Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-12-2010) 29-04-2011, n. 16599 Chiusura ed avviso di chiusura delle indagini preliminari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.U.P. del Tribunale di Palermo, con sentenza in data 18 gennaio 12007, dichiarava L.N.A., T.G., T.P. S. e P.L., colpevoli del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina (capo A), nonchè di due delitti di illecita importazione nello Stato di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed hashish, con l’aggravante, per il primo reato, dell’ingente quantità (capi B e C); dichiarava, inoltre, i suddetti, in concorso tra loro e con S.S.L.; colpevoli di altro delitto di illecita importazione nello Stato di sostanza stupefacente di tipo cocaina, con l’aggravante dell’ingente quantità (capo D); dichiarava, infine, il solo L.N. colpevole dei delitti di utilizzo di falso documento di identità e di alterazione di una patente di guida (capi E e G).

Per quanto riguarda la determinazione della pena, il Tribunale fissava una pena per il delitto di associazione per delinquere e stabiliva un’ulteriore pena per tutti gli altri reati ritenuti in continuazione fra loro.

A seguito di gravame degli imputati, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza in data 16 luglio 2009, ritenuta l’unicità del fatto di cui ai capi B) e C) della rubrica e la continuazione tra il reato associativo e i reati fine contestati ai singoli imputati e, ritenuta eccessiva la pena inflitta al S., rideterminava la pena inflitta a L.N., a T.P.S. e a P.L., in anni tredici e mesi quattro di reclusione ed Euro 140.000,00 di multa ciascuno; quella inflitta a T.G. in anni sedici di reclusione e quella inflitta a S. in anni cinque e mesi 4 di reclusione ed Euro 60.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza appellata.

In via preliminare la Corte di Appello respingeva l’eccezione di nullità della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo di rinvio a giudizio, perchè non preceduta dall’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari.

La Corte, innanzitutto, dichiarava di condividere le argomentazioni del primo giudice, il quale rilevava che vi era stata un’originaria richiesta del P.M. avanzata al G.I.P. del Tribunale di Palermo, preceduta da regolare avviso di conclusioni delle indagini, e che, a seguito della declaratoria di incompetenza del G.U.P. di Palermo con l’individuazione della competenza del Tribunale di Torino, vi era stata una successiva richiesta avanzata dal P.M. di Torino, in esito:

a nuove indagini, pure preceduta da regolare avviso di conclusione delle indagini; sicchè, all’atto dell’ultima richiesta del P.M. del Tribunale di Palermo di rinvio a giudizio davanti allo stesso Tribunale, individuato come competente a seguito di sentenza della Corte di Cassazione risolutiva di conflitto di competenza, vi era già stata la piena discovery sia degli atti del PM di Palermo, sia di tutte le altre attività compiute nella pendenza del procedimento penale avanti al PM presso il Tribunale di Torino.

La Corte di Appello aggiungeva che, in ogni caso, lai dedotta nullità, di carattere intermedio, sarebbe stata sanata, ai sensi dell’art. 183 c.p.p., dalla richiesta di giudizio abbreviato, con la quale gli imputati hanno accettato gli effetti dell’atto asseritamente nullo.

La stessa Corte respingeva anche l’eccezione di nullità dell’udienza dell’11.5.2006, e di ogni altra successiva attività processuale, per la mancata documentazione degli atti del dibattimento mediante stenotipia o registrazione, osservando che il mancato rispetto delle modalità di documentazione degli atti processuali non produce alcuna nullità e che, in ogni caso, all’udienza del 13.5.2006, il primo giudice aveva disposto la documentazione delle attività dibattimentali mediante fonoregistrazione, e, poichè i difensori degli imputati avevano nuovamente illustrato, nella detta udienza, le questioni precedentemente dedotte, la pretesa violazione del diritto di difesa doveva considerarsi sanata.

Infine, la Corte di Appello rigettava le eccezioni di nullità e di inutilizzabilità delle intercettazioni, osservando che gli imputati con la richiesta di giudizio abbreviato, formulata dopo che il giudice di primo grado aveva rigettato le eccezioni in questione, avevano accettato che la regiudicata fosse definita alla stregua degli atti di indagine già acquisiti, e, quindi, anche delle intercettazioni allegate alla informativa di reato, il cui specifico contenuto non hanno, peraltro, contestato; aggiungeva che, in ogni caso, le eccezioni erano infondate per le considerazioni esposte, a confutazione dei medesimi vizi lamentati, dalla Corte di Cassazione nelle sentenze con le quali erano stati decisi i ricorsi avverso le ordinanze rese, dal Tribunale di Palermo, in data 22.9.2004, e da quello di Torino, in data 4.6.2005, in sede di riesame dei provvedimenti di custodia cautelare.

La stessa Corte, peraltro, riteneva di dovere prendere in escine, per completezza, ulteriori considerazioni esposte dagli appellanti con memoria depositata, riguardanti l’inadeguata protezione del sistema di captazione dei flussi telematici e di conservazione dei dati intercettati, la mancata acquisizione dei supporti informatici sui quali sono stati originariamente riversati i dati medesimi, l’esistenza di discrasie tra i supporti acquisiti all’udienza del 7.3.2008 e l’informativa di reato del 17.11.2004, relativamente al numero dei supporti contenenti i messaggi intercettati, all’indicazione della data e dell’ora della loro captazione ed alla assenza di messaggi nei supporti e nell’informativa.

La Corte, dopo avere analizzato la documentazione in atti, le testimonianze assunte da dipendenti della Wind Telecomunicazioni e della Resi Informatica e le dichiarazioni dei periti nominati in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, concludeva che la captazione dei dati telematici, la loro custodia presso la società Wind, nell’"unica macchina centralizzata", e la loro trasmissione alla postazione della polizia giudiziaria erano state eseguite con procedure standardizzate, garantite da sistemi di protezione, dei quali è ragionevole presumere un certo grado di efficienza, almeno all’epoca in cui le intercettazioni erano state effettuate; poichè soltanto un soggetto fornito di notevole abilità ed esperienza nelle tecnologie informatiche si sarebbe potuto intromettere nella procedura di intercettazione; inoltre, non era stato acquisito neppure un semplice sospetto che i dati captati potessero essere stati visualizzati, decriptati e addirittura manipolati o eliminati, da un estraneo all’attività in questione, il quale, peraltro, avrebbe dovuto avere un interesse specifico a compiere tali operazioni, interesse che la Corte non individuava, e che neppure le difese degli imputati avevano ipotizzato.

La Corte di Appello aggiungeva, ancora, che nessun concreto pregiudizio alle facoltà difensive poteva ravvisarsi nella mancata trascrizione di alcuni messaggi telematici riscontrata dai periti della Corte, con una ricerca a campione, giacchè i detti ausiliari avevano pure accertato che nei supporti rilasciati ai difensori erano stati registrati gli stessi flussi contenuti in quelli acquisiti all’udienza del 1.3.2008, e gli imputati, pertanto, avrebbero potuto procedere alla trascrizione dei messaggi mancanti.

La stessa Corte, infine, dichiarava inutilizzabili tre messaggi di cui agli allegati 240, 241 e 242 dell’informativa di reato, rilevati nella casella di posta elettronica denominata rondinegialla715hotmail.com, capitati quando era ormai decorso il termine di efficacia del decreto, col quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo aveva convalidato il provvedimento urgente di intercettazione dell’account indicato.

La Corte di Appello confermava la dichiarazione di responsabilità degli imputati in ordine, ai reati loro ascritti, sulla base di una dettagliata analisi del compendio probatorio, costituito dal contenuto di numerose intercettazioni, telefoniche, ambientali e telematiche, dai risultati dei servizi dinamici, di pedinamento e osservazione, eseguiti della polizia giudiziaria, anche contemporaneamente e parallelamente alle intercettazioni, dal sequestro di una notevole quantità di sostanze droganti, dagli arresti eseguiti e dalle dichiarazioni, seppure solo in parte confessorie, di L.N.A. e di D.G. (quest’ultimo giudicato separatamente a seguito di richiesta di applicazione di pena concordata).

Propongono ricorso per cassazione i difensori degli imputati e alcuni di essi anche personalmente.

T.G. propone ricorso per cassazione personalmente, deducendo i seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 516, 521, 522 e 546 c.p.p..

Nullità della sentenza per mancata indicazione dell’imputazione nell’intestazione, nella parte motiva nonchè nel dispositivo della sentenza, conseguente violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza.

Violazione del diritto di difesa.

Il ricorrente rileva che l’imputazione con riferimento ai capi B), C) e D) è assolutamente omessa e che l’unico capo di imputazione che viene solo parzialmente riportato in sentenza è il capo A), con riferimento al quale, comunque, non sono riportati i nomi dei coimputati ai quali il reato associativo è contestato, con conseguente impossibilità per la difesa di verificare se vi siano almeno tre associati, il locus commissi delicti, il tempus commissi delicti, il quantitativo, nonchè il tipo di stupefacente contestato.

Nè dalla sentenza complessivamente considerata (intestazione, parte motiva, dispositivo) si evince l’imputazione.

Ciò determinerebbe nullità per violazione del diritto di difesa, nonchè per incompletezza della sentenza laddove si consideri che, con apposito motivo di appello, si chiedeva la modifica dell’editto imputativo con riferimento al quantitativo di sostanza stupefacente contestato nonchè la riforma della sentenza in merito alla contestazione dell’aggravante, sulla scorta di consulenza tecnica sullo stupefacente, disposta dal Tribunale di Torino, con la quale si addiveniva all’individuazione di un quantitativo di stupefacente minore rispetto a quello contestato originariamente.

