Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-12-2010) 29-04-2011, n. 16674 Chiamata di correo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La vicenda processuale giunta al controllo di legittimità riguarda tre imputazioni contestate a V.C., dopo il decreto che dispone il giudizio del 22 dicembre 1994, all’udienza del 1 luglio 1995, ai sensi dell’art. 517 c.p.p., dinanzi al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.

Le imputazioni sono attinenti a tre azioni di fuoco nei confronti di autopattuglie dei Carabinieri, commesse il (OMISSIS) (tentato omicidio dei Carabinieri P.V. e R.S.), il (OMISSIS) (omicidio dei Carabinieri F.A. e G.G.) e il (OMISSIS) (tentato omicidio dei Carabinieri M.B. e S.S.), e sono state oggetto, unitamente ad altri addebiti, del giudizio della sentenza del 22 settembre 2009 della Corte d’appello di Reggio Calabria – sezione minorenni, che ha parzialmente riformato la sentenza resa dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria il 4 ottobre 2005 a carico di V.C. e di C.F., entrambi minorenni all’epoca dei fatti, divenuta definitiva nei confronti del secondo, che nessuna condanna ha riportato per essere stati dichiarati estinti tutti i reati allo stesso ascritti per intervenuta prescrizione.

2. L’elevato numero delle contestazioni mosse a V.C. si è ridotto nei due gradi del giudizio per il maturarsi progressivo dei termini di prescrizione e in primo grado anche per alcune pronunce assolutorie.

Il Tribunale per i minorenni ha, infatti, assolto l’imputato dai reati ascrittigli ai capi 4, 5, 6, 7, 15, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 32-bis per le armi diverse dalla pistola Beretta cal. 7,65 parabellum, 36 e 37, e dai reati ascrittigli ai capi a, b, e, d, e, del decreto che dispone il giudizio del 16 gennaio 1998 per non avere commesso il fatto, e dal reato ascritto al capo I perchè il fatto non sussiste, e ha dichiarato non doversi procedere per estinzione per prescrizione, concessa la diminuente di cui all’art. 98 c.p. equivalente a tutte le aggravanti contestate, con riguardo ai reati di cui ai capi 2, 3 (limitatamente al reato di cui agli artt. 110 e 56 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14), 8 (riqualificato nel reato di cui agli artt. 110, 582 e 585 c.p.), 10, 11, 12, 13, 14, 30 (riqualificato nel reato di cui agli artt. 110, 582 e 585 c.p. e art. 61 c.p., n. 2), 33, C (riqualificato nel reato di cui all’art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 7, in esso assorbito il reato ascritto al capo 18), D e G..

La Corte d’appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di V.C. in ordine ai reati di cui ai capi 3 ( artt. 56 e 648 c.p.), 9 ( art. 61 c.p., n. 2, artt. 81 e 110 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, L. n. 110 del 1975, art. 23, commi 3 e 4), 31 ( artt. 110 e 56 c.p. e art. 628 c.p., n. 1), 32 ( art. 61 c.p., n. 2, artt. 81 e 110 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, e L. n. 110 del 1975, art. 23, commi 3 e 4), 32-bis ( L. n. 497 del 1974, artt. 9, 10, 12 e 14, L. n. 110 del 1975, art. 23, commi 3 e 4, artt. 648, 110 e 81 cpv. c.p.), 34 ( art. 628 c.p., n. 1, prima ipotesi), 35 ( art. 605 c.p.), B ( L. n. 497 del 1974, artt. 9, 10 e 12, L. n. 110 del 1975, art. 23, commi 3 e 4, artt. 648, 110 e 81 cpv. c.p.) e F ( L. n. 497 del 1974, artt. 9, 10 e 12, L. n. 110 del 1975, art. 23, commi 3 e 4, artt. 648, 110 e 81 cpv. c.p.), perchè estinti per intervenuta prescrizione.

La Corte d’appello ha, invece, confermato la pronuncia di condanna per i reati di cui ai capi A, E e H, in relazione ai quali, rideterminata la pena rispettivamente in anni undici, in anni venticinque e in anni quattordici di reclusione, ha applicato, ai sensi dell’art. 78 c.p., la pena finale di anni trenta di reclusione.

