T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 29-04-2011, n. 3672 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 26 maggio 2009, depositato il successivo 1° giugno, premette l’istante, magistrato ordinario, di aver prestato servizio continuativamente dal maggio 1997 al gennaio 2009 come Segretario generale dell’Autorità per il trattamento dei dati personali, previo collocamento in posizione di fuori ruolo disposto dal Ministero della giustizia su conformi delibere del Consiglio Superiore della Magistratura. Nel corso di tale incarico, precisa il ricorrente di aver goduto del trattamento economico costituito dallo stipendio di magistrato, cui andava ad aggiungersi un ulteriore quota, avente carattere retributivo, corrisposta direttamente dall’Autorità garante, secondo le modalità di cui alla delibera della medesima Autorità 14 marzo 2001, n. 11, sulla base dei criteri previsti dall’art. 27 del regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale del Garante, e dall’art. 19, comma 6, del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e s.m.i.

Espone, ancora, il ricorrente di aver partecipato alla procedura di selezione indetta ai sensi dell’art. 42 del regolamento 45/01 e dell’art. 3 della decisione 1247/CE del 1° luglio 2002, all’esito della quale, con atto del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 14 gennaio 2009, è stato nominato Garante europeo aggiunto per la protezione dei dati personali. Tale incarico, di durata quinquennale, è stato dal ricorrente accettato mediante presa di possesso delle funzioni in Bruxelles in data 23 gennaio 2009. Con decreto del Ministro della giustizia 15 febbraio 2009, giusta delibera di autorizzazione del CSM del 14 febbraio 2009, il ricorrente è stato all’uopo confermato nella posizione di fuori ruolo.

Tutto ciò premesso, il ricorrente impugna i provvedimenti del Ministero della giustizia del 26 febbraio e del 27 aprile 2009, meglio indicati in epigrafe, che, in ragione di tale ultimo incarico, hanno disposto la cessazione del trattamento economico a carico dello Stato italiano a decorrere dal 17 gennaio 2009, e hanno stabilito che dalla stessa data egli è tenuto a versare al Ministero l’importo delle ritenute e dei contributi a suo carico.

Avverso tali decreti il ricorrente indirizza le seguenti censure:

1) violazione di legge ed eccesso di potere – insufficienza e contraddittorietà intrinseca della motivazione – violazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, violazione dell’art. 210 o.g. ( r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), come modificato ed integrato dal d.l. 16 settembre 2008, n. 143, convertito dalla l. 13 novembre 2008, n. 181.

Il ricorrente sostiene che l’ordinamento nazionale e quello comunitario non solo non contengono una disposizione che legittima quanto disposto dagli atti impugnati, ma vieppiù recano alcune disposizioni con essi confliggenti.

Il riferimento è innanzitutto alla citata decisione 1247/CE, che va ad integrare l’art. 43 del regolamento CE n. 45/01, istitutivo dell’E.D.P.S., che all’art. 2 si limita a prevedere che "Il Garante Aggiunto è equiparato al cancelliere della Corte di Giustizia delle Comunità europee per quanto riguarda la retribuzione, le indennità, il trattamento di quiescenza ed ogni altro compenso sostitutivo", senza porre una clausola di esclusività del trattamento in questione ovvero regolare l’eventuale opzione da effettuarsi da parte dell’interessato tra il trattamento stesso e quello in godimento nel paese di provenienza. Il ricorrente si riferisce poi all’art. 210 dell’ordinamento giudiziario, che prevede per l’ipotesi del collocamento fuori ruolo il mantenimento dello stipendio del magistrato, senza distinguere tra fuori ruolo in Italia od all’estero, e senza subordinarlo alla mancata percezione di altri emolumenti, comunque denominati.

Né la sospensione dello stipendio, prosegue il ricorrente, può essere ricondotta alla circostanza che il compenso da erogarsi per l’incarico di Garante aggiunto è qualificato come "retribuzione", atteso che la citata delibera n. 11/2001 dell’Autorità garante definiva in tal modo anche il compenso percepito come Segretario generale.