2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

Nullità della sentenza e delle ordinanze allegate ai verbali d’udienza dell’11.5.2006 e del 13.5.2006, in relazione all’art. 177, art. 178, lett. C), artt. 179, 180, 181, 182, 183 e 185, per nullità della richiesta di rinvio a giudizio, ex artt. 415 bis e 416 c.p.p.;

non avendo il PM fatto precedere la stessa dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Il ricorrente, dopo avere sottolineato che l’eccezione veniva sollevata all’udienza preliminare prima della scelta del rito abbreviato, afferma che la circostanza che, precedentemente, l’avviso di conclusione delle indagini fosse stato spedito, non sana la successiva mancata spedizione dell’ulteriore avviso, non potendosi riconoscere ai precedenti avvisi efficacia ultrattiva, visto l’ulteriore compimento di attività d’indagine difensiva, l’espletamento di consulenza tecnica da parte del PM presso il Tribunale di Torino sullo stupefacente e gli interrogatori resi dagli indagati.

Proprio la mancanza di avviso ex art. 415 bis c.p.p., non avrebbe consentito alle parti, secondo il ricorrente, di formulare, al PM, ex art. 415 bis c.p.p., comma 3, richiesta di atti di indagine volti a verificare il principio attivo di cui alla sostanza stupefacente sequestrata ovvero di acquisire, quale atto irripetibile, la consulenza tecnica disposta sullo stupefacente sequestrato dal P.M. presso il Tribunale di Torino.

Il ricorrente osserva ancora che l’art. 32 c.p.p. prevede che gli atti vengano trasmessi oltre al G.U.P. in conflitto anche al P.M., e ciò significherebbe attribuire allo stesso P.M. piena libertà di determinazione in merito all’esercizio dell’azione penale, in quanto avrebbe anche potuto ritenere di non esercitare l’azione penale sulla scorta delle indagini difensive e degli interrogatori resi dagli indagati.

Il ricorrente afferma, infine, di avere tempestivamente dedotto la nullità sia in primo grado che in appello e la scelta di rito abbreviato non potrebbe essere interpretata come rinuncia all’eccezione, ali sensi dell’art. 183 c.p.p., ma una scelta vincolata della parte che, dopo il rigetto dell’eccezione è obbligata a proseguire nel processo.

3) Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e) per mancata assunzione di prova decisiva, nonchè per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento ai capi B) e C) dell’imputazione.

Il ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano considerato nella disponibilità di T.G. un’utenza telefonica olandese, in contrasto con ciò che risulterebbe dagli atti processuali, ed abbiano ignorato la prova a discarico costituita da una perizia fonica, la quale esclude che fosse di T.G. la voce della persona in compagnia di L.N., in Olanda, nel corso di una conversazione di quest’ultimo con D.G., del 30 maggio 2003, intercettata sulla suddetta utenza, ciò farebbe venir meno la presunzione secondo cui T.G. e L.N.A. fossero insieme in Olanda, in epoca prossima al 2 giugno 2003.

Tale conclusione collimerebbero con quanto dichiarato da L.N., che esclude ogni responsabilità di T.G..

4) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

Nullità dell’udienza dell’11.5.2006, in relazione all’art. 177 c.p.p., art. 178 c.p.p., lett. a), artt. 179, 180, 182, 183 e 185 c.p.p., artt. 134 e 139 c.p.p. per mancata documentazione mediante audio-registrazione, stenotipia, delle attività processuali svolte in primo grado; consequenziali profili di nullità assoluta di ogni attività processuale relativa alla detta udienza nonchè di ogni attività processuale successiva di cui all’udienza del 13.5.2006.

Ad avviso del ricorrente, ai sensi dell’art. 134 c.p.p., comma 4, e art. 139 c.p.p., solo qualora le parti vi rinunciano il giudice può omettere la fonoregistrazione.

5) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) Inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche in relazione agli artt. 111, 116 e 243 c.p.p., art. 268 c.p.p., comma 4 e segg., artt. 211 e 191 c.p.p. con riferimento ai decreti intercettativi nn. 151/03, 722/03, 1291/03; nonchè violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle CTU e alle deposizioni rese dai testi L., O., Pa..

Il ricorrente, dopo avere affermato che la scelta del rito abbreviato non implica recesso da quelle che sono questioni di inutilizzabilità e/o nullità delle intercettazioni telematiche, e dopo avere ricordato che con specifico motivo di appello aveva disconosciuto tutti i messaggi telematici da valutarsi alla stregua di riproduzioni meccaniche in quanto non muniti di firma digitale ex art. 2712 c.c., sostiene che dall’esito della rinnovazione della istruttoria dibattimentale (acquisizione di documentazione, CTU, assunzione di testi) risulterebbe che manca il corpo di reato, cioè i CD originali in cui fu originariamente riversato il flusso telematico non potendosi considerare tali (come dimostrato dalla CTU collegiale) quelli custoditi in Procura che hanno una data di creazione (16.3.2004) che mette in evidenza come gli stessi non siano neppure quelli da cui fu trascritta l’informativa del 17.11.2003.

Sulle stesse basi il ricorrente ritiene illogica la sentenza della Corte di Appello che ha ritenuto l’espletamento della perizia assolutamente necessario ai fini della decisione per verificare se il flusso telematico fosse protetto secondo i criteri dettati dalla legge, salvo, poi, disconoscere quanto verificato dagli stessi CTU della Corte, ossia che il flusso telematico non era affatto protetto atteso che si trovava sull’hard-disk e non fu versato sin dall’origine su CD immodificabili, ma solo in data 16.3.2004;

aggiunge, ancora, eli non avere mai segnalato in merito ad un’eventuale manipolazione del dato, ma di avere evidenziato la mancanza dei supporti originali e la circostanza che le intercettazioni telematiche presentano diverse anomalie, derivanti dal sistema di captazione, che non avrebbe ben funzionato, al punto che alcuni messaggi non esistono sul cartaceo mentre esistono sul supporto informatico così come altri messaggi riportati nell’informativa del 17.11.2003 recano una data ed un’ora diversa rispetto a quella rinvenuta sul CD. 6) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione agli artt. 268 e 211 c.p.p., art. 89, comma 2, Norme di Attuazione codice procedura penale.

Nullità delle intercettazioni telematiche di cui ai decreti N. 151/2003 Int, N. 722/2003 Int, N. 1291/03 Int, per mancanza dei supporti originali.

Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

Mancanza di motivazione in merito all’eccezione di mancanza nel presente processo dei corpi di reato atteso che i CD analizzati dai periti recano la data del 16.3.2004 per cui non sono quelli da cui fu trascritta l’informativa che reca la data del 17.11.2003.

Il ricorrente; ritiene applicabili alle intercettazioni telematiche le norme dell’art. 89 disp. att. c.p.p., comma 2, con la conservazione dei CD, in cui vengono riversati i flussi telematici, in apposite custodie numerate e sigillate, mentre risulterebbe che nel periodo febbraio 2003/16.3.2004 il flusso telematico si trovava su hard disk, senza nessun sistema di protezione atteso che veniva gestito, per come emerso in istruttoria dibattimentale, mediante sistema operativo Windows e Checksum.

7) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) in relazione agli artt. 220, 495 e 603 c.p.p..

Nullità della sentenza per mancata valutazione, ai fini della decisione, di prova (perizia) disposta dalla Corte poichè ritenuta indispensabile.

Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Mancanza di motivazione in merito alle risultanze della CTU disposta dalla Corte. Travisamento della prova.

Il ricorrente afferma che la mancata risposta dei giudici d’appello in relazione alle decisive risultanze probatorie, ritenute indispensabili dalla Corte stessa per avere disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, inficia la completezza e la coerenza logica della sentenza di condanna.

In particolare, lo stesso ricorrente rileva che i CTU hanno confermato la differenza, già rilevata dalla difesa, tra account di connessione e account di posta elettronica; pertanto, avendo la Procura richiesto l’intercettazione "dell’account di posta elettronica", ciò comporterebbe la inutilizzabilità di tutti i messaggi captati su caselle di posta elettronica diverse da quelle autorizzate e tali messaggi sono analiticamente indicati nel ricorso.

Sempre sulla base delle risposte fornite dai periti, il ricoprente afferma che è impossibile ricondurre in modo oggettivo l’account di connessione all’imputato con conseguente impossibilità di ritenere che una determinata casella e-mail sia nell’uso esclusivo di due soggetti; che i CD custoditi nel presente processo come corpi di reato non sono quelli in cui originariamente fu riversato il traffico telematico; che tra i CD e il cartaceo vi sono delle incongruente.

Su tali circostanze si lamenta una mancanza di motivazione.

8) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) in relazione all’art. 267 c.p.p..

Il ricorrente fa rilevare che: il G.I.P., in provvedimenti specificamente indicati nel ricorso, autorizza, in luogo di intercettazione di flussi telematici, l’intercettazione ambientale, e ciò comporterebbe la nullità di tutti i decreti in tal modo emessi, in quanto dimostrerebbe che il giudice non ha effettuato il doveroso controllo di sua competenza.

9) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) in relazione all’art. 268 c.p.p..

Il ricorrente rileva che le croniche ragioni di indisponibilità di apparecchiature per le intercettazioni presso la Procura, nel presente procedimento, sono attestate solo da una nota dell’Ufficio Intercettazioni, che per i due anni di indagine si presenta con connotazioni formali e sostanziali pressochè identiche, che non sembrano riferirsi alla situazione sottostante in maniera concreta;

rileva, inoltre, che, comunque, tale nota avrebbe dovuto accertare la indisponibilità con riferimento specifico alle intercettazioni telematiche.

Per quanto riguarda le eccezionali ragioni di urgenza che devono giustificare l’utilizzo di impianti esterni alla Procura della Repubblica, tali ragioni non sarebbero esplicitate.

10) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) in relazione alla violazione di cui all’art. 178 c.p.p..

