T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 29-04-2011, n. 3673 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 14 luglio 2009, depositato il successivo 23 luglio, premette l’istante, magistrato ordinario, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano, di essere stato collocato nella posizione di fuori ruolo con decreto del Ministro della giustizia 13 marzo 2009, giusta delibera di autorizzazione del CSM del 5 marzo 2009, per ricoprire l’incarico di giudice presso la Corte penale internazionale con sede all’Aja.

Ciò premesso, il ricorrente impugna i provvedimenti del Ministero della giustizia del 1° aprile e del 27 maggio 2009, meglio indicati in epigrafe, che hanno disposto, in relazione al predetto incarico, la cessazione del trattamento economico a carico dello Stato italiano a decorrere dall’11 marzo 2009, e hanno stabilito che dalla stessa data egli è tenuto a versare al Ministero l’importo delle ritenute e dei contributi a suo carico.

Avverso tali decreti il ricorrente indirizza le seguenti censure:

1) violazione di legge ed eccesso di potere – insufficienza e contraddittorietà intrinseca della motivazione – violazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, violazione dell’art. 210 o.g. ( r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), come modificato ed integrato dal d.l. 16 settembre 2008, n. 143, convertito dalla l. 13 novembre 2008, n. 181.

Il ricorrente sostiene che l’ordinamento nazionale e quello comunitario non solo non contengono una disposizione che legittima quanto disposto dagli atti impugnati, ma vieppiù recano alcune disposizioni con essi confliggenti.

Il riferimento è innanzitutto all’art. 49 dello Statuto di Roma, che, nello stabilire che i giudici della Corte penale internazionale percepiscono le retribuzioni, indennità e rimborsi stabiliti dall’Assemblea degli Stati parti, non induce a ritenere che alla corresponsione di tale trattamento economico consegua la cessazione di quello eventualmente in godimento nello Stato di provenienza.

Il ricorrente si riferisce poi all’art. 210 dell’ordinamento giudiziario, che prevede per l’ipotesi del collocamento fuori ruolo il mantenimento dello stipendio del magistrato, senza distinguere tra fuori ruolo in Italia od all’estero, e senza subordinarlo alla mancata percezione di altri emolumenti, comunque denominati.

Né la sospensione dello stipendio, prosegue il ricorrente, può essere ricondotta alla circostanza che il compenso da erogarsi per l’incarico in parola è qualificabile come "retribuzione", atteso che nell’ordinamento nazionale non esiste un principio generale che vieta la percezione di un doppio trattamento economico (e laddove esso esiste, come per i dirigenti pubblici, ai sensi dell’art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 e dell’art. 21 della l. 15 novembre 1973, n. 734, non applicabili alla fattispecie, esso è comunque subordinato alla condizione, qui non ricorrente, che la seconda attività sia svolta in connessione con la carica rivestita in seno all’amministrazione di appartenenza) ovvero che introduce un principio generale di "divieto di cumulo". Tant’è che, prosegue il ricorrente, alcuni magistrati ordinari collocati fuori ruolo percepiscono sia lo stipendio sia elevati trattamenti economici connessi ad incarichi. E se anche fosse da ritenersi esistente un divieto di cumulo, il ricorrente ritiene che esso non potrebbe mai applicarsi laddove uno dei trattamenti sia corrisposto dall’Unione europea;

2) eccesso di potere – erroneità dei presupposti, contraddittorietà della motivazione e violazione dell’art. 3 della l. 241/90 – disparità di trattamento in relazione alla normativa sul collocamento fuori ruolo – violazione dell’art. 23bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e dell’art. 210 o.g. – contraddittorietà tra provvedimenti dell’amministrazione.

Parte ricorrente lamenta la carenza di motivazione degli impugnati provvedimenti, e sostiene che gli stessi si pongono in contrasto con il decreto del Ministro della giustizia del 13 marzo 2009, che lo ha collocato nella posizione di fuori ruolo, nella misura in cui tali atti lo pongono di fatto nel diverso status di magistrato in aspettativa senza assegni, ed anzi, in una condizione ancora più deteriore, stante l’obbligo del pagamento delle ritenute afferenti al trattamento stipendiale non goduto, con ulteriore violazione dell’art. 23bis del d. lgs. 165/01, che, per l’ipotesi di collocamento in aspettativa all’estero, prevede che il trattamento previdenziale sia a carico dell’organismo di destinazione, con l’unico obbligo del dipendente di operare la ricongiunzione dei periodi retributivi.