3. I reati in relazione ai quali è stata pronunciata condanna sono:

– il delitto di tentato omicidio pluriaggravato, di cui agli artt. 110, 56 e 575 c.p., art. 577 c.p., n. 4, in relazione all’art. 61 c.p., nn. 1 e 2, (capo A), commesso in (OMISSIS) verso le ore quattro del mattino, contestato a V. in concorso con i maggiorenni, C.G., Ca.Ma. e Q.V., separatamente giudicati, per avere esploso contro l’auto dei militari dell’Arma, P.V. e R.S., e nei confronti degli stessi due raffiche di colpi d’arma da fuoco, utilizzando un mitra M12, senza realizzare l’evento per cause indipendenti dalla volontà degli autori, tra cui la reazione di R. che esplodeva dall’interno dell’abitacolo, rispondendo al fuoco, due colpi con la propria pistola di ordinanza;

– il delitto di omicidio pluriaggravato, di cui agli artt. 110 e 575 c.p., art. 577 c.p., n. 4 in relazione all’art. 61 c.p., nn. 1 e 2 (capo E), commesso nel tratto autostradale SA-RC, all’altezza dello svincolo di (OMISSIS), il (OMISSIS) dopo le ore ventuno, contestato a V. in concorso con i maggiorenni C. G., Ca.Ma. e Q.V. separatamente giudicati, per avere cagionato la morte dei militari dell’Arma F. A. e G.G., esplodendo contro l’auto dei militari e nei loro confronti, attingendoli in parti vitali, almeno tre raffiche di colpi d’arma da fuoco utilizzando un mitra M12;

– il delitto di tentato omicidio pluriaggravato, di cui agli artt. 110, 56 e 575 c.p., art. 577 c.p., n. 4 in relazione all’art. 61 c.p., nn. 1 e 2, (capo H), commesso in (OMISSIS), contestato a V. in concorso con i maggiorenni C.G., Ca.Ma. e Q.V. separatamente giudicati, per avere C. esploso raffiche di colpi d’arma da fuoco utilizzando un mitra M12 e V. due colpi di fucile cal. 12 contro l’auto dei militari dell’Arma, M.B. e S.S. e nei confronti degli stessi, ferendoli in maniera seria, senza realizzare l’evento per cause indipendenti dalla loro volontà, tra cui la reazione di S. che esplodeva, rispondendo al fuoco, alcuni colpi con la propria arma di ordinanza.

4. Ad avviso del Tribunale, che ricostruiva la svolta attività investigativa, partendo dalla particolareggiata illustrazione fattane dal Maggiore dei Carabinieri Ra.Se., escusso come teste, momento centrale per l’accertamento dei fatti e delle responsabilità erano state le dichiarazioni rese da C.G..

Questi, dopo le iniziali ammissioni in merito ad acquisti di armi dai Ca. di Palmi, si era autoaccusato di essere l’autore delle gravi azioni di fuoco in danno dei Carabinieri, chiamando poi in correità Ca.Ma. e Q.V., suoi complici nel traffico di armi, e confermando tali dichiarazioni nel corso del processo di primo grado alle udienze del 7 e 8 aprile 1995.

All’udienza del 30 giugno 1995 il predetto aveva chiamato in correità per i tre attentati ai Carabinieri anche V. C., che aveva già accusato solo in relazione ad episodi criminosi minori commessi anche con il concorso dello zio L.G. P., fratello della madre, e giustificando il precedente mancato coinvolgimento del V. per il suo rapporto di fidanzamento con sua sorella A..

Secondo il racconto di C., V.C., che già il (OMISSIS) era uscito con lui verso le ore quattro del mattino per compiere il furto di un’autovettura, prendendo l’autovettura Regata del padre e dando ai Carabinieri, che li avevano fermati per un controllo, le generalità dello zio L.G. P., perchè egli era all’epoca agli arresti domiciliari, aveva partecipato all’attentato ai Carabinieri del 2 dicembre 1993, verificatosi mentre, a bordo della stessa auto insieme allo stesso dichiarante C., a Ca.Ma. e a Q. V., si stavano allontanando dal luogo programmato per un omicidio, non commesso, e un’autopattuglia dei Carabinieri aveva loro segnalato di fermarsi. V., che aveva esploso contro i Carabinieri, su ordine di Q., due raffiche di mitra, aveva poi partecipato anche all’episodio del (OMISSIS), verificatosi mentre lo stesso, unitamente al dichiarante C., a Ca. e a Q., era su un’auto rubata con un carico di armi fornite da Ca., da provare e trasbordare sull’auto di Q., che era stata sorpassata in autostrada da un’autopattuglia dei Carabinieri che aveva segnalato di rallentare.

Ca. aveva ordinato di sparare e V., che era l’unico con il mitra carico in mano, aveva esploso alcune raffiche contro i Carabinieri uccidendoli.

All’episodio del (OMISSIS), secondo il racconto del dichiarante, aveva ancora partecipato V.C., interessato con lo zio L.G.P. all’acquisto di armi in vista della costituzione di un gruppo di fuoco. L’attentato si era verificato mentre Ca. e L.G. erano a bordo dell’auto e il dichiarante C. armato di mitra, V. armato di fucile e Q. aspettavano sulla strada l’arrivo dell’auto con le armi. Essendo arrivata un’autoradio dei Carabinieri V. e C. avevano sparato contro i Carabinieri ferendoli.

