali" e "morali" ed infine un "disagio psicofisico" tale da minarne la salute, con condizionamento sui rapporti professionali e interpersonali.

Tali elementi, a detta del ricorrente, integrerebbero una ipotesi di inadempimento contrattuale, imputabile all’ente datore di lavoro ex art. 2087 c.c., qualificabile come "mobbingbossing", fonte di danni "materiali" e "psicofisici".

Resiste in giudizio il Ministero dell’Interno, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale, premessa la totale infondatezza del ricorso, insiste per il rigetto del medesimo.

Alla pubblica udienza del 24 marzo 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Non è necessario verificare se nella specie sia intervenuta la prescrizione della pretesa risarcitoria, come eccepito in via residuale dalla Amministrazione resistente, in quanto il ricorso è infondato nel merito.

Il ricorrente afferma l’esistenza di un unico disegno, posto in essere dal proprio superiore gerarchico nell’arco temporale che va dal 1995 al 1999, diretto a discriminarlo, screditarlo e danneggiarlo, disegno posto in essere con una serie di atti e comportamenti a tale unico fine preordinati.

Al fine di suffragare le proprie affermazioni, il ricorrente deposita copia dei rapporti informativi relativi agli anni dal 1995 al 1999, al fine di evidenziare la diversità di giudizio rispetto alle valutazioni effettuate negli anni 2005 e 2006 (anch’esse prodotte); produce, altresì, certificati medici del 1999, copia del ricorso gerarchico presentato avverso il rapporto informativo del 1997, copia della sentenza n. 109/2008 di questo Tribunale di annullamento di una sanzione disciplinare, copia della denunciaquerela di data 26.5.199 presentata nei confronti del vice Questore aggiunto Picardi, nonché note di conferimento della qualifica di agente scelto.

Giova ricordare, in linea generale, che il c.d. "mobbing" costituisce una patologia ad eziologia professionale, non ravvisabile quando sia assente la sistematicità degli episodi, ovvero i comportamenti su cui viene basata la pretesa risarcitoria siano riferibili alla normale condotta del datore di lavoro, funzionale all’assetto dell’apparato amministrativo o, infine, ricorra una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale, essendo invece necessario il riscontro di una diffusa ostilità proveniente dall’ambiente di lavoro, che si realizzi in una pluralità di condotte e comportamenti, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali, frutto di una vera e propria strategia persecutoria, avente di mira l’emarginazione del dipendente dalla struttura organizzativa di cui fa parte.

Conseguentemente, deve essere respinta la domanda risarcitoria del danno da mobbing proposta dal pubblico dipendente, qualora le circostanze addotte ed accertate non consentano di individuare, secondo un principio di verosimiglianza, il carattere persecutorio e discriminante del complesso delle condotte compiute dal datore di lavoro (Consiglio di Stato, sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2272).

Sotto altro profilo, è stato anche rilevato che in tema di mobbing, al fine del risarcimento del danno, affinché risultino violate le disposizioni ex art. 2087 c.c. è necessaria la sussistenza di un effetto lesivo sull’equilibrio psicofisico del dipendente, che, dunque, deve riuscire a dimostrare l’intento persecutorio sotteso a una serie di vessazioni, poste in essere in modo sistematico e prolungato, e la relazione causale fra la condotta e il pregiudizio alla sua integrità (Cass. sez. lav., 16 marzo 2010, n. 7382).

Alla luce di tali principi, è, pertanto, possibile affermare che per la sussistenza della fattispecie di mobbing sono necessari i seguenti elementi: la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; l’evento lesivo sulla salute o sulla personalità del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

Nel caso in esame, nessuno degli elementi costituivi richiesti è sussistente.

Invero, il ricorrente si limita a produrre i rapporti informativi relativi agli anni 19951999, sostenendo che il giudizio ivi espresso non corrisponda alle sue effettive qualità, essendo, inoltre divergente dal giudizio espresso successivamente, da altro superiore gerarchico, con riferimento agli anni 2005 e 2006. Tale circostanza, in sé considerata, non è idonea a fondare i presupposti richiesti, sopra ricordati, per affermare la sussistenza della situazione di "mobbing" denunciata dal ricorrente. A prescindere dal fatto che il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente avverso la valutazione relativa all’anno 1997 è stato respinto dalla Commissione per il Personale di Ruolo degli Assistenti e degli Agenti di Polizia, è evidente che il giudizio espresso dal proprio superiore che non corrisponde alle proprie aspettative non si traduce -in mancanza di altri ed ulteriori univoci elementi – automaticamente in attività persecutoria, posta in essere dal medesimo superiore. Né può costituire un elemento significativo in tal senso la circostanza che i rapporti informativi relativi agli anni 2005 e 2006 hanno attribuito al ricorrente una valutazione ed un punteggio migliore, in considerazione del fatto, da un lato, che le valutazioni professionali contemplano necessariamente una componente soggettiva, e, dall’altro, che, effettivamente, il ricorrente può avere migliorato le proprie prestazioni professionali, trovandosi, a seguito del trasferimento, in un ambiente lavorativo più favorevole. Sotto quest’ultimo aspetto, pare superfluo rilevare che il semplice "disagio ambientale" sul luogo di lavoro, non si identifica certo nella fattispecie, diversa e più complessa, di mobbing.

Quanto al denunciato "disagio psicofisico", il ricorrente si limita a produrre due certificati medici, di data, rispettivamente, 1.5.1999 e 3.5.1999 – il primo dei quali per gastroenterite acuta, prescrive due giorni di malattia, mentre il secondo, per colite addominale con nausea, in chiara prosecuzione del precedente, prescrive altri due giorni di riposo – senza, peraltro, nulla addurre in ordine al necessario nesso causale che deve sussistere tra le lamentate patologie e la pretesa condotta persecutoria asseritamente sostenuta.

Del tutto assente, inoltre, è la prova in ordine all’accertamento dell’elemento soggettivo, e cioè la prova dell’esistenza del disegno persecutorio che dovrebbe collegare, sotto il profilo funzionale, i comportamenti materiali o i provvedimenti assunti dal superiore gerarchico. Il richiamo all’annullamento, operato da questo Tribunale, di una sanzione disciplinare inflitta al ricorrente, infatti, non costituisce prova -in mancanza di altri, più specifici elementi – dell’elemento soggettivo richiesto e come appena delineato.

In definitiva, il ricorrente omette di allegare la sussistenza di molteplici comportamenti di carattere persecutorio posti in essere nei suoi confronti in modo sistematico e prolungato, omette di allegare, al di la di generiche affermazioni di danni psicofisici, un effettivo evento lesivo sulla salute o sulla sua personalità -non potendo l’allegazione di detto evento essere efficacemente rappresentata dai due certificati medici prodotti, con riferimento ai quali, comunque, non è dimostrato in alcun modo il nesso eziologico con la condotta dell’Amministrazione resistente – e, infine, non fornisce alcuna prova, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, dell’intento persecutorio che avrebbe mosso il superiore gerarchico Picardi.

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di causa
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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