Il ricorrente rileva che numerosi provvedimenti di proroga delle intercettazioni sono stati sottoposti ed affidati a Giudici diversi dal Giudice per le Indagini Preliminari assegnatario della indagine e ciò violerebbe il principio del giudice naturale precostituito per legge, in assenza di un espresso provvedimento del capo dell’Ufficio, il quale, in caso di impedimento del Giudice assegnatario del processo, ben poteva disporre la supplenza da parte di altro magistrato.

11) Violazione dell’art. 606, comma 1, lettera d) per mancata valutazione degli interrogatori resi da D.G., L.N. A. e pa.an..

Il ricorrente lamenta che la Corte di Appello non avrebbe enunciato le ragioni per cui non ha ritenuto rilevanti le prove contrarie, in particolare gli interrogatori dei tre coimputati, i quali hanno posto in essere confessione piena in merito ai capi B e C, ma avrebbero, come risulterebbe dall’analitico esame delle loro dichiarazioni effettuato nel ricorso, escluso, ogni e qualsivoglia coinvolgimento di T.G. per tali due capi.

In particolare, la Corte d’Appello, neppure avrebbe dato atto in sentenza della confessione di D., il quale esclude ogni e qualsivoglia responsabilità di T.G..

12) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonchè mancanza di motivazione in ordine alla contestazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1, (capo A).

Il ricorrente afferma, sulla base dei principi giurisprudenziali in materia, che le carte non consentirebbero di attribuire – ove pure sussistente una struttura associativa finalizzata – veste soggettiva criminale "qualificata e sovraordinata" alla figura ed ai tratti, comportamentali e finalistici, di T.G..

13) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello di Palermo nell’affermare la correttezza dell’operato del primo giudice che ritiene sussistente la fattispecie associativa, dimenticherebbe che questi ha posto a base della decisione ed utilizzato per ritenere la sussistenza del reato associativo, proprio per T.G., 3 comunicazioni telematiche, quelle di cui agli allegati 240-241 e 242, conversazioni che nel giudizio di appello sono state dichiarate inutilizzabili; sostiene, poi, denunciando la mancanza di motivazione su specifici motivi di appello, che non sussisterebbe la fattispecie associativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, ma al più soltanto le fattispecie ex art. 73 stesso D.P.R., da configurare ex art. 110 c.p. e da "saldare" tra loro unicamente ex art. 81 cpv. c.p..

Se è ben vero, osserva ancora il ricorrente, che anche attraverso la prova della commissione di "reati fine" può risalirsi alla dimostrazione dell’esistenza di un sodalizio – "reato mezzo", nel caso di specie, si sarebbe in presenza di manifestazioni ex art. 73, D.P.R. cit., non contestabili all’imputato, ovvero a tutto volere concedere, occasionali e affatto sistematiche.

Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 13 e 80, con riferimento al reato contestato al capo D. Il ricorrente afferma che il mancato rinvenimento della sostanza stupefacente sull’autovettura oggetto di attenzione e perquisizione avrebbe svilito il quadro indiziario, come è stato riconosciuto nei confronti dei coimputati F., S. e p., in sede di riesame di misure cautelari e per il p. (la cui posizione è stata stralciata) con sentenza irrevocabile.

Il ricorrente esamina il contenuto delle conversazioni intercettate, sulle quali si fonda la sentenza di condanna, per trame conclusioni diverse da quelle del giudice di merito, in particolare, osservando che alla data del 10 agosto 2003, alla quale si fa risalire l’apprensione dello stupefacente in Olanda, il T.G. si trovava in Spagna, come emergerebbe da conversazione telefonica con il fratello T.P.S., in data 8 agosto 2003. 15) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 62 bis c.p..

Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata tratti in generale del diniego delle circostanze attenuanti generiche con riferimento a tutti gli imputati, senza operare un distinguo in relazione alla personalità di ciascuno di essi; si duole, inoltre, che non vi sia motivazione alcuna sulle ragioni per le quali il giudice si è discostato dal minimo edittale, denunciando, altresì, che l’aver commesso precedenti delitti è circostanza usata dalla Corte per due volte in senso sfavorevole all’imputato, ossia al fine di negare le circostanze attenuanti generiche ed ancora nel discostarsi dal minimo edittale.

16) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80.

Il ricorrente rileva che la sentenza impugnata fa generico riferimento alla circostanza aggravante della ingente quantità della sostanza stupefacente di cui ai capi di imputazione B) e D), senza valutare se effettivamente trattasi di un quantitativo di sostanza stupefacente idoneo a soddisfare un grandissimo contesto di acquirenti/tossicodipendenti e per un periodo temporale piuttosto lungo.

Per quanto riguarda il capo D), il ricorrente rileva che la sostanza stupefacente non è stata trovata a seguito di perquisizione e, quindi, l’indicazione contenuta nell’imputazione di 24 confezioni è un dato incerto dal quale sono state tratte valutazioni congetturali;

mentre, per quanto riguarda il capo B) la sentenza impugnata non ha tenuto conto che una consulenza tossicologica effettuata dalla Procura di Torino a seguito del trasferimento degli atti per competenza, aveva notevolmente rideterminato il quantitativo di sostanza stupefacente.

17) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 133 c.p..

Il ricorrente censura la mancanza di analitiche ragioni che possano giustificare il discostamento dal minimo edittale e rileva che dalla quantificazione della pena scompare il capo C).

Il difensore di T.G., avv. Antonio Rossomando, propone ricorso deducendo:

1) errore applicazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) degli artt. 415 bis e 416 c.p.p..

Il motivo contiene argomentazioni analoghe a quelle sviluppate nel corrispondente motivo di ricorso presentato personalmente dall’imputato.

2) Violazione art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) con riferimento all’art. 269, comma 1 e art. 89 disp. att. c.p.p..

Anche sul punto della inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche il difensore ricorrente svolge argomentazioni analoghe a quelle sviluppate nel corrispondente motivo di ricorso presentato personalmente dall’imputato.

3) Violazione art. 606 c.p.p., commi 1 e 6, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 (capi B e C unificati).

Con riferimento a tali capi di imputazione il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia motivato per relationem a quella del giudice di primo grado, senza considerare circostanze di fatto specifiche: la mancanza in atti di qualsiasi riferimento da cui far discendere la riconducibilità a T.G. dell’utenza usata da L.N.A. nella conversazione del 30 maggio 2003; il dato che le conversazioni tra T.G. e T.P.S. hanno come unico argomento il reperimento di documenti falsi o contraffatti; le dichiarazioni confessorie di D.G. che esclude qualsiasi coinvolgimento di T.G. e la mancanza di qualsiasi riferimento a T.G. negli interrogatori di pa.An. e L.N.A..

Insufficiente sarebbe anche la motivazione concernente la sussistenza dell’aggravante speciale.

4) Violazione art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4 e art. 80, comma 2 e con riguardo al Capo D) dell’imputazione.

Il ricorrente afferma che, sulla base dell’attenta lettura delle telefonate intercettate e del dato certo del mancato rinvenimento dello stupefacente, il coinvolgimento dell’imputato è sempre dedotto dalla sentenza impugnata attraverso periodi ipotetici ed affermazioni apodittiche senza concrete indicazioni.

5) Violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2 e 5.

Ad avviso del ricorrente mancherebbe qualsiasi prova per ritenere accertato un accordo a compiere un numero indeterminato di reati tra quelli previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, nè vi sarebbe prova di una pur minimale e rudimentale struttura organizzativa permanente ed operante.

Difetterebbe anche la motivazione in merito alla sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1. 6) Violazione art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione agli artt. 133 e 62 bis c.p., in quanto la motivazione della Corte per il diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche e per la determinazione dell’entità della pena sarebbe cumulativa ed uniforme per tutti gli imputati e non prenderebbe in considerazione l’elemento soggettivo proprio di ciascun imputato.

Altro difensore di T.G., avv. Giovanni Aricò, propone ricorso, deducendo:

1) Art. 606 c.p.p., lett. B) ed E) manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge relativamente alla devoluta inutilizzabilità delle intercettazioni di flussi telematici.

Ad avviso del difensore ricorrente rileva l’assenza dal compendio probatorio dei supporti informatici originali, accertato in sede di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, alla stregua del principio affermato dalla Suprema Corte in materia di intercettazioni telefoniche ma che sarebbe estensibile anche al compendio intercettativo relativo ai flussi informatici, in forza del quale la prova è costituta dalla bobina, con la conseguenza che la sua assenza non può essere sopperita dalle riproduzioni grafiche che del contenuto intercettativo è possibile effettuare.

La Corte di Appello avrebbe finito sostanzialmente per smentire se stesso, disponendo l’accertamento di un dato all’evidenza ritenuto rilevante che, una volta riscontrato nella sua esistenza, sarebbe stato totalmente escluso dal percorso argomentativo.

2) Art. 606 c.p.p., lett. B) ed E).

Manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1 e 2 commi.

Il ricorrente, premesso che per la corretta applicazione della fattispecie incriminatrice associativa de qua occorre la prova di un accordo fra più soggetti che trascenda la mera commissione di più reati di detenzione o spaccio di sostanza stupefacente; rilevato, altresì, che è contestato un unico reato fine e che l’esistenza ovvero la predisposizione di mezzi, strumentali e finanziari, utilizzati per i singoli episodi sarebbe del tutto "neutra" sotto il profilo probatorio in prospettiva associativa, afferma che la sentenza impugnata non darebbe conto di come in concreto la predisposizione dei mezzi, l’esistenza di contatti frequenti e tutti gli ulteriori fattori indicati in sentenza consentano di ritenere l’esistenza non solo di una struttura associativa ma soprattutto di un programma che "trascenda" la commissione dei singoli reati.

In particolare, poi, con riferimento all’elemento psicologico del delitto associativo contestato, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto assente, così come sarebbe mancante la indicazione degli elementi dimostrativi dello svolgimento da parte dell’imputato del ruolo di organizzatore e direttore.