Del resto, sostiene il ricorrente, nell’ordinamento nazionale non esiste un principio generale che vieta la percezione di un doppio trattamento economico (e laddove esso esiste, come per i dirigenti pubblici, ai sensi dell’art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 e dell’art. 21 della l. 15 novembre 1973, n. 734, non applicabili alla fattispecie, esso è comunque subordinato alla condizione, qui non ricorrente, che la seconda attività sia svolta in connessione con la carica rivestita in seno all’amministrazione di appartenenza) ovvero che introduce un principio generale di "divieto di cumulo". Tant’è che, prosegue il ricorrente, alcuni magistrati ordinari collocati fuori ruolo percepiscono sia lo stipendio sia elevati trattamenti economici connessi ad incarichi. E se anche fosse da ritenersi esistente un divieto di cumulo, il ricorrente ritiene che esso non potrebbe mai applicarsi laddove uno dei trattamenti sia corrisposto dall’Unione Europea;

2) eccesso di potere – erroneità dei presupposti, contraddittorietà della motivazione e violazione dell’art. 3 della l. 241/90 – disparità di trattamento in relazione alla normativa sul collocamento fuori ruolo – violazione dell’art. 23bis del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e dell’art. 210 o.g. – contraddittorietà tra provvedimenti dell’amministrazione.

Parte ricorrente lamenta la carenza di motivazione degli impugnati decreti dirigenziali, e sostiene che gli stessi si pongono in contrasto con il decreto del Ministro della giustizia del 15 febbraio 2009, che ha confermato il suo collocamento nella posizione di fuori ruolo, nella misura in cui tali atti lo pongono di fatto nel diverso status di magistrato in aspettativa senza assegni, ed anzi, in una condizione ancora più deteriore, stante l’obbligo del pagamento delle ritenute afferenti al trattamento stipendiale non goduto, con ulteriore violazione dell’art. 23bis del d. lgs. 165/01, che, per l’ipotesi di collocamento in aspettativa all’estero, prevede che il trattamento previdenziale sia a carico dell’organismo di destinazione, con l’unico obbligo del dipendente di operare la ricongiunzione dei periodi retributivi.

Il ricorrente provvede poi a riepilogare lo status giuridico ed economico attribuito dalla normativa nazionale in materia di incarichi dei magistrati ordinari con riferimento alle diverse posizioni di aspettativa senza assegni e fuori ruolo, rimarcando sia che l’attuale formulazione dell’art. 23 bis del d. lgs. 165/01, in materia di aspettativa senza assegni, mantiene ferma la disciplina del fuori ruolo ordinario che egli ritiene applicabile (art. 210 o.g.), sia che, per i magistrati ordinari collocati in fuori ruolo per essere destinati al Ministero della giustizia (art. 196, o.g.) o ad altri incarichi (art. 210 o.g.), è prevista espressamente la conservazione del trattamento economico del grado.

Il ricorrente rileva ancora che l’intervenuta modifica normativa della disciplina del trattamento fuori ruolo di cui al d.l. 143/08 convertito dalla legge 181/2008 fa emergere che, per talune ipotesi di particolare pregnanza istituzionale, in cui rientrano gli incarichi presso organismi internazionali, il collocamento fuori ruolo assume anche una particolare rilevanza, riconosciuta dallo stesso CSM (circolare 20 novembre 2008), tant’è che per essi non sussistono limitazioni temporali o limitazioni di organico. I provvedimenti impugnati determinerebbero, quindi, a carico del ricorrente un trattamento deteriore rispetto non solo ai casi di fuori ruolo "ordinari", ma anche rispetto a quelli "straordinari".

Infine, il ricorrente sostiene che non potrebbe trovare applicazione nella fattispecie la l. 27 luglio 1962, n. 1114, che regola il collocamento fuori ruolo esclusivamente per il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del d. lgs. n. 165 del 2001, fatta eccezione per le Forze di polizia, espressamente contemplate all’art. 6;

3) violazione dell’art. 7 della l. 241/90 – eccesso di potere per mancata instaurazione del contraddittorio.

