Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-12-2010) 29-04-2011, n. 16740 Reato continuato e concorso formale Falsità ideologica in atti pubblici commessa da privato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15-2-2010 Corte di Appello di Napoli riformava nei confronti di A.P. la sentenza emessa dal Tribunale di Torre Annunziata in data 12-1-2009, con la quale l’imputato era stato condannato in riferimento ai reati di cui ai capi f) e G) come di seguito menzionati, alla pena di mesi otto di reclusione, ed assolto dai reati di cui ai capi a) e d) inerenti ad esecuzione di opere edili abusive in zona sottoposta a vincolo – e rideterminava la pena in relazione ai reati di cui ai capi f) e G) (artt. 110, 494, 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 2 e art. 61 c.p., n. 2 – art. 483 c.p. inerenti alla falsa indicazione – nell’istanza di sanatoria edilizia – della identità del soggetto richiedente,sostituendo il proprio nome a quello del germano, A.G., e alla falsa attestazione delle date in cui erano state completate le opere edili, come descritto in epigrafe, fatti commessi il (OMISSIS)). Per tali reati era stata determinata la pena in mesi sette di reclusione, revocando l’ordine di demolizione del manufatto abusivo e di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, ed erano state confermate le ulteriori disposizioni di primo grado.

Avverso la sentenza proponeva ricorso il difensore, deducendo che la Corte avrebbe dovuto assolvere l’imputato da entrambi i reati,non essendo dimostrata con prove certe la sostituzione del nominativo nella domanda di condono perchè con consulenza grafica si era escluso che la sottoscrizione della istanza appartenesse all’imputato.

La difesa riteneva illogica l’affermazione di responsabilità, per avere l’imputato indotto in errore i destinatari dell’atto, o per aver sostituito la propria all’altrui identità.

Ugualmente riteneva dovesse essere esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2, evidenziando che era stata esclusa la responsabilità del prevenuto per i reati di abuso edilizio.

In base a tali elementi chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva che il primo motivo di ricorso deve ritenersi infondato.

Invero la sentenza impugnata evidenzia chiaramente che la domanda di condono dell’opera edile risultava presentata in data 10 dicembre 2004 a firma di A.G., e che costui risultava deceduto (in tale data).

Inoltre la consulenza grafologica aveva escluso l’autenticità della sottoscrizione ed aveva anche consentito di attribuire la sottoscrizione apocrifa ad A.P., con elevata probabilità, al 90/95 %, come rilevato in sentenza effettuando la comparazione tra le scritture del predetto e di A.A. e A.E..

In motivazione il giudice perviene alla valutazione di responsabilità del predetto imputato con logiche argomentazioni, e pertanto l’attribuzione all’imputato delle fattispecie di cui ai capi F e G della rubrica non può essere censurata, dato il riferimento ad una consulenza fonte di prova che aveva escluso altresì l’attribuzione della sottoscrizione ad altri germani del defunto.

Peraltro va condivisa la motivazione in ordine alla sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 483 c.p., essendo stata avanzata domanda di concessione in sanatoria, alla quale va riconosciuto valore probatorio, essendo tale atto determinante al fine di ammettere il richiedente alla procedura destinata alla applicazione del condono edilizio.

Va richiamato in tal senso l’orientamento giurisprudenziale contenuto in sentenza Sez. 5 – 19-12-2005, n.5122,CED 233404.

Inoltre le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rese a pubblico ufficiale,sono destinate a dimostrare la verità dei fatti e la sussistenza dei requisiti del richiedente.

Sul punto la sentenza appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte: v.Sez. 5 – sentenza del 22 gennaio 2010, n. 2978 – PG in proc. Urso – RV 245839.

Deve invece essere accolto il motivo di ricorso riferito alla esclusione dell’aggravante ex art. 62 c.p. atteso che il ricorrente risulta assolto dai reati di cui ai capi A e B della rubrica.

Pertanto la Corte deve annullare l’impugnata sentenza limitatamente alla mancata esclusione di detta aggravante, e la pena va rideterminata in mesi cinque di reclusione.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 62 c.p., n. 2 che elimina, rideterminando la pena in mesi cinque di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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