T.P.S. e il suo difensore propongono ricorso per cassazione con autonomi atti contenenti identici motivi, questi motivi, in numero di quindici, inoltre, sono a loro volta identici o analoghi a quelli contenuti nel ricorso presentato da T. G., anche per quanto concerne la motivazione sull’aggravante della ingente quantità, sulle attenuanti generiche e sulla entità delle pena, salvo tre motivi con i quali si esamina specificamente la posizione di esso imputato, che sono i seguenti:

1) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) in relazione all’art. 111 Cost., art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente lamenta che non siano state esplicitate le ragioni per le quali i giudici di merito non hanno ritenuto attendibile il certificato rilanciato dall’Afor (Azienda Forestale della Regione Calabria), di cui l’imputato era dipendente con qualifica di operaio idraulico forestale, in relazione alla sua presenza sul posto di lavoro nelle date del 30.7.2003 e 25.8.2003, ossia allorchè, secondo quanto riferito rispettivamente negli allegati n. 260 e 300 dell’Informativa della Questura di Palermo, lo stesso si sarebbe trovato in Palermo per motivi illeciti.

Il ricorrente esamina le dichiarazioni testimoniali degli agenti di P.G., sulle quali si è basata la sentenza impugnata, affermando che esse non smentiscono la presenza di T.P.S. sul luogo di lavoro come certificato dall’Afor e sottolinea che tale certificazione è stata prodotta dalla difesa in originale e non in copia non conforme all’originale, come erroneamente indicato in sentenza.

Il ricorrente, inoltre, deduce che sono stati assunti gli interrogatori di tre coimputati, D.G., pa.

a. e L.N.A. – le cui dichiarazioni sono citate analiticamente nel ricorso – i quali hanno posto in essere confessione piena in merito ai capi B e C, escludendo il coinvolgimento di T.P. per tali due capi nonchè escludendo ogni responsabilità propria ed altrui in merito al reato associativo, e lamenta che la sentenza impugnata o non ha preso in considerazione tali dichiarazioni ( D. e pa.) oppure, pur prendendole in esame, le ha disattese immotivatamente (L. N.), sebbene da esse risulti che T.P.S. ha avuto un rapporto con L.N. solo al fine di reperire documenti per T. G. e, comunque, senza che risulti confermata la presenza di T.P.S. in Olanda il 25 agosto 2003. 2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74.

Il ricorrente denuncia che la sentenza impugnata ritiene sussistente la fattispecie associativa ed i delitti fine, omettendo ogni e qualsivoglia considerazione sul materiale ritenuto inutilizzabile (messaggi di cui agli allegati 240, 241 e 242 del 1^ e 2 Giugno 2003) e limitandosi a richiamare quanto alla sussistenza della responsabilità, conversazioni telematiche (non commentate in alcun modo), che non sarebbero nemmeno utilizzabili secondo la perizia tecnico collegiale disposta dalla stessa Corte.

Sulla base, poi, del materiale probatorio (intercettazioni telefoniche e telematiche), analiticamente ricostruito nel ricorso, e che, secondo il ricorrente sarebbe stato utilizzato dai giudici di merito senza tenere conto dei rilievi difensivi e dei motivi di appello, si perviene all’affermazione che l’unica ragione dei contatti fra L.N. e T.P.S. sia la necessità di procurarsi documenti contraffatti per il fratello T.G. latitante e che non sussista alcun collegamento con i soggetti che organizzarono il trasporto della droga.

Inoltre, la sentenza impugnata afferma la presenza in Olanda di T.P.S. in contrasto con le risultanze del certificato dell’Afor e ritiene presente, in data 30 maggio 2003, T. G., in contrasto con una consulenza fonica prodotta dalla difesa e che non viene citata dalla Corte di Appello.

Il ricorrente lamenta, poi, quanto al contestato reato associativo, che la Corte di Appello abbia preteso di trarre la prova dell’esistenza dell’associazione soltanto ed unicamente dalla sola commissione di fatti criminosi, sottraendosi invece all’obbligo logico-giuridico di dimostrare, sul piano argomentativo e deduzionale, non soltanto l’esistenza di una sia pur minimale e rudimentale struttura organizzativa, ma anche la ricorrenza di tutti quegli altri elementi strutturali, funzionali e psicologici che caratterizzano la fattispecie associativa; così che non vi sarebbe dubbio che, a tutto ammettere e in linea di estremo subordine, si dovrebbe ritenere che, nel caso di specie, si è ben al di fuori della ricorrenza della fattispecie associativa di qui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e sarebbero configurabili, al più, soltanto le fattispecie ex art. 73, stesso D.P.R. e art. 110 c.p., da "saldare" tra loro unicamente ex art. 81 cpv. c.p..

3) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, con riferimento al reato contestato al capo D. Il ricorrente rileva che tale capo di imputazione, concernente il reato di cui all’art. 110 c.p., al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, art. 80, comma 2, è contestato a T.P.S. per avere lo stesso provveduto a mantenere i contatti, anche con l’uso di strumenti telematici, tra L.N. in Palermo e p. e T. G. all’estero al fine di consentire la realizzazione del trasporto dello stupefacente di tipo cocaina, in un quantitativo non determinato ma indicato nella misura di 24 confezioni; rileva, inoltre, che lo stupefacente non è stato rinvenuto sull’autovettura oggetto di attenzione e perquisizione; osserva, poi, che il Tribunale del riesame di Palermo ha ritenuto il quadro indiziario non sussistente a carico dei concorrenti nello stesso reato, F. e S., sulla scorta dell’elemento oggettivo del mancato rinvenimento dello stupefacente all’interno dell’autovettura e che il G.U.P. dello stesso Tribunale ha assolto sia il F. che p.a.f. dal reato di cui al capo D, così che non potrebbe sostenersi la sussistenza di elementi rilevanti in merito alla responsabilità di T.P.S..

Il ricorrente, comunque, ritiene opportuno procedere ad una analitica disamina degli elementi portati a carico dell’imputato in relazione a tale capo, al fine di metterne in luce l’estraneità ad ogni accusa, in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte di Appello.

P.L. e il suo difensore propongono ricorso per cassazione con autonomi atti contenenti identici motivi; questi motivi, in numero di quindici, inoltre, sono a loro volta identici o analoghi a quelli contenuti nel ricorso presentato da T.G., anche per quanto concerne la motivazione sull’aggravante della ingente quantità, sulle attenuanti generiche e sulla entità delle pena, salvo tre motivi con i quali si esamina specificamente la posizione di esso imputato, che sono i seguenti:

1) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) in relazione all’art. 111 Cost., art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente lamenta che non siano state esplicitate le ragioni per le quali i giudici di merito non hanno ritenuto attendibile il certificato rilasciato dall’Afor (Azienda Forestale della Regione Calabria), di cui l’imputato era dipendente con qualifica di operaio idraulico forestale, in relazione alla sua presenza sul posto di lavoro nelle date del 30.7.2003 e 25.8.2003, ossia allorchè, secondo quanto riferito rispettivamente negli allegati n. 260 e 300 dell’Informativa della Questura di Palermo, lo stesso si sarebbe trovato in Palermo per motivi illeciti.

Il ricorrente esamina le dichiarazioni testimoniali degli agenti di P.G., sulle quali si è basata la sentenza impugnata, affermando che esse non smentiscono la presenza di P. sul luogo di lavoro come certificato dall’Afor e sottolinea che tale certificazione è stata prodotta dalla difesa in originale non in copia non conforme all’originale, come erroneamente indicato in sentenza; esamina anche le conversazioni intercettate per affermare che nessun elemento emerge a carico dell’imputato ed anzi esistono dubbi in merito alla sua stessa identificazione.

Il ricorrente, inoltre, deduce che sono stati assunti gli interrogatori di tre coimputati, D.G., pa.

a. e L.N.A. – le cui dichiarazioni sono citate analiticamente nel ricorso – i quali hanno posto in essere confessione piena in merito ai capi B e C, escludendo il coinvolgimento di P. per tali due capi nonchè escludendo ogni responsabilità propria ed altrui in merito al reato associativo, e lamenta che la sentenza impugnata o non ha preso in considerazione tali dichiarazioni ( D. e p.o.

p.p.i.e.l.h.d.i.(.Lo Nigro ).2.V.d.6.c.c.1.l.b.e.e.

i.r.a.r.d.c.a.D.n.3.d.1.a.1.e.

1.

I.r.d.c.l.s.i.r.s.

l.f.a.e.i.d.f.o.o.e.

q.c.s.m.r.i.

(.d.c.a.a.2.2.e.2.d.1.e.2.G.2.

e.l.a.r.q.a.s.d.

r.c.t.(.c.i.a.

m.c.n.s.n.u.s.l.p. t.c.d.d.s.C. I.p.p.q.r.i.m.d.p.e.

d.i.d.C.d.A.i.r.n. r.i.c.a.f.d.p.i.e.l.a.

e.p.e.g.e.s.p.u.v.t.d.m.

q.a.p.d.c.a.c.l.s.

d.d.d.c.a.c.b.

S.b.p.d.m.p.(.

t.e.t.e.s.d.o.a.

r.n.r.e.c.s.i.r.s.s.

u.d.g.d.m.s.t.c.d.r.

d.e.d.m.d.a.s.p.a.s.

a.c.v.e.i.o.e.n.i.d.

Pa.; che con riferimento ai fatti contestati ai capi B) e C) non si registra alcun collegamento con P.; che i primi contatti di P. risalgono al 31 maggio 2003, circostanza ritenuta significativa per la considerazione che il L.N., come quasi tutti i presunti sodali, erano sotto costante monitoraggio su più utenze telefoniche e nessun contatto col P. sia emerso sulle stesse, sebbene il ruolo attribuito a quest’ultimo sia proprio quello di avere mantenuto i contatti con L.N. in Palermo.