Con l’ultima censura ricorsuale il ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Il Ministero della giustizia, costituitosi in resistenza, domanda il rigetto del gravame, di cui sostiene l’infondatezza.

Nelle more del giudizio, con provvedimento del 18 maggio 2009, n. 0028177.U, il Ministero della giustizia, comunicato al ricorrente di aver sospeso la partita stipendiale, ha disposto il recupero della somma di Euro 15.799,97, corrispondente alla erronea corresponsione degli stipendi non dovuti del periodo gennaioaprile 2009, mediante versamento da effettuarsi presso la Tesoreria Provinciale dello Stato. Con la medesima nota l’amministrazione ha intimato al ricorrente il pagamento, ai sensi della l. 1114/62 e s.mi., delle ritenute previdenziali ed assistenziali ammontanti per ciascun mese a Euro 1.042,24.

Con mezzi aggiunti notificati in data 23 luglio 2009, depositati il successivo 29 luglio, il ricorrente domanda l’annullamento anche di tale ultimo provvedimento, avverso il quale deduce gli stessi motivi di gravame di cui all’atto introduttivo del giudizio, nonché le ulteriori censure di:

4) invalidità derivata – difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della l. 241/90 – eccesso di potere – violazione e falsa applicazione della l. 1114/62 e s.m.i. – violazione dell’art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dell’art. 3 del d. P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.

Con le precitate censure il ricorrente assume che il provvedimento sopravvenuto è affetto da invalidità derivata, non chiarisce se l’importo di Euro 15.799,97 di cui viene chiesta la ripetizione a titolo di trattamento stipendiale erogato e non dovuto sia al lordo o al netto delle ritenute fiscali, e non indica la norma della l. 1164/62 di cui fa applicazione.

Inoltre, il ricorrente, ribadito che la legge 1164/62 e s.m.i. non è applicabile nella fattispecie, assume la violazione del principio per cui le ritenute sono imprescindibilmente correlate alla retribuzione, e, in via subordinata, analogamente a quanto previsto dal d.P.R. 1092/73 per altre ipotesi, fa presente che l’onere del dipendente di versare i contributi ai fini pensionistici, in mancanza di retribuzione, deve ritenersi una facoltà e non un obbligo.

Conclusivamente, il ricorrente domanda, in via principale, l’annullamento dei provvedimenti impugnati, nonché l’accertamento del proprio diritto a percepire la retribuzione di magistrato collocato fuori ruolo, a trattenere gli stipendi percepiti e, per i mesi ad essi successivi, a percepire lo stipendio al netto dei contributi previdenziali; in subordine, domanda l’accertamento dell’obbligo del datore di lavoro di corrispondere i contributi previdenziali; in via ulteriormente gradata, domanda l’accertamento del titolo meramente facoltativo e non obbligatorio dell’onere del pagamento dei contributi previdenziali a fini pensionistici.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 9 marzo 2011.
Motivi della decisione

1. Il ricorrente è magistrato ordinario che ha prestato servizio continuativamente dal maggio 1997 al gennaio 2009 come Segretario generale dell’Autorità per il trattamento dei dati personali, previo collocamento in posizione di fuori ruolo disposto dal Ministero della giustizia su conformi delibere del Consiglio Superiore della magistratura.

Nel corso di tale incarico, il ricorrente ha goduto sia del trattamento economico costituito dallo stipendio di magistrato, sia della quota di retribuzione corrisposta dall’Autorità, secondo le modalità di cui alla delibera della medesima Autorità 14 marzo 2001, n. 11.

Nominato con atto del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 14 gennaio 2009, all’esito di procedura di selezione indetta ai sensi dell’art. 42 del regolamento 45/01 e dell’art. 3 della decisione 1247/CE del 1° luglio 2002, Garante europeo aggiunto per la protezione dei dati personali, incarico quinquennale, il ricorrente è stato all’uopo confermato nella posizione di fuori ruolo con decreto del Ministro della giustizia 15 febbraio 2009, giusta delibera di autorizzazione del CSM del 14 febbraio 2009.

