Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-07-2011, n. 16733 Delegazione di pagamento, espromissione, accollo Obbligazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Il 10.10.1984 R. ed C.A. cedettero a Safin s.r.l. tutte le quote della s.r.l. Abetina, contestualmente pattuendo la cessione a Safin del credito di L. 1.702.407.796 vantato dai C. verso la società Abetina dietro pagamento da Safin della somma di L. 820.000.000 (da versarsi immediatamente quanto a L. 320.000.000 e, per il resto, tramite quattro rate da pagarsi entro il 10.10.1985) e dietro accollo liberatorio da parte di Safin del debito cambiario di C.A. verso Interfinance s.p.a. per complessive L. 440.790.000 (somma erroneamente indicata in L. 44.790.000 a pagina 7 della sentenza qui impugnata). I cedenti garantirono che tutte le passività di Abetina non espressamente elencate sarebbero state da loro estinte entro il 31.12.1984.

Nella stessa data Safin promise di far vendere da Abetina a Pre.Mo s.r.l. terreni ed immobili in costruzione ed i C. avallarono le cambiali rilasciate da Pre.Mo a garanzia del pagamento del prezzo pattuito.

Il 19.2.1985 Safin convenne in giudizio il C. adducendone l’inadempimento per non avere estinto le passività gravanti su Abetina per crediti di banche e di numerosi fornitori, alcuni dei quali avevano proceduto a pignoramento, e domandando che il contratto fosse risolto per inadempimento.

I C. resistettero proponendo dapprima domanda riconvenzionale e poi a loro volta domandando la risoluzione del contratto per inadempimento di Safin. Furono promossi altri due giudizi, riuniti al primo, dei quali è superfluo dar conto per quanto ancora rileva.

Con sentenza n. 389 del 2004 il tribunale di Firenze – in esito alla disposta consulenza tecnica d’ufficio contabile e dato atto dell’incorporazione da parte di Interfinance Financial Company s.p.a.

(ammessa al concordato preventivo) di Exsa s.r.l,. già Safin s.r.l.

– dichiarò risolto il contratto per grave ed equivalente inadempimento di entrambe le parti, determinando in Euro 237.041 al 19.2.1985 il debito restitutorio di R. ed C.A. (quale erede di C.A.).

2.- La decisione fu appellata in via principale dai C. ed in via incidentale da Interfinance.

Con sentenza n. 423 del 2010 la corte d’appello di Firenze li ha parzialmente accolti, dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento imputabile ai C., ma condannandoli a pagare ad Interfinance in liquidazione la minor somma di Euro 211.492,20, oltre agli interessi dalla domanda ed ai due terzi delle spese processuali del doppio grado.

3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione Interfinance, affidandosi ad un unico motivo.

Resiste con controricorso C.E., che propone ricorso incidentale, basato anch’esso su un unico motivo.

Al ricorso incidentale resiste con controricorso Interfinance, che ha depositato anche memoria illustrativa.
Motivi della decisione

1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

2.- Va preliminarmente rilevato che infondatamente il controricorrente C. eccepisce l’inammissibilità di ricorso principale per genericità della procura speciale e per insufficiente esposizione dei fatti.

La procura è infatti rilasciata in calce al ricorso, col quale forma corpo unico, sicchè non può esservi dubbio che sia riferita all’atto cui accede benchè non contenga l’espressa menzione del ricorso per cassazione, che è del tutto superflua nella procura speciale rilasciata in calce o a margine del ricorso o del controricorso ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., comma 3.

In ricorso, poi, sono del tutto adeguatamente esposti i fatti rilevanti in relazione alla censura mossa alla sentenza, in ossequio al disposto di cui all’art. 366 cod. proc. civ., n. 3. 2.1.- La ricorrente principale Interfinance si duole dunque – deducendo violazione dell’art. 1273 cod. civ. che la corte d’appello abbia escluso "qualsiasi pretesa restitutoria relativamente alla somma di L. 440.190.000 di cui all’accollo del debito di Abetina verso Interfinance" perchè "tale accollo, in assenza di prova del successivo pagamento, costituisce solo adempimento dell’obbligo assunto dalla contraente, che per effetto della risoluzione si è estinto, ma non importa restituzione del relativo importo, non essendo dimostrata la successiva esecuzione della prestazione".