Il ricorrente provvede poi a riepilogare lo status giuridico ed economico attribuito dalla normativa nazionale in materia di incarichi dei magistrati ordinari con riferimento alle diverse posizioni di aspettativa senza assegni e fuori ruolo, rimarcando sia che l’attuale formulazione dell’art. 23bis del d. lgs. 165/01, in materia di aspettativa senza assegni, mantiene ferma la disciplina del fuori ruolo ordinario che egli ritiene applicabile (ovvero quella dettata dall’art. 210 o.g.), sia che, per i magistrati ordinari collocati in fuori ruolo per essere destinati al Ministero della giustizia (art. 196, o.g.) o ad altri incarichi (art. 210, o.g.), è prevista espressamente la conservazione del trattamento economico del grado.

Il ricorrente rileva ancora che l’intervenuta modifica normativa della disciplina del trattamento fuori ruolo di cui al d.l. 143/08 convertito dalla legge 181/2008 fa emergere che, per talune ipotesi di particolare pregnanza istituzionale, in cui rientrano gli incarichi presso organismi internazionali, il collocamento fuori ruolo assume anche una particolare rilevanza, riconosciuta dallo stesso CSM (circolare 20 novembre 2008), tant’è che per essi non sussistono limitazioni temporali o limitazioni di organico. I provvedimenti impugnati determinerebbero, quindi, a carico del ricorrente un trattamento deteriore rispetto non solo ai casi di fuori ruolo "ordinari", ma anche rispetto a quelli "straordinari".

Infine, il ricorrente sostiene che non potrebbe trovare applicazione nella fattispecie la l. 27 luglio 1962, n. 1114, che regola il collocamento fuori ruolo esclusivamente per il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del d. lgs. n. 165 del 2001, fatta eccezione per le Forze di polizia, espressamente contemplate all’art. 6;

3) violazione dell’art. 7 della l. 241/90 – eccesso di potere per mancata instaurazione del contraddittorio.

Con l’ultima censura ricorsuale il ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Il Ministero della giustizia, costituitosi in resistenza, domanda il rigetto del gravame, di cui sostiene l’infondatezza.

Nelle more del giudizio, con provvedimento del 19 giugno 2009 n. 6370/2009 il Ministero della giustizia ha inviato al ricorrente un avviso di credito erariale per Euro 18.434,25, corrispondente alla corresponsione degli stipendi non dovuti del periodo marzomaggio 2009, di cui domanda la ripetizione mediante versamento da effettuarsi presso la Tesoreria Provinciale dello Stato.

Con mezzi aggiunti notificati in data 9 ottobre 2009, depositati il successivo 16 ottobre, il ricorrente domanda l’annullamento anche di tale ultimo provvedimento, avverso il quale ha dedotto gli stessi motivi di gravame di cui all’atto introduttivo del giudizio, nonché le ulteriori censure di:

4) invalidità derivata – difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della l. 241/90 – eccesso di potere – violazione e falsa applicazione della l. 1164/62 e s.m.i. – violazione dell’art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dell’art. 3 del d. P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.

Con le precitate censure il ricorrente assume che il provvedimento sopravvenuto è affetto da invalidità derivata, e non indica la norma di cui fa applicazione nel disporre in capo al ricorrente l’obbligo contributivo.

Inoltre, il ricorrente, ribadito che la legge 1164/62 e s.m.i. non è applicabile alla fattispecie, e che la stessa è inoltre retta, quanto al trattamento previdenziale, dall’art. 23bis del d. lgs. 165/01, assume la violazione del principio per cui le ritenute sono imprescindibilmente correlate alla retribuzione, e, in via subordinata, analogamente a quanto previsto dal d.p.r. 1092/73 per altre ipotesi, fa presente che l’onere del dipendente di versare i contributi ai fini pensionistici, in mancanza di retribuzione, deve ritenersi una facoltà e non un obbligo.

Il ricorso viene trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 9 marzo 2011.
Motivi della decisione

1. Il ricorrente è magistrato ordinario che è stato autorizzato a ricoprire l’incarico di giudice presso la Corte penale internazionale con sede all’Aja, e, conseguentemente, collocato nella posizione di fuori ruolo con decreto del Ministero della giustizia su conforme delibera del Consiglio Superiore della Magistratura.

Con provvedimenti del 1° aprile e del 27 maggio 2009, l’amministrazione ha disposto nei suoi confronti, a decorrere dall’11 marzo 2009, la cessazione del trattamento economico a carico dello Stato italiano e l’obbligo dalla stessa data di versare al Ministero della giustizia l’importo delle ritenute e dei contributi a suo carico.