Con provvedimenti del 26 febbraio e del 27 aprile 2009, l’amministrazione ha poi disposto nei suoi confronti, a decorrere dal 17 gennaio 2009, la cessazione del trattamento economico a carico dello Stato italiano e l’obbligo dalla stessa data di versare al Ministero della giustizia l’importo delle ritenute e dei contributi a suo carico.

Con provvedimento del 18 maggio 2009, il Ministero della giustizia ha inoltre comunicato al ricorrente di aver sospeso la partita stipendiale, ed ha disposto il recupero della somma di Euro 15.799,97, corrispondente alla erronea corresponsione degli stipendi non dovuti del periodo gennaioaprile 2009, in cui l’incarico all’estero era già in corso, mediante versamento da effettuarsi presso la Tesoreria Provinciale dello Stato. Con la medesima nota l’amministrazione ha intimato al ricorrente il pagamento, ai sensi della l. 27 luglio 1962, n. 1114 e s.m. i., delle ritenute previdenziali ed assistenziali ammontanti per ciascun mese a Euro 1.042,24.

2. Con il ricorso e con i mezzi aggiunti in trattazione il ricorrente lamenta il deteriore trattamento riservatogli in occasione di tale incarico all’estero, ancorchè nulla disponga in proposito l’ordinamento comunitario e, in ambito nazionale, l’art. 210 o.g. ( r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), disposizione speciale che ritiene l’unica applicabile alla fattispecie (rispetto alle norme di cui alla l. n. 1114 del 1962, considerate dall’amministrazione), e che, nel conservare ai magistrati collocati in fuori ruolo per lo svolgimento di incarichi speciali il trattamento economico del proprio grado, non distingue tra quelli da svolgersi in Italia ed all’estero.

Pertanto, il ricorrente domanda, in via principale, l’annullamento dei provvedimenti impugnati, nonché l’accertamento del proprio diritto a percepire la retribuzione di magistrato collocato fuori ruolo, a trattenere gli stipendi già percepiti in corso di incarico e, per i mesi ad essi successivi, a percepire lo stipendio al netto dei contributi previdenziali.

3. Le predette domande non possono trovare accoglimento.

4. Va anzitutto precisato che, vertendosi in tema di sospensione del trattamento stipendiale di un magistrato, di cui l’interessato assume, invece, la spettanza, ed, indi, in tema di diritti patrimoniali del pubblico dipendente, regolati da leggi dello Stato, ai fini dell’apprezzamento della legittimità del provvedimento che vi abbia inciso, non trovano ingresso questioni che attengono tipicamente agli atti amministrativi di carattere autoritativo, quali la carenza di motivazione e la mancata comunicazione di avvio del procedimento, pure introdotte dalla parte ricorrente.

Infatti, alla natura paritetica dell’atto consegue che anche l’eventuale mancato assolvimento degli oneri motivazionali e di comunicazione non potrebbe, comunque, essere considerata causa, ex se, di illegittimità del provvedimento e del procedimento, il cui esito è interamente vincolato, laddove l’amministrazione abbia fatto correttamente applicazione di una previsione normativa, fermo restando, naturalmente, il diritto dell’interessato di contestare la sussistenza di tale previsione, la sua applicabilità alla fattispecie, ovvero eventuali errori materiali nella sua applicazione.

5. Passando, indi, allo stretto merito della questione, si osserva che il ricorrente, sulla base di una disamina delle norme che regolano, per i magistrati ordinari, gli istituti del fuori ruolo e dell’aspettativa senza assegni, sostiene che né l’ordinamento nazionale nè quello comunitario contengono una disposizione che legittima la sospensione del trattamento economico al magistrato ordinario collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un incarico presso un’istituzione comunitaria.

L’affermazione non è condivisibile.

5.1. Deve innanzitutto escludersi che la disciplina interna del trattamento stipendiale del magistrato nella fattispecie possa o debba necessitare di un rapporto di integrazione con l’ordinamento comunitario.