Sostiene che poichè la stessa sentenza qualifica quell’accollo come liberatorio, la risoluzione del contratto fra C. e Safin non poteva sortire l’effetto di far risorgere il debito a carico della debitrice originaria (Abetina), che era stata definitivamente liberata a seguito della adesione della creditrice Interfinance, in tal senso esplicitamente espressasi. Prospetta che la somma sarebbe comunque dovuta dai C. a titolo di risarcimento del danno ed afferma che la conclusione cui è addivenuta la corte d’appello comporta l’aver trattato un accollo liberatorio come non liberatorio, nel quale soltanto, per dimostrare l’avvenuta liberazione del debitore originario, sarebbe stata necessaria la dimostrazione dell’avvenuto pagamento del debito da parte dell’accollatario.

2.2.- La censura è infondata.

L’accollo è regolato secondo lo schema del contratto a favore di terzo (così Cass. 11.4.2000, n. 4604, in linea con la relazione al codice civile e l’opinione della prevalente dottrina), dove il terzo è il creditore. Nella specie l’accollo costituì una delle pattuizioni di un complesso accordo contrattuale tra i C. e Safin, che si accollò il debito di Abetina s.r.l. (di cui i C. cedettero contestualmente tutte le quote a Safin) verso Interfinance, la quale liberò il debitore.

Cass. 5 luglio 2001, n. 9094, emessa in un caso di accollo liberatorio, ha infatti condivisibilmente statuito che "la successione nel lato passivo del rapporto obbligatorio determinata dall’accollo "non può non essere influenzata dalle vicende del relativo negozio, con la conseguenza che non solo l’invalidità, quale testualmente disciplinata dall’art. 1276 c.c., ma anche la risoluzione di esso fa rivivere il rapporto originario: il quale, come è stato rilevato in dottrina, è in realtà posto dall’accollo in stato di quiescenza. In altri termini, poichè la nullità, l’annullamento e la risoluzione del contratto producono, e sia pure per ragioni diverse, l’inefficacia, originaria o sopravvenuta, del contratto, non v’è alcuna ragione per distinguere, agli effetti in esame, tra tali diverse ipotesi: se, infatti, l’estinzione (rectius quiescenza) del debito consegue all’efficacia del relativo contratto, la reviviscenza consegue a sua volta alla sopravvenuta inefficacia del medesimo" (così la motivazione, sub 3).

Cade così l’argomento addotto dalla ricorrente a sostegno dell’errore che avrebbe commesso la corte d’appello nel far rivivere il debito originario. E ne consegue che, in esito alla risoluzione (anche del contratto a favore di terzo), in tanto Safin (poi Interfinance) avrebbe potuto richiedere, ex art. 1458 cod. civ., la restituzione della somma di cui all’accollo, in quanto essa fosse stata effettivamente erogata.

Risolto tra debitore ed accollante il contratto di cui l’accollo costituisca pattuizione accessoria, nei rapporti tra loro per gli effetti restitutori di cui all’art. 1458 cod. civ. si rende applicabile l’art. 1276 cod. civ., con la conseguenza che, anche in caso di accollo liberatorio, in tanto l’accollante è legittimato a chiedere al debitore originario la restituzione delle somme oggetto dell’accollo in quanto le abbia effettivamente versate al creditore.

3.- Col ricorso incidentale sono denunciati "omesso esame di fatto decisivo e della relativa valutazìone giuridica, delle risultanze documentali: insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 n. 5 in relazione all’art. 1458 cod. civ.)".

Vi si sostiene che "non convincono affatto i risultati che si intendono desumere dalla CTU richiamata e neppure il giudizio di irrilevanza annesso alla mancata insinuazione nella procedura concorsuale" sia in ordine alla posizione debitoria dei C. (essendo stati vantati da terzi crediti inesistenti nei confronti di Abetina s.r.l.), sia in ordine alla "responsabilità della risoluzione contrattuale", sia in ordine alle conseguenze economiche della risoluzione.

3.1.- Nella parte in cui non è inammissibile perchè volta ad una diversa valutazione dei fatti, la censura è infondata, essendo la sentenza del tutto adeguatamente motivata sui punti contestati (alle pagine da 8 a 13) con considerazioni assolutamente coerenti e niente affatto contraddittorie.

4.- Entrambi i ricorsi sono respinti.

Alla reciproca soccombenza consegue la compensazione delle spese.

Va officiosamente disposta la cancellazione, ex art. 89 cod. proc. civ., delle parole "e non si venga a blaterare" che, riferite agli assunti della controparte, si leggono a pagina 9 del controricorso C., in quanto assolutamente sconvenienti in relazione alle esigenze dell’ambiente processuale ed alla dignità della funzione difensiva.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese; ordina la cancellazione, a pagina 9 del controricorso C., delle parole "e non si venga a blaterare".

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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