Con provvedimento del 19 giugno 2009 n. 6370/2009 il Ministero della giustizia ha inviato infine al ricorrente un avviso di credito erariale per Euro 18.434,25, corrispondente alla corresponsione degli stipendi non dovuti del periodo marzomaggio 2009, intimando la ripetizione della somma mediante versamento da effettuarsi presso la Tesoreria Provinciale dello Stato.

2. Con il ricorso e con i mezzi aggiunti in trattazione il ricorrente lamenta il trattamento deteriore riservatogli in occasione di tale incarico all’estero, ancorchè nulla disponga in proposito l’ordinamento comunitario e, in ambito nazionale, l’art. 210 o.g., disposizione speciale che ritiene l’unica applicabile alla fattispecie (rispetto alle norme di cui alla l. 27 luglio 1962, n. 1114 considerate dall’amministrazione), e che, nel conservare ai magistrati collocati in fuori ruolo per lo svolgimento di incarichi speciali il trattamento economico del proprio grado, non distingue tra quelli da svolgersi in Italia ed all’estero.

Pertanto, il ricorrente contesta la legittimità sia della disposta cessazione del trattamento economico a carico dello Stato italiano sia del disposto obbligo di versare dalla stessa data al Ministero della giustizia l’importo delle ritenute e dei contributi a suo carico, domandando, per l’effetto, l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

3. Il ricorso non può trovare accoglimento.

4. Va anzitutto precisato che, vertendosi in tema di sospensione del trattamento stipendiale di un magistrato, di cui l’interessato assume, invece, la spettanza, e, indi, in tema di diritti patrimoniali del pubblico dipendente, regolati da leggi dello Stato, ai fini dell’apprezzamento della legittimità del provvedimento che vi abbia inciso, non trovano ingresso questioni che attengono tipicamente agli atti amministrativi di carattere autoritativo, quali la carenza di motivazione e la mancata comunicazione di avvio del procedimento, pure introdotte dalla parte ricorrente.

Infatti, alla natura paritetica dell’atto consegue che anche l’eventuale mancato assolvimento degli oneri motivazionali e di comunicazione non potrebbe, comunque, essere considerata causa, ex se, di illegittimità del provvedimento e del procedimento, il cui esito è interamente vincolato, laddove l’amministrazione abbia fatto correttamente applicazione di una previsione normativa, fermo restando, naturalmente, il diritto dell’interessato di contestare la sussistenza di tale previsione, la sua applicabilità alla fattispecie, ovvero eventuali errori materiali nella sua applicazione.

5. Passando, indi, allo stretto merito della questione, si osserva che il ricorrente, sulla base di una disamina delle norme che regolano, per i magistrati ordinari, gli istituti del fuori ruolo e dell’aspettativa senza assegni, sostiene che né l’ordinamento nazionale nè quello comunitario contengono una disposizione che legittima la sospensione del trattamento economico al magistrato ordinario collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un incarico presso un’istituzione comunitaria.

L’affermazione non è condivisibile.

5.1. Deve innanzitutto escludersi che la disciplina interna del trattamento stipendiale del magistrato nella fattispecie possa o debba necessitare di un rapporto di integrazione con l’ordinamento comunitario.

E’, pertanto, del tutto ininfluente nella presente controversia che la invocata (da parte del ricorrente) disposizione dell’art. 49 dello Statuto di Roma, nello stabilire che i giudici della Corte penale internazionale percepiscono le retribuzioni, indennità e rimborsi stabiliti dall’Assemblea degli Stati parti, non ponga una clausola di esclusività del trattamento in questione nè regoli l’opzione da effettuarsi da parte dell’interessato tra il trattamento stesso e quello eventualmente in godimento nel paese di provenienza.

Tale norma, infatti, relativa, com’è, alla Corte penale internazionale, non è suscettibile di appartenere al novero delle fonti comunitarie che integrano le fonti interne, in quanto deputata esclusivamente a disciplinare il funzionamento della predetta istituzione, con riflessi limitati, quindi, all’organizzazione amministrativa e contabile dell’Unione.

Tant’è che, come rilevato dallo stesso ricorrente, siffatta disciplina risulta priva di qualsivoglia riferimento, anche implicito, al trattamento da riservarsi nell’ordinamento interno al dipendente pubblico eventualmente chiamato a ricoprirne l’incarico di componente.

Al più, l’unico "punto di contatto" rinvenibile tra i due considerati ordinamenti è costituito dalle varie disposizioni dello Statuto di Roma relative alla Corte, richiamate dalla difesa erariale, che pongono in via generale a carico degli Stati parti la provvista dei mezzi finanziari -e non del relativo personale – necessari alla vita dell’istituzione.