E’, pertanto, del tutto ininfluente nella presente controversia che la invocata (da parte del ricorrente) decisione 1247/CE, che va ad integrare l’art. 43 del regolamento CE n. 45/01, istitutivo dell’E.D.P.S., prevedendo che "Il Garante Aggiunto è equiparato al cancelliere della Corte di Giustizia delle Comunità europee per quanto riguarda la retribuzione, le indennità, il trattamento di quiescenza ed ogni altro compenso sostitutivo", non ponga una clausola di esclusività del trattamento in questione nè regoli l’opzione da effettuarsi da parte dell’interessato tra il trattamento stesso e quello in godimento nel paese di provenienza.

Tale norma, infatti, relativa, com’è, al Garante europeo aggiunto per la protezione dei dati personali, non è suscettibile di appartenere al novero delle fonti comunitarie che integrano le fonti interne, in quanto deputata esclusivamente a disciplinare il funzionamento della predetta istituzione, con riflessi limitati, quindi, all’organizzazione amministrativa e contabile dell’Unione.

Tant’è che, come rilevato dallo stesso ricorrente, siffatta disciplina risulta priva di qualsivoglia riferimento, anche implicito, al trattamento da riservarsi nell’ordinamento interno al dipendente pubblico eventualmente nominato Garante aggiunto.

Al più, l’unico "punto di contatto" rinvenibile tra i due considerati ordinamenti è costituito dalle disposizioni generali istitutive dell’Unione europea, richiamate dalla difesa erariale, che pongono in via generale a carico degli Stati membri la provvista dei mezzi finanziari – e non del relativo personale – necessari alla vita delle sue istituzioni.

Ne consegue che, nella materia di che trattasi, l’ordinamento comunitario e quello interno sono reciprocamente indifferenti (analogamente, in tema di trattamento pensionistico di magistrato della Corte dei Conti collocato in posizione di fuori ruolo ai sensi della l. 1114/62 in relazione all’incarico di componente della Corte dei Conti della Ce, Tar Lazio, Roma, 10 marzo 2010, n. 3666).

5.2. Quanto all’ordinamento nazionale, è vero che, come sostenuto dal ricorrente, l’art. 210 o.g. prevede per l’ipotesi del collocamento fuori ruolo il mantenimento dello stipendio del magistrato, senza distinguere tra fuori ruolo in Italia od all’estero, e senza subordinarlo alla mancata percezione di altri emolumenti, comunque denominati.

Ma è altresì vero che non può versarsi in dubbio che l’amministrazione ha fatto applicazione non dell’art. 210 o.g., bensì della disciplina prevista dalla legge n. 1114 del 1962,, recante "Disciplina della posizione giuridica ed economica dei dipendenti statali autorizzati ad assumere un impiego presso Enti od organismi internazionali o ad esercitare funzioni presso Stati esteri".

E l’art. 1 di detta legge, come sostituito dalla l. 15 luglio 2002, n. 145, prevede che il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, con decreto dell’amministrazione interessata, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e con il Ministero dell’economia e delle finanze, essere collocato fuori ruolo per assumere un impiego o un incarico temporaneo di durata non inferiore a sei mesi presso enti o organismi internazionali, nonché esercitare funzioni, anche di carattere continuativo, presso Stati esteri.

Correlativamente, l’art. 2 regola la posizione di detto personale, stabilendo che all’impiegato collocato fuori ruolo ai sensi dell’art. 1 si applicano le norme contenute nel testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvata con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e, per quanto qui di particolare interesse, che dalla data di decorrenza del collocamento fuori ruolo cessa il trattamento economico a carico dello Stato italiano e l’impiegato è tenuto, a decorrere da quella stessa data, a versare all’Amministrazione cui appartiene l’importo dei contributi o delle ritenute a suo carico di cui all’art. 57 del citato testo unico.

5.3. Il ricorrente sostiene che tale ultima normativa non è applicabile ai magistrati.

Ma l’assunto non può essere condiviso.