In definitiva, secondo il ricorrente, dalla analitica disamina del materiale portato a carico di P.L. emergerebbe evidente, non solo la mancanza di responsabilità in merito ai capi B) e C), ma anche in relazione al capo A), in quanto mancherebbe una condotta di partecipazione di P.L. alla ipotizzata associazione, in relazione alla quale, si rileva, inoltre, che in contestazione è indicato il periodo dal 2001 al novembre 2003, mentre i primi indizi a carico del P. risalgono al 31.5.2003; dunque l’arco temporale di contestazione dei fatti con riferimento a P. si restringerebbe dal 31.5.2003 al novembre 2003.

Il ricorrente lamenta, poi, quanto al contestato reato associativo, che la Corte di Appello abbia preteso di trarre la prova dell’esistenza dell’associazione soltanto ed unicamente dalla sola commissione di fatti criminosi, sottraendosi invece all’obbligo logico-giuridico di dimostrare, sul piano argomentativo e deduzionale, non soltanto l’esistenza di una sia pur minimale e rudimentale struttura organizzativa, ma anche la ricorrenza di tutti quegli altri elementi strutturali, funzionali e psicologici che caratterizzano la fattispecie associativa; così che non vi sarebbe dubbio che, a tutto ammettere e in linea di estremo subordine, si dovrebbe ritenere che, nel caso di specie, si è ben al di fuori della ricorrenza della fattispecie associativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e sarebbero configurabile, al più, soltanto le fattispecie ex art. 73, stesso D.P.R. e art. 110 c.p., da "saldare" tra loro unicamente ex art. 81 cpv. c.p..

3) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, con riferimento al reato contestato al capo D).

Il ricorrente rileva che tale capo di imputazione, concernente il reato di cui all’art. 110 c.p., al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, art. 80, comma 2, è contestato a P. per avere lo stesso provveduto a mantenere i contatti, anche con l’uso di strumenti telematici, tra L.N. in Palermo e p. e T. G. all’estero al fine di consentire la realizzazione del trasporto dello stupefacente di tipo cocaina, in un quantitativo non determinato ma indicato nella misura di 24 confezioni; rileva, inoltre, che lo stupefacente non è stato rinvenuto sull’autovettura oggetto di attenzione e perquisizione; osserva, poi, che il Tribunale del riesame di Palermo ha ritenuto il quadro indiziario non sussistente a carico dei concorrenti nello stesso reato, F. e S., sulla scorta dell’elemento oggettivo del mancato rinvenimento dello stupefacente all’interno dell’autovettura e che il G.U.P. dello stesso Tribunale aveva assolto sia il F. che p.a.f. dal reato di cui al capo D, così che non potrebbe sostenersi la sussistenza di elementi rilevanti in merito alla responsabilità di T.P.S..

Il ricorrente, comunque, procede ad una analitica disamina degli elementi portati a carico dell’imputato in relazione a tale capo, al fine di metterne in luce l’estraneità ad ogni accusa, in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte di Appello.

Il difensore di L.N.A. propone ricorso formulando alcuni motivi dal contenuto identico o analogo a quelli proposti dagli altri ricorrenti e concernenti:

1) la abnorme ed invalida indicazione dell’imputazione nell’intestazione, nella parte motiva e nel dispositivo della sentenza impugnata;

2) l’omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari, motivo con il quale si osserva, in particolare, che, sulla base delle sentenze n. 76 del 1993 e n. 70 del 1996 della Corte costituzionale, a seguito della risoluzione del conflitto di competenza gli atti devono essere trasmessi alla Procura della Repubblica e non al giudice competente;

3) mancata documentazione mediante audio registrazione o stenotipia delle attività processuali svolte in primo grado in relazione all’udienza del 13 maggio 2005;

4) inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche sulla base della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e della consulenza tecnica di parte;

5) nullità delle intercettazioni telematiche per mancanza dei supporti originali;

6) mancata valutazione ai fini della decisione di elementi di prova scaturiti dalla perizia disposta dalla Corte perchè ritenuta indispensabile;

7) inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche e delle intercettazioni telefoniche per violazione dell’art. 268 c.p.p.;

8) non la configurabilità del reato di cui all’art. 74, D.P.R. cit., non essendo stata dimostrata nè argomentata l’esistenza di una sia pur minimale e rudimentale struttura organizzativa, nonchè la ricorrenza di tutti quegli altri elementi strutturali, funzionali e psicologici che dovrebbero necessariamente giustificare la contestazione della fattispecie associativa.

9) violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento al reato contestato al capo D) dell’imputazione: il ricorrente pone in rilievo che il mancato rinvenimento della sostanza stupefacente di cui all’imputazione e il venir meno dei concorrenti nel reato ( p.a.f. assolto con sentenza irrevocabile, F. assolto dal G.U.P. e S. nei cui confronti lo stesso Tribunale del riesame aveva ritenuto svilito il quadro indiziario) avrebbero dovuto portare all’assoluzione di L.N., a carico del quale non sono indicati elementi di prova, essendo sul punto carente la motivazione della sentenza impugnata;

10) violazione di legge e mancanza di motivazione in merito all’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80;

11) violazione di legge ed omessa motivazione per la mancata concessione delle attenuanti generiche, non avendo il giudice di merito esaminato la specifica posizione di L.N., non avendo tenuto conto dei pochi e modestissimi precedenti penali risalenti alla gioventù e ai trascorsi militari e non avendo valutato la confessione resa dall’imputato;

12) violazione di legge e mancanza di motivazione in merito al discostamento dal minimo edittale.

Il difensore di S.S.L. propone ricorso per cassazione, deducendo oltre a motivi personali al S., altri aventi contenuto analogo a quello degli altri ricorrenti:

1) Erronea applicazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) degli artt. 415 bis e 416 c.p.p., per essere stato omesso l’avviso di conclusione delle indagini preliminari;

2) Violazione art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) con riferimento all’art. 269, comma 1 e art. 89 disp. att. c.p.p., inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche sulla base della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e della consulenza tecnica di parte, per mancanza dei supporti originali;

3) art. 606 c.p.p., lett. b), d), e) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 con riferimento al capo d) dell’imputazione.

Il ricorrente censura la genericità del capo di imputazione sotto il profilo soggettivo, per l’indeterminatezza del ruolo che il S. avrebbe avuto nell’organizzazione dell’acquisto, custodia e trasporto della sostanza stupefacente, e sotto il profilo oggettivo, poichè la mera indicazione di n. 24 confezioni non può ritenersi sufficiente a indicare l’oggetto del capo di imputazione, non essendo indicato il peso della sostanza stupefacente e non essendo stato effettuato il sequestro.

La genericità, ad avviso del ricorrente, dipenderebbe da uno scarno compendio probatorio, come è stato riconosciuto dal Tribunale del riesame nei confronti dello stesso S. e del coimputato F. e dal G.U.P. che ha pronunciato sentenza di assoluzione nei confronti dell’altro coimputato p..

Il ricorrente afferma che la sentenza impugnata ha attribuito eccessiva e non giustificata valenza probatoria al contenuto delle intercettazioni telefoniche e telematiche, tanto più che non sussisterebbe alcuna prova certa che le utenze captate ritenute di pertinenza del S. siano state effettivamente in uso allo stesso, poichè il giudizio in merito sarebbe riconducibile a personale non tecnico, che avrebbe associato "un inconfondibile timbro vocale" a quel " Lu." in relazione a diverse utenze cellulari, si tratterebbe di un giudizio di compatibilità della voce approssimativo e non certo.

Inoltre, il ricorrente rileva, ancora, che le intercettazioni telefoniche e ambientali, poste a sostegno del giudizio di condanna nei confronti dell’imputato, riguardano il periodo di febbraio del 2003, ma nessuna condotta illecita è stata contestata al S. per quel periodo temporale e i giudici di merito avrebbero effettuato una trasposizione di elementi indiziati risalenti al febbraio del 2003 che non presenterebbero alcuna connessione logica e consequenziale con quelli del mese di agosto del 2003.

Infine, rimanendo incerta la riferibilità delle utenze al S., non sussisterebbe nemmeno il riscontro empirico della presenza dell’imputato nei luoghi ritenuti teatro della consumazione del reato in contestazione.

In definitiva, si sarebbe in presenza di un processo indiziario, che non è corredato dai requisiti della gravità, della precisione e della concordanza.

4) art. 606, lett. b) ed e) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80.

La sentenza impugnata non avrebbe fornito alcuna motivazione in merito alla sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità.

I giudici di merito avrebbero ritenuto l’aggravante sulla base di un dato generico, indiretto, frutto di una elaborazione logico- valutativa, poichè non sarebbe certo che nelle conversazioni intercettate si parla di stupefacente, potendo riferirsi a 24 confezioni di qualsiasi cosa, ed inoltre, pur ragionando per ipotesi che si tratti di stupefacente, non si comprenderebbe quale sia il dato quantitativo di esso.

Di fronte ad una indeterminatezza del peso e della tipologia del presunto stupefacente, l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 non potrebbe essere oggetto di contestazione, perchè è impossibile conoscere il numero di dosi ipoteticamente estraibili e quindi la capacità di saturazione del mercato locale.

6) art. 606, lett. b) ed e) in relazione all’art. 62 bis c.p., in quanto la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del ruolo marginale del S. e della circostanza che si tratta di soggetto incensurato.
Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

Occorre premettere, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, che il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le cui valutazioni, non essendovi difformità sul punto denunciato, si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 2^, 13 novembre 1997, n. 11220, Ambrosino, rv. 209145; Sez. 6^, 7 febbraio 2003, in.. 23248, Zanotti, rv. 225671).

Anche in applicazione di tale principio devono essere valutati i motivi di ricorso.