Ne consegue che, nella materia di che trattasi, l’ordinamento comunitario e quello interno sono reciprocamente indifferenti (analogamente, in tema di trattamento pensionistico di magistrato della Corte dei Conti collocato in posizione di fuori ruolo ai sensi della l. 1114/62 in relazione all’incarico di componente della Corte dei Conti della Ce, Tar Lazio, Roma, 10 marzo 2010, n. 3666).

5.2. Quanto all’ordinamento nazionale, è vero che, come sostenuto dal ricorrente, l’art. 210 o.g. prevede per l’ipotesi di incarichi speciali comportanti il collocamento fuori ruolo del magistrato il mantenimento dello stipendio, senza distinguere tra fuori ruolo in Italia od all’estero, e senza subordinarlo alla mancata percezione di altri emolumenti, comunque denominati.

Ma è altresì vero che non può versarsi in dubbio che l’amministrazione ha fatto applicazione non dell’art. 210 o.g., bensì della disciplina prevista dalla legge 27 luglio 1962, n. 1114, recante "Disciplina della posizione giuridica ed economica dei dipendenti statali autorizzati ad assumere un impiego presso Enti od organismi internazionali o ad esercitare funzioni presso Stati esteri".

E l’art. 1 di detta legge, come sostituito dalla l. 15 luglio 2002, n. 145, prevede che il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, con decreto dell’amministrazione interessata, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e con il Ministero dell’economia e delle finanze, essere collocato fuori ruolo per assumere un impiego o un incarico temporaneo di durata non inferiore a sei mesi presso enti o organismi internazionali, nonché esercitare funzioni, anche di carattere continuativo, presso Stati esteri.

Correlativamente, l’art. 2 regola la posizione di detto personale, stabilendo che all’impiegato collocato fuori ruolo ai sensi dell’art. 1 si applicano le norme contenute nel testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvata con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e, per quanto qui di particolare interesse, che dalla data di decorrenza del collocamento fuori ruolo cessa il trattamento economico a carico dello Stato italiano e l’impiegato è tenuto, a decorrere da quella stessa data, a versare all’Amministrazione cui appartiene l’importo dei contributi o delle ritenute a suo carico di cui all’art. 57 del citato testo unico.

5.3. Il ricorrente sostiene che tale ultima normativa non è applicabile ai magistrati.

Ma l’assunto non può essere condiviso.

Perno della tesi ricorsuale sul punto è che nella locuzione "personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165" contenuta nell’art. 1 della legge 1114/62, che ne determina l’ambito di applicazione, non possono essere ricompresi i magistrati, categoria in regime di diritto pubblico contemplata dal successivo art. 3 del decreto, che non è stato richiamato.

Secondo il ricorrente, indi, l’art. 210 o.g. configurerebbe, pertanto, un regime di specialità, fatto salvo dal ridetto art. 3, non richiamato dalla l. 1114/62, da applicarsi nella fattispecie.

L’argomentazione non persuade.

Trattasi, infatti, nella specie, di individuare non il trattamento giuridico ed economico del magistrato italiano che operi sul territorio nazionale nello svolgimento di un incarico speciale (campo di elezione dell’art. 210 o.g.), bensì di definire quale sia la posizione da riservare, all’interno dell’ordinamento stesso, al magistrato, soggetto legato da un rapporto di pubblico impiego con lo Stato italiano, il quale temporaneamente lo abbandoni per assumere un incarico presso un organismo internazionale.

Tale seconda fattispecie presenta, invero, un elemento di profonda differenziazione rispetto alla prima, poiché se è vero che in ambedue le ipotesi, come messo in luce dal ricorrente, lo svolgimento dell’incarico deve pur sempre o corrispondere, ancorchè latamente, all’interesse pubblico dell’amministrazione datrice di lavoro, ovvero non porsi con esso in conflitto (condizioni la cui sussistenza si manifesta con il previo rilascio dell’autorizzazione), è altresì vero che nell’incarico speciale da svolgersi all’estero viene meno uno degli indici più qualificanti del rapporto di pubblico impiego come strutturato nel nostro ordinamento, ovvero l’esclusività della prestazione a favore dello Stato.

Di talchè, non risulta sostenibile che vi sia quella identità di situazioni che legittimerebbe il ricorso, nella seconda ipotesi, alla ratio della norma di favore dettata dall’art. 210 o.g., che, assumendo, per fictio iuris, la persistenza dell’integrità del rapporto di lavoro pubblico cui accede l’incarico, dispone, sinallagmaticamente, la conservazione del trattamento economico nel corso dello suo svolgimento, e che non è trasportabile sic et simpliciter laddove all’incarico consegua il detto profondo permutamento, che è specificamente regolato dalla l. n. 1114 del 1962.