Perno della tesi ricorsuale sul punto è che nella locuzione "personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165" contenuta nell’art. 1 della legge 1114/62, che ne determina l’ambito di applicazione, non possono essere ricompresi i magistrati, categoria in regime di diritto pubblico contemplata dal successivo art. 3 del decreto, che non è stato richiamato.

Secondo il ricorrente, indi, l’art. 210 o.g. configurerebbe, pertanto, un regime di specialità, fatto salvo dal ridetto art. 3, non richiamato dalla l. 1114/62, da applicarsi nella fattispecie.

L’argomentazione non persuade.

Trattasi, infatti, nella specie, di individuare non il trattamento giuridico ed economico del magistrato italiano che operi sul territorio nazionale nello svolgimento di un incarico speciale (campo di elezione dell’art. 210 o.g.), bensì di definire quale sia la posizione da riservare, all’interno dell’ordinamento stesso, al magistrato, soggetto legato da un rapporto di pubblico impiego con lo Stato italiano, il quale temporaneamente lo abbandoni per assumere un incarico presso un organismo internazionale.

Tale seconda fattispecie presenta, invero, un elemento di profonda differenziazione rispetto alla prima, poiché se è vero che in ambedue le ipotesi, come messo in luce dal ricorrente, lo svolgimento dell’incarico deve pur sempre o corrispondere, ancorchè latamente, all’interesse pubblico dell’amministrazione datrice di lavoro, ovvero non porsi con esso in conflitto (condizioni la cui sussistenza si manifesta con il previo rilascio dell’autorizzazione), è altresì vero che nell’incarico speciale da svolgersi all’estero viene meno uno degli indici più qualificanti del rapporto di pubblico impiego come strutturato nel nostro ordinamento, ovvero l’esclusività della prestazione a favore dello Stato.

Di talchè, non risulta sostenibile che vi sia quella identità di situazioni che legittimerebbe il ricorso, anche nella seconda ipotesi, alla ratio della norma di favore dettata dall’art. 210 o.g., che, assumendo, per fictio iuris, la persistenza dell’integrità del rapporto di lavoro pubblico cui accede l’incarico, dispone, sinallagmaticamente, la conservazione del trattamento economico nel corso dello suo svolgimento, e che non è trasportabile sic et simpliciter laddove all’incarico consegua il detto profondo permutamento, che è specificamente regolato dalla l. n. 1114 del 1962.

Risulta, pertanto, recessiva la circostanza che l’art. 1 della l. n. 1114 del 1962, nel delineare il proprio campo di applicazione, faccia riferimento solo al "personale dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del d. lgs. 165/2001" e non anche al personale di cui al successivo art. 3 dello stesso decreto.

Del resto, la locuzione utilizzata dall’art. 1, comma 2 del d. lgs. 165/2001, nella dinamica del decreto, presenta una indubbia vocazione generale (tant’è che il successivo art. 3 deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, e non all’art. 1) e si presta, pertanto, agli specifici fini considerati dalla norma di richiamo della l. 1114/62, idonea ad individuare anche il personale rimasto soggetto al regime di diritto pubblico.

L’interpretazione trova conforto anche nelle disposizioni di cui agli artt. 5 e 6 della stessa l. 1114/62 che, rimaste immutate successivamente alla riforma del pubblico impiego, dispongono che le disposizioni della legge si applicano anche agli altri dipendenti civili di ruolo dello Stato il cui ordinamento non è regolato dal testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (art. 5) e che al personale militare si applicano il primo comma dell’art. 1 ed il primo comma dell’art. 4, prevedendosi, altresì, espressamente che nell’ipotesi di assunzione di un impiego, con esercizio di funzioni anche di carattere continuativo, presso enti od organismi internazionali ovvero Stati esteri, cessa la corresponsione del trattamento economico a carico dello Stato italiano (art. 6).