Per quanto concerne i motivi di ricorso di T.G. si osserva quanto segue.

La censura di nullità della sentenza per mancata indicazione dell’imputazione è manifestamente infondata, in primo luogo, perchè tale mancanza non è ravvisabile, trattandosi di sentenza di secondo grado e potendosi il dettaglio delle imputazioni desumere da quella impugnata e dal relativo dispositivo; in secondo luogo, perchè, nel caso di specie, le imputazioni emergono chiaramente dalla parte narrativa e da quella motiva della sentenza impugnata, così che non può ravvisarsi nessuna violazione del diritto di difesa, che potrebbe essere conseguente solo ad una incomprensibilità dello sviluppo argomentativo e dell’esito decisionale, ma gli stessi ulteriori motivi proposti dal ricorrente fanno escludere tale incomprensibilità, anche con riferimento al quantitativo di sostanza stupefacente sequestrato; infine, perchè, comunque, nessuna nullità è prevista dalla legge per le omissioni o le carenze nell’indicazione delle imputazioni, come si argomenta chiaramente dal disposto dell’art. 546 c.p.p., comma 3.

Con riferimento al motivo di ricorso, presentato personalmente dall’imputato ed anche dal suo difensore avv. Rossomando, con il quale si ribadisce l’eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio perchè non preceduta dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari, occorre premettere, in linea di fatto, che il giudice di primo grado ha chiarito che "l’attività relativa all’accertamento tecnico sulla sostanza stupefacente sequestrata al D. il 2/6/2003 e gli interrogatori di pa. e D. stesso, sono stati espletati dal p.m. di Torino il quale dopo ha avvisato le parti della conclusione delle indagini", sicchè soltanto l’ultima richiesta di rinvio a giudizio non è stata preceduta dal suddetto avviso, e, pertanto, vi era stata la "piena discovery", così che può ben applicarsi il principio, già affermato da questa Suprema Corte, secondo il quale, nel caso in cui dopo la avvenuta notificazione da parte del pubblico ministero procedente dell’avviso all’indagato delle conclusioni delle indagini preliminari, gli atti risultino trasmessi ad un diverso ufficio del pubblico ministero, esercitante le funzioni dinanzi al giudice ritenuto competente, non è necessaria la rinnovazione dell’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p., atteso che la funzione garantista dell’avviso già notificato all’indagato conserva il proprio valore (Sez. 3^, n. 13954 del 21/01/2004, Turi, Rv. 22861; Sez. 6^, n. 6879 del 30/01/2008, Vitale, Rv. 2394123).

Deve, comunque, osservarsi che il giudizio abbreviato è un negozio processuale; di tipo abdicativo e può avere ad oggetto i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, con esclusione, quindi, delle eccezioni concernenti le inutilizzabilità c.d. patologiche e le nullità assolute; nel caso di specie, si tratterebbe di una nullità a regime intermedio che non può più essere fatta valere a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante delle nullità ai sensi dell’art. 183 c.p.p. (Sez. 6^, n. 25153 del 04/05/2010, Leotta, Rv. 247777; Sez. 1^, n. 47529 del 02/12/2008, Barcellona, Rv. 242075).

La deduzione concernente la mancata valutazione di prova decisiva e vizio di motivazione circa la presenza del T.G. in Olanda insieme a L.N., in epoca prossima al 2 giugno 2003 è manifestamente infondata nella parte in cui afferma che la motivazione è mancante o illogica, in quanto, con riferimento ai capi b) e c) dell’imputazione la motivazione è diffusa ed analitica, priva di contraddizioni e di illogicità manifeste; la stessa deduzione è generica nella parte in cui accentra la sua censura su una conversazione e su una perizia fonica, mentre la sentenza impugnata espone molteplici gravi indizi emergenti da comunicazioni telefoniche e telematiche (da pag. 58 a pag. 67), nonchè da servizi di osservazione e da indagini di polizia (pagg. 33 ss.): la mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità (Sez. 4^, 29/03/21000, n. 5191, Barone, Rv.

216473; Sez. 1^, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4^, 03/072007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3^, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).

La eccezione di nullità dell’udienza dell’11 maggio 2006 per mancata documentazione mediante audioregistrazione o stenotipia delle attività processuali è infondata, poichè la mancanza di registrazione non integra alcuna nullità del verbale e della sentenza, non essendo prevista al riguardo alcuna sanzione processuale (Sez. 1^, n. 4824 del 18/04/1997, Galli, Rv. 207584; Sez. 6^, n. 1400 del 10/12|/2009, dep. 14/01/2010, G., Rv. 245851).

Tutti i motivi di ricorso concernenti la inutilizzabilità delle intercettazioni telematiche sono stati ritenuti infondati in plurime pronunce di questa Suprema Corte concernenti procedimenti incidentali in materia di misure cautelari personali riguardanti gli imputati del presente processo (Sez. 1^, 14/02/2005, n. 12901; Sez. 4^, 09/11/2005, n. 4213 del 2006; Sez. 4^, 09/11/2005, n. 4214 del 2006, che richiama, a sua volta, altre due precedenti sentenze) e i principi di diritto formulati in quelle pronunce mantengono la loro validità.

Tenendo conto delle censure svolte con il ricorso di T.G. e con i ricorsi identici o analoghi nel contenuto, degli altri ricorrenti, devono, in primo luogo, affermarsi i seguenti principi di diritto:

1) nel procedimento penale non rileva il disconoscimento dei messaggi telematici in quanto non muniti di firma digitale ex art. 2712 c.c., in quanto, ai sensi dell’art. 193 c.p.p., non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili e gli accertamenti relativi alla provenienza del documento informatico costituiscono questioni di fatto rimesse alla valutazione del giudice del merito.

2) l’adozione, nell’ambito dello stesso procedimento, di provvedimenti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni da parte di giudici diversi dal giudice per le indagini preliminari assegnatario dell’indagine non viola il principio del giudice naturale, poichè tale principio si riferisce all’ufficio, applicandosi con riferimento alla persona fisica del giudice la norma dell’art. 33 c.p.p., comma 2, (ribadita dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, in fine, art. 7 bis, comma 1, come modificato dalla L. 30 luglio 2007, n. 111), secondo cui non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla assegnazione dei processi e la loro violazione non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati; nè può applicarsi la nullità prevista dall’art. 525 c.p.p., comma 2, che si riferisci esclusivamente alla immutabilità del giudice del dibattimento, il quale deve essere lo stesso che omette o concorre ad emettere, in caso di collegio, la sentenza, in applicazione dei principi di oralità del dibattimento e di immediatezza della deliberazione.

3) La sanzione d’inutilizzabilità degli esiti di intercettazioni telefoniche, stante il principio di tassatività, non può essere dilatata sino a comprendervi l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 89 disp. att. c.p.p., non espressamente richiamato dall’art. 271 c.p.p. (Sez. 1^, 02/12/2009 – 05/03/2010, n. 8836, Bragaglio, Rv.

246377; Sez. 4^, 14/01/2004, n. 17574, Vatinno, Rv. 228173; Sez. 4^, 17/09/2004, n. 49306, Cao, Rv. 229922; nonchè Sez. Un., 26/06/2008, n. 36359, Carli, Rv. 240395, non massimata sul punto).

D’altro canto, la disciplina di cui al comma 2 del citato art. 89 deve essere letta alla luce delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, che la rendono inapplicabile se non nella parte in cui prevede la necessità di una verbalizzazione delle operazioni, attività di verbalizzazione che, peraltro, rimane fuori dal termine "operazioni" utilizzato nell’art. 268 c.p.p. (cfr. Sez. Un. n. 36359 del 2008, cit.).

Neppure ha alcun fondamento l’affermazione del ricorrente che i supporti originali contenenti le intercettazioni telematiche siano corpo del reato, secondo la definizione di cui all’art. 253 c.p.p., comma 2, poichè essi costituiscono soltanto la riproduzione del risultato di un mezzo di ricerca della prova e lo stesso ricorrente sottolinea "di non avere mai segnalato in merito ad un’eventuale manipolazione del dato" e, quindi, non viene dedotto, neppure in via ipotetica, un reato avente ad oggetto il supporto riproduttivo di un flusso telematico.

Pertanto, sono del tutto irrilevanti le argomentazioni difensive che denunciano la inadeguatezza dei sistemi che sono stati adottati per garantire la protezione del traffico telematico, non solo perchè nessuna intrusione abusiva in tale flusso viene denunciata, ma perchè nessuna regola tecnica dotata di sanzione processuale è stata dettata dal legislatore per garantire un particolare livello di protezione dei dati informatici.

Devono, perciò, essere sfrondate le dichiarazioni testimoniali assunte e le risultanze della perizia disposta in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da tutti gli apprezzamenti tecnici relativi ai sistemi impiegati e ai software utilizzati, ed occorre rilevare soltanto, con la sentenza impugnata, che "la captazione è stata effettuata attraverso un sistema di trasferimento file sicuri dai nodi di rete al server di registrazione (…) e che i file (…) erano accessibili, dall’inizio dell’intercettazione alla masterizzazione finale, in sola lettura, esclusivamente dall’operatore di polizia giudiziaria fornito di credenziali".

L’attività di captazione dei flussi telematici è stata effettuata presso l’operatore telefonico, come è espressamente previsto dall’art. 268 c.p.p., comma 3 bis, (aggiunto dalla L. 23 dicembre 1993, n. 547), il quale, appunto, stabilisce che "quando si procede a intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati".

Tale norma è stata all’evidenza dettata dalla considerazione che gli apparati necessari alla captazione si trovano presso coloro che gestiscono i flussi telematici e, data la loro complessità e il loro costo, è normale che il pubblico ministero si avvalga proprio di quegli apparati, tanto che la citata norma dell’art. 268, comma 3 bis, deve intendersi derogatoria rispetto alle modalità previste per le intercettazioni telefoniche; ciò che rileva, infatti, nel sistema speciale delle intercettazioni telematiche, è soltanto che l’accesso ai dati captati e la loro lettura sia riservata al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria autorizzata.