Risulta, pertanto, recessiva la circostanza che l’art. 1 della l. 1114 del 1962, nel delineare il proprio campo di applicazione, faccia riferimento solo al "personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del d. lgs. 165/2001" e non anche al personale di cui al successivo art. 3 dello stesso decreto.

Del resto, la locuzione dell’articolo 1, comma 2, del d. lgs. 165/2001, nella dinamica del decreto, presenta una indubbia vocazione generale (tant’è che il successivo art. 3 deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, e non all’art. 1) e si presta, pertanto, agli specifici fini considerati dalla norma di richiamo della l. 1114/62, idonea ad individuare anche il personale rimasto soggetto al regime di diritto pubblico.

L’interpretazione trova conforto anche nelle disposizioni di cui agli artt. 5 e 6 della stessa l. 1114/62 che, rimaste immutate successivamente alla riforma del pubblico impiego, dispongono che le disposizioni della legge si applicano anche agli altri dipendenti civili di ruolo dello Stato il cui ordinamento non è regolato dal testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (art. 5) e che al personale militare si applicano il primo comma dell’art. 1 ed il primo comma dell’art. 4, prevedendosi, altresì, espressamente che nell’ipotesi di assunzione di un impiego, con esercizio di funzioni anche di carattere continuativo, presso enti od organismi internazionali ovvero Stati esteri, cessa la corresponsione del trattamento economico a carico dello Stato italiano (art. 6).

5.4. Nulla muta, infine, considerando che il procedimento per l’autorizzazione dell’incarico all’estero non abbia, nella specie, seguito i passaggi procedimentali di cui allo stesso art. 1 della l. 1114/62, ovvero che per determinate fattispecie, sempre concernenti incarichi all’estero, sussistano norme che dispongono specificamente.

Invero, si osserva, quanto al primo rilievo, che trattasi di previsione meramente procedimentale, eppertanto del tutto inidonea ad indicare con valenza esaustiva il campo di applicazione della legge; quanto al secondo, che la l. 1114/62 lascia, naturalmente impregiudicata la possibilità del legislatore di disciplinare la materia con norme speciali, eventualità che, peraltro, non è dato apprezzare nella fattispecie.

E poiché la ridetta l. 1114/62 è chiara nel ricollegare lo svolgimento di un incarico all’estero del dipendente pubblico al previo collocamento in posizione di fuori ruolo, cui consegue la cessazione del trattamento economico a carico dello Stato, risulta del tutto ininfluente ai fini della decisione della presente controversia ogni questione pure introdotta dal ricorrente in relazione al diverso istituto, più favorevole, dell’aspettativa senza assegni, e delle connesse disposizioni del comma 1 dell’art. 23bis del d. lgs. 165/01 (che dispone comunque espressamente che "Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti"), ovvero al carattere dell’emolumento (indennitario, retributivo etc.) da percepirsi in rapporto all’incarico, ovvero ancora all’asserita insussistenza nell’ordinamento di un generale divieto di cumulo.

6. Per quanto sopra, deve concludersi che con gli impugnati atti il Ministero della giustizia ha fatto corretta applicazione delle previsioni di cui alla l. 1114/62, disponendo la sospensione del trattamento economico del ricorrente collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un incarico all’estero.

Ne consegue che non è fondata neanche la contestazione, mossa dal ricorrente sempre sulla scorta dell’assunto della non applicabilità alla fattispecie della l. 1114/62, in ordine alla richiesta di ripetizione di somme erroneamente erogate a titolo stipendiale in costanza di incarico estero, pure avanzata dall’amministrazione.

Attesa, inoltre, la chiara disposizione dell’art. 2, comma 3 della l.1114/62 ("L’impiegato è tenuto, a decorrere da quella stessa data (ndr. dalla data di decorrenza del collocamento fuori ruolo e della cessazione del trattamento economico a carico dello Stato italiano) a versare all’Amministrazione cui appartiene l’importo dei contributi o delle ritenute a suo carico…") vanno respinte anche le domande volte a contestare i provvedimenti impugnati nella parte in cui stabiliscono che dalla stessa data egli è tenuto (e non facoltizzato) a versare al Ministero l’importo delle ritenute e dei contributi a suo carico.

7. Per tutto quanto precede, il gravame deve essere respinto.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente a corrispondere in favore della parte resistente le spese di giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.000,00 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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