5.4. Nulla muta, infine, considerando che il procedimento per l’autorizzazione dell’incarico all’estero non abbia, nella specie, seguito i passaggi procedimentali di cui allo stesso art. 1 della l. 1114/62, ovvero che per determinate fattispecie, sempre concernenti incarichi all’estero, sussistano norme che dispongono espressamente e specificamente.

Invero, si osserva, quanto al primo rilievo, che trattasi di previsione meramente procedimentale, eppertanto del tutto inidonea ad indicare con valenza esaustiva il campo di applicazione della legge; quanto al secondo, che la l. 1114/62 lascia, naturalmente impregiudicata la possibilità del legislatore di disciplinare la materia con norme speciali, eventualità che, peraltro, non è dato apprezzare nella fattispecie.

E poiché la ridetta l. 1114/62 è chiara nel ricollegare lo svolgimento di un incarico all’estero del dipendente pubblico al previo collocamento in posizione di fuori ruolo, cui consegue la cessazione del trattamento economico a carico dello Stato, risulta del tutto ininfluente ai fini della decisione della presente controversia ogni questione pure introdotta dal ricorrente in relazione al diverso istituto, più favorevole, dell’aspettativa senza assegni (l’interessato del resto ha espresso il suo assenso alla conferma del collocamento fuori ruolo con nota 2 gennaio 2009, in atti), e delle connesse disposizioni del comma 1 dell’art. 23bis del d. lgs. 165/01 (che dispone comunque espressamente che "Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti"), ovvero al carattere dell’emolumento (indennitario, retributivo etc.) da percepirsi in rapporto all’incarico, ovvero ancora all’asserita insussistenza nell’ordinamento di un generale divieto di cumulo.

6. Per quanto sopra, deve concludersi che il Ministero della giustizia ha fatto corretta applicazione delle previsioni di cui alla l. 1114/62, disponendo la sospensione del trattamento economico del ricorrente confermato in collocamento fuori ruolo per lo svolgimento di un incarico all’estero.

Ne consegue che non è fondata neanche la contestazione, mossa dal ricorrente sempre sulla scorta dell’assunto della non applicabilità alla fattispecie della l. 1114/62, in ordine alla richiesta di ripetizione di somme erroneamente erogate a titolo stipendiale in costanza di incarico estero, pure avanzata dall’amministrazione.

7. Devono pertanto essere respinte le domande, avanzate dal ricorrente in via principale, di l’annullamento dei provvedimenti impugnati, nonché di accertamento del proprio diritto a percepire la retribuzione di magistrato collocato fuori ruolo, a trattenere gli stipendi già percepiti in corso di incarico e, per i mesi ad essi successivi, a percepire lo stipendio al netto dei contributi previdenziali.

8. Attesa, inoltre, la chiara disposizione dell’art. 2, comma 3 della l. 1114/62 ("L’impiegato è tenuto, a decorrere da quella stessa data (ndr. dalla data di decorrenza del collocamento fuori ruolo e della cessazione del trattamento economico a carico dello Stato italiano) a versare all’Amministrazione cui appartiene l’importo dei contributi o delle ritenute a suo carico…") vanno respinte anche le domande subordinate inerenti l’accertamento dell’obbligo del datore di lavoro di corrispondere i contributi previdenziali e l’accertamento del titolo meramente facoltativo e non obbligatorio dell’onere del pagamento dei contributi previdenziali a fini pensionistici.

Quanto, invece, alla circostanza che il provvedimento del 18 maggio 2009, gravato con i motivi aggiunti, non chiarisce se l’importo di Euro 15.799,97, di cui viene chiesta la ripetizione a titolo di trattamento stipendiale erogato e non dovuto, sia al lordo o al netto delle ritenute fiscali, essa non è di natura viziante, atteso che l’interessato è posto in grado (e non ha dato contezza di averlo fatto) di verificare, mediante accesso agli atti, in qual modo l’amministrazione sia pervenuta a tale quantificazione, per poterne, eventualmente, contestare l’esattezza.

9. Per tutto quanto precede, il gravame deve essere respinto.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente a corrispondere in favore della parte resistente le spese di giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.000,00 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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