Tali dati, immessi in un server di registrazione devono poi essere duplicati, con verbalizzazione delle relative operazioni, in supporti trasportabili per consentirne il deposito e la lettura.

Tali supporti (in genere CD o DVD) possono essere considerati duplicati informatici, in quanto ottenuti mediante la memorizzazione della medesima sequenza di valori binari del documento originario, che è quello contenuto nel server di registrazione.

Pertanto, quando le difese denunciano la mancanza dei supporti originali e rilevano incongruenze circa le date dei CD messi a loro disposizione, trascurano di considerare che il supporto sul quale vengono memorizzati i flussi telematici captati sono sempre duplicati dell’originario documento contenuto nel server di registrazione ed è irrilevante la data in cui tali duplicati vengono effettuati, a meno che non si intenda denunciare un fatto di rilevanza penale di manipolazione del dato originario.

Neppure ha alcun senso, non solo dal punto di vista giuridico, ma anche da quello informatico, parlare, come fanno i ricorrenti, della necessità di versare sin dall’origine il flusso telematico su CD immodificabili, poichè tali CD sono sempre modificabili con una facilità uguale o addirittura superiore a quella con cui sono modificabili i dati contenuti nell’hard disk del server di registrazione che sia opportunamente protetto.

Infondata è anche la censura difensiva che si basa sulla differenza tra account di connessione e account di posta elettronica, poichè i decreti autorizzativi riguardavano i flussi informatici gestiti dal soggetto titolare di un determinato nome utente, attraverso la procedura del "monitoraggio del percorso", ed erano relativi al nome utente che contraddistingueva sia l’account di posta elettronica che l’account di connessione, indipendentemente dalla terminologia usata, che, se pure in ipotesi imperfetta sotto un profilo della disciplina informatica, voleva indicare un fenomeno concreto con espressioni proprie della realtà comune, ma anche giuridica (v. la termologia usata dall’art. 266 bis c.p.p.), cui non interessava la terminologia informatica bensì il fenomeno di captazione delle relazioni di un determinato utente.

Mentre, per quanto riguarda la effettiva riconducibilità di un certo flusso telematico agli imputati si tratta di questione di fatto dipendente dagli accertamenti in tal senso espletati attraverso specifiche indagini di p.g. di cui da ampiamente conto la sentenza di primo grado (pagg. 18 ss), del tutto omessa dai ricorrenti nelle loro censure, che, pertanto, sul punto si rilevano viziate da aspecificità per la mancanza di correlazione tra i motivi posti alla base del ricorso e quelli posti dal giudice di merito alla base della propria motivazione.

Non può essere accolta la doglianza difensiva concernente i decreti con i quali si autorizza, in luogo di intercettazione di flussi telematici, l’intercettazione ambientale, poichè non tiene in alcun conto la ratio decidendi, in quanto l’espresso richiamo alla richiesta del p.m. e segnatamente ai luoghi e alle persone ivi indicate, rende manifesto che si tratta di un mero errore materiale che non inficia la validità del provvedimento.

Il Pubblico Ministero ha motivato i propri decreti con cui ha disposto le intercettazioni presso gli impianti della polizia giudiziaria con riguardosi decreti autorizzativi del GIP, i quali, a loro volta, richiamavano le richieste di autorizzazione del P.M. e rinviavano altresì alle emergenze investigative segnalate dagli inquirenti con riguardo a specifiche attività criminose di volta in volta in atto che richiedevano una immediata prosecuzione delle indagini per verificare i collegamenti anche con altri personaggi ed al fine di reprimere la attività criminale e di accertarne gli autori.

Si tratta di motivazione per relationem, peraltro ammessa pacificamente dalla giurisprudenza con riguardo ai decreti autorizzativi del GIP a loro volta motivati con riferimento alla attività investigativa in atto, collegata alla commissione di reati che erano in corso di svolgimento ed a informative della polizia giudiziaria di cui il ricorrente ha avuto piena ostensione, cosicchè è stato raggiunto lo scopo previsto dalla legge e cioè quello di consentire all’imputato di eseguire il controllo di legalità sulle intercettazioni.

In ordine poi alla allegazione difensiva della insufficienza, ai fini del ricorso ad impianti esterni, della certificazione del responsabile degli impianti della Procura circa la indisponibilità di postazioni all’interno della Procura, non è dato comprendere quale diversa o più completa prova avrebbe potuto o dovuto dare il Pubblico Ministero, anche tenuto conto della speciale disciplina alla quale devono ritenersi sottoposte le modalità delle intercettazioni telematiche, come sopra evidenziato.

Per quanto concerne il dedotto vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), con riferimento ai delitti contestati ai capi b) e c) dell’imputazione, per mancata valutazione degli interrogatori resi da D., L.N. e pa. (motivo di ricorso prospettato anche dal difensore ricorrente avv. Rossomando), deve osservarsi che esso è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata dà atto che L.N. ha escluso il coinvolgimento di T.G. nell’attività illecita di cui ai capi b) e c) dell’imputazione, ma afferma che la prova a carico dell’imputato è costituita da rilevanti e gravi indizi analiticamente esaminati (pagg. 58 ss;); alla stregua di tale emergenze probatorie, non appare certamente decisivo che la stessa sentenza non abbia preso in esame le confessioni degli altri coimputati, posto che la decisività della prova è soltanto quella che è idonea a incidere in concreto sul convincimento del giudice e non certo quella che si risolve in una diversa prospettazione valutativa a fronte delle argomentazioni della decisione adottata che si fonda su una ricostruzione del quadro probatorio, nell’ambito del quale è espressamente considerata irrilevante la dichiarazione del coimputato.

Il ricorrente avv. Rossomando, lamenta che la sentenza sia motivata per relationem e che non abbia considerato la mancanza di prova della riconducibilità a T.G. dell’utenza usata da L.N. A. nella conversazione del 30 maggio 2003 e che, inoltre, abbia trascurato il dato che le conversazioni tra T.G. e T. P.S. hanno come argomento il reperimento di documenti falsi o contraffatti.

Si tratta di censure manifestamente infondate e non consentite in questa sede di legittimità.

Infatti, il rinvio da parte del giudice del gravame alla sentenza del primo giudice è giustificata dalla integrazione delle motivazioni di sentenze conformi nei diversi gradi di giudizio, potendo quella di appello limitarsi a valutare le sole specifiche doglianze proposte con l’impugnazione.

Le altre censure del ricorrente o fanno riferimento ad atti che non possono essere esaminati e valutati in questa sede di legittimità o trascurano le ampie e puntuali argomentazioni, tratte dall’esame delle emergenze probatorie, con le quali il giudice di merito ha chiarito che la trasferta di L.N. in Olanda non era finalizzata a consegnare documenti falsi o contraffatti "perchè a ciò si sarebbe potuto provvedere con modalità senz’altro meno rischiose, ma ad attività di natura illegale, come può fondatamente desumersi dal tenore allusivo dell’espressione medesima, da svolgere in loco, e di interesse comune agli imputati".

Sono manifestamente infondati e non consentiti nel giudizio di legittimità i motivi di ricorso, proposti personalmente dall’imputato (n. 12 e 13 dell’elencazione in premessa) ed anche dai suoi difensori, avv.ti Rossomando e Aricò, con i quali si contesta la sussistenza del reato associativo.

La sentenza impugnata, pur escluse le tre comunicazioni telematiche dichiarate inutilizzabili, ritiene che, dalle molteplici conversazioni telefoniche e comunicazioni telematiche intercettate, oltre che dalle annotazioni di servizio della polizia giudiziaria, analiticamente evidenziate, emerga "una organizzazione stabile ed efficiente e con una precisa divisione di compiti tra gli associati", desumibile dalla "frequenza dei rapporti degli imputati tra loro e con i correi, finalizzati alla consumazione dei reati indicati in rubrica e di altri fatti analoghi, l’ingente quantitativo di sostanze droganti importato, le complesse modalità di trasferimento delle sostanze medesime, l’approvvigionamento di falsi documenti di identità, l’uso nel corso delle comunicazioni di pseudonimi e di un linguaggio criptico e convenzionale";

il giudice di primo grado evidenzia (pag. 419), altresì, a conferma che si tratta di una stabile organizzazione criminale, diretta ad una serie indeterminata di traffici e commerci di droga, che "vi è la tendenza (rivelata nitidamente pure da molte conversazioni intercettate) della ricerca di sempre nuove piazze, per l’allargamento dei loro commerci"; in particolare, T.G., secondo la ricostruzione fattuale dei giudici di merito, che in tal modo precisano il ruolo dell’imputato e la sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1, "ha coordinato dall’Olanda, dove era latitante, le attività necessarie all’importazione dello stupefacente in Italia".

Il riferimento del ricorrente alle "carte" a sostegno della tesi difensiva non è ammissibile, in quanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv.

207944).

I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.

Anche con riferimento al reato contestato al capo d) della rubrica sia il ricorrente che il suo difensore giungono a conclusioni diverse da quelle dei giudici di merito sulla base di una diversa lettura del contenuto delle conversazioni intercettate, in tal modo introducendo una censura che non è ammissibile in questa sede di legittimità consistendo in una diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e analiticamente esaminati dal giudice di appello "costituiti dal contenuto delle comunicazioni intercettate negli ultimi giorni dei mesi di luglio ed agosto 2003 e nel successivo mese di settembre, che documentano una fitta serie di rapporti" tra i coimputati "e dall’esito dei servizi di osservazione e degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria" (pagg. 68 ss.), elementi che, in particolare, confermano il coinvolgimento di T.G. nel programma criminoso (pag. 75).

La sentenza impugnata, dopo avere argomentato in merito alla emergenze probatorie che fanno ritenere certa l’operazione di illecita importazione di droga imputata al capo d), non trascura di spiegare le ragioni per le quali gli agenti della Sezione Antidroga non avevano rinvenuto la sostanza stupefacente all’interno dell’autovettura oggetto di attenzione e perquisizione (pag. 99).

I motivi di ricorso, sia quelli personali dell’imputato che quelli del suo difensore, concernenti il diniego di concessione delle attenuanti generiche e la mancata applicazione del minimo della pena (n. 15 e 17 dell’elencazione in premessa) sono manifestamente infondati, in quanto, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, per quanto concerne il diniego di concessione delle attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione, senza che sia tenuto ad esaminare tutte le circostanza prospettate o prospettabili dalla difesa e, nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta a tale principio, facendo riferimento alla oggettiva gravità dei fatti e alla reiterazione delle condotte delittuose e, quindi, non è in alcun modo censurabile.

E’ vero che si tratta di motivazione che riguarda tutti gli imputati, ma non è censurabile con l’argomentazione che essa sia "cumulativa ed uniforme", quando, come nel caso di specie si adatta perfettamente a tutti e a ciascuno degli imputati, considerando, per di più che, per determinare la pena, la stessa sentenza ha fatto riferimento alla specifica circostanza che il T.G. aveva commesso reati di rilevante allarme sociale durante il periodo di latitanza.

Per quanto concerne la sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, la relativa censura è generica, nel senso, già specificato, di mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione; infatti, la sentenza di primo grado aveva già chiarito (pag. 412 ss.), con riferimento al capo b) dell’imputazione, che dal quantitativo di 15 chili, così rideterminato il quantitativo contestato di 18 chili, "possono trarsi migliaia di dosi ed un enorme lucro per i trafficanti e rilevanti guadagni per gli spacciatori";

mentre, con riferimento al capo d) dell’imputazione, la stessa sentenza rileva: "dal fatto comunicato da T.P.S. al fratello T.G. – il quale da lontano dirigeva come sempre, coordinato col suo socio p., le attività del fratello e del cugino (il parente) P.L. – nella sua e-mail del 25 agosto, che egli aveva accertato che da una di queste 24 confezioni di stupefacente mancavano 50 gr., si desume che fu allora necessario pesare queste 24 confezioni per accertarne quella mancanza e che quindi ognuna di esse avesse un peso tale che la carenza in una di 50 grammi potesse passare inosservata: non poteva evidentemente trattarsi di confezioni di 200 grammi o 300 grammi, che comunque sarebbero equivalse a due o tre chili di sostanza stupefacente", "senz’altro una quantità ingente, come si deduce soprattutto dalla stessa necessità di doverla suddividere in un simile numero di confezioni" idonee a soddisfare la richiesta di un numero molto elevato di tossicodipendenti.

I motivi dei ricorsi formulati in modo identico da T.P. S. e dal suo difensore, nella parte in cui sono a loro volta identici o analoghi a quelli contenuti nel ricorso di T. G. trovano risposta nelle argomentazioni sopra svolte; mentre devono essere esaminati nella parte in cui assumono carattere specifico rispetto all’imputato ricorrente.

In primo luogo T.P.S. lamenta che non siano state esplicitate le ragioni per le quali i giudici di merito non hanno ritenuto attendibile il certificato rilasciato dall’Afor in relazione alla sua presenza sul posto di lavoro nelle date del 30.7.2003 e 25.8.2003.

Il motivo di ricorso è manifestamente infondato, per la parte in cui contesta l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, che invece esiste; non consentito per la parte in cui pretende di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.

Si è già detto che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

Nel caso di specie, i giudici di merito (pag. 40 della sentenza impugnata e, diffusamente, pagg. 326 ss. della sentenza di primo grado) ritengono che la certificazione dell’Afor (è irrilevante che sia in copia conforme o in originale nell’ambito del discorso giustificativo della decisione) sia smentita dal compendio probatorio e a questo giudice di legittimità non può essere richiesta una diversa e contrastante valutazione.

Della irrilevanza delle confessioni di D., pa. e L. N. nel contesto argomentativo della decisione della Corte di Appello (pag. 58 della sentenza impugnata) si è già detto.

Si è già dato atto anche delle incensurabilità della motivazione della sentenza impugnata per quanto concerne la sussistenza della fattispecie associativa, nell’ambito della quale il ruolo di T. P.S. è quello di svolgere "funzioni di collegamento tra il fratello T.G. e p.a.f., entrambi residenti all’estero, ed i sodali", nonchè quello di riscuotere i proventi del traffico di stupefacenti e di procacciare documenti di identità contraffatti al fratello ed a p. (pag. 102 ss. sentenza impugnata).

Anche con riferimento al capo d) dell’imputazione, la sentenza impugnata, come sopra precisato con riferimento al ricorso di T. G., ha indicato le emergenze probatorie che fanno ritenere certa l’operazione di illecita importazione di droga e ha specificato il ruolo svolto da T.P.S. (in particolare, pagg. 95 ss.), nè può essere apprezzato, in questa sede di legittimità, l’analitico esame da parte del ricorrente degli elementi portati a carico dell’imputato, tenendo, altresì, conto che nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, nè la ipotizzabilità di una diversa valutazione delle medesime risultanze processuali costituisce vizio di motivazione valutabile in sede di legittimità.

D’altro canto, il quadro motivazionale non può dirsi intaccato dalle circostanze riguardanti la sorte processuale dei coimputati F. e p., soltanto il primo dei quali è stato giudicato nell’ambito del presente processo e mandato assolto dal primo giudice per non avere commesso il fatto, con specifica motivazione circa la mancanza di prova sufficiente sulla sua partecipazione al trasporto della droga.

I motivi di ricorso presentati da P.L. e dal suo difensore, sono in gran parte identici a quelli degli altri imputati e già esaminati e, quindi, trovano risposta nelle argomentazioni sopra sviluppate e ciò anche con riferimento ai motivi che riguarda specificamente il ricorrente P., ma che hanno a base deduzioni analoghe a quelle già prese in considerazione (attendibilità del certificato rilasciato dall’Afor; confessione di coimputati che escludono il coinvolgimento di P.; sussistenza della fattispecie associativa).

Deve solo aggiungersi che sulla identificazione del P. si sofferma ampiamente la sentenza di primo grado (pagg. 273 ss.) e che anche la sentenza di appello specifica esattamente il ruolo del P. nell’ambito dell’associazione criminosa, comè colui che ha svolto funzioni di collegamento tra i fratelli T. e p. e ha riscosso denaro pertinente all’attività del sodalizio (pag. 103 e 104 della sentenza impugnata).

Una volta identificato l’imputato e individuato il suo ruolo nell’associazione, non appare rilevante – diversamente da quanto afferma il ricorrente – nel contesto argomentativo dei giudici di merito il periodo al quale si riferiscono gli elementi probatori a carico dell’imputato.

Della sussistenza del reato di cui al capo d) dell’imputazione si è già detto e deve solo aggiungersi che la sentenza impugnata individua, in collegamento e ad integrazione della motivazione del primo giudice, le specifiche condotte riferibili al P. (in particolare, pagg. 95 ss.), sicchè l’analitica disamina del ricorrente degli elementi portati a carico dell’imputato costituiscono una diversa valutazione del compendio probatorio che non può essere presa in considerazione in questa sede di legittimità.

I motivi di ricorso di L.N.A. sono identici o analoghi a quelli, già esaminati, degli altri imputati.

Deve solo aggiungersi che, anche per quanto concerne L.N., la sentenza impugnata specifica il ruolo svolto nell’associazione criminosa: l’avere mantenuto costanti rapporti, diretti e attraverso comunicazioni telefoniche e telematiche, con i capi del sodalizio residenti all’estero, p.a.f. e T.G., l’aver reperito i mezzi; e gli uomini per le attività di importazione descritte ai capi b) e c) dell’imputazione e gli acquirenti della sostanza stupefacente, l’aver procacciato falsi documenti di identità ai suddetti p. e T.G. (pagg. 101 s.).

La sentenza impugnata individua, poi, gli specifici elementi probatori a carico di L.N. con riferimento al delitto di cui al capo D) dell’imputazione (pagg. 95 ss.).

Per quanto concerne la doglianza di mancata concessione delle attenuanti generiche dove osservarsi che la sentenza impugnata ha posto in rilievo la oggettiva gravità dei fatti e "la reiterazione delle condotte delittuose, sintomo evidente della pervicacia degli imputati nel delinquere e della loro pericolosità sociale" e, comunque, è pervenuto, con riconoscimento del vincolo della continuazione, ad una consistente riduzione della pena inflitta in primo grado.

D’altro canto, si già detto che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, per quanto concerne il diniego di concessione delle attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito giustifichi l’uso del potere discrezionale, conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione, senza che sia tenuto ad esaminare tutte le circostanza prospettate o prospettabili dalla difesa nè può essere censurata una motivazione che sia identica per più imputati, quando, come nel caso di specie, la motivazione stessa si adatti perfettamente a ciascuno di essi.

Tutti i motivi di ricorso di S.S.L. trovano risposta nelle argomentazioni sopra svolte con riferimento ai motivi di contenuto identico o analogo proposti dagli altri ricorrenti.

Deve solo osservarsi che alla identificazione del S. si pervenne, non solo attraverso il riconoscimento della voce da parte degli agenti operanti nel corso delle intercettazioni, ma attraverso una complessa attività di indagine descritta ampiamente dal primo giudice (pagg. 21 ss.), il quale, richiamato dalla sentenza di appello (pag. 97) ne descrive anche il ruolo svolto nel delitto di cui al capo d) dell’imputazione, sulla cui sussistenza si è già sopra riferito.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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