C.G., che aveva coinvolto V.C. nei tre episodi con il ruolo di killer, aveva ritrattato le sue dichiarazioni accusatorie nei confronti di tutti i chiamati in correità con una missiva del 1998 indirizzata alla Corte d’assise che giudicava i maggiorenni e al difensore di L.G.P., con successiva missiva del 7 gennaio 2003 indirizzata al difensore del fratello C.F. e nel corso delle udienze del 22 marzo 2004 e del 18 maggio 2004 nel processo dinanzi al Tribunale per i minorenni a carico di V. e del suddetto C.F..

4.1. Tali dichiarazioni sono state ampiamente esaminate dal Tribunale che, all’esito di articolata motivazione e del richiamo ai principi giurisprudenziali in materia, ha valutato positivamente l’attendibilità intrinseca del collaboratore, ha ritenuto maggiormente credibile la versione resa dallo stesso all’udienza del 30 giugno 1995 e inattendibile la sua ritrattazione, ha escluso che l’assoluzione in relazione agli stessi episodi omicidari degli imputati Ca. e Q. nel procedimento definito dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria con sentenza del 3 febbraio 1997, confermata dalla Corte d’assise d’appello e divenuta irrevocabile, attingesse la validità delle dichiarazioni di C. con riguardo a V.C., avuto riguardo al principio della frazionabilità della chiamata di correo e alla compatibilità delle dinamiche dei fatti con la presenza dei soli C. e V., e ha ritenuto sussistenti plurimi riscontri esterni di conferma.

4.2. Prove univoche di colpevolezza dell’imputato in ordine ai fatti contestati erano, in particolare, costituite:

– dalle dichiarazioni di C.G., sentito come imputato di reato connesso e dopo la definitività delle sentenze a suo carico come testimone assistito;

– dalle dichiarazioni del collaboratore Ga.Pa., che aveva iniziato la sua collaborazione nel dicembre del 1994, sentito all’udienza dibattimentale del 17 maggio 1995 in relazione a quanto appreso da L.G.P., durante un periodo di comune detenzione con questi, Ca.Ma. e Q.V., in ordine ai tre agguati ai Carabinieri e alla responsabilità in merito agli stessi, coinvolgendo V.C., C. e anche se stesso, e in merito, tra l’altro, allo stato di sottoposizione del nipote V.C. agli arresti domiciliari, quando lo stesso aveva commesso i reati contestatigli, e alle ripetute violazioni degli obblighi; dalle dichiarazioni di c.g., che avevano attinto la posizione di V.C. ancor prima di quelle del fratello C.G., essendo stato dallo stesso riferito di aver visto correre nei pressi della sua abitazione, nelle vicinanze della concessionaria dinanzi alla quale si era verificato il terzo episodio contestato, V. con un fucile e L.G. con un mitra sotto il giubbotto. A queste dichiarazioni iniziali, che avevano fondato il provvedimento di fermo a carico di V. e di L.G., erano seguite le dichiarazioni di c.g. all’udienza del 7 aprile 1995 quando questi aveva riferito di aver visto i predetti nei pressi della sua abitazione, all’altezza del garage, mentre si allontanavano dopo gli spari e V. era armato con un fucile a canne lunghe; dagli esiti dell’attività di indagine illustrata dal teste Ra.Se., all’epoca dei fatti Maggiore dei Carabinieri e dalle deposizioni degli altri operanti intervenuti;

dalle testimonianze delle persone offese: P.V., R.S., S.S. e M.B.; dagli esiti delle intercettazioni telefoniche e ambientali; dall’esame di V.C. all’udienza del 1 luglio 1995; dagli esiti del confronto tra C.G. e V.C., dalle risultanze delle sentenze definitive acquisite, e, in particolare;

sentenze della Corte d’assise di Reggio Calabria del 3 febbraio 1997 e della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria nei confronti di Q.V., Ca.Ma. e L.G.P. per i tre episodi criminosi in danno dei Carabinieri; sentenze definitive a carico di V.G., padre dell’imputato V. C., per le contestazioni relative alle armi, sequestrate il 25 febbraio 2004 presso la sua abitazione; sentenze nei confronti dello stesso V.G. per simulazione del reato di furto della sua auto; sentenze definitive di condanna per favoreggiamento nei confronti di C.G.S., padre del collaboratore C.G., e di C.F., fratello dello stesso C.G., per avere aiutato a eludere le investigazioni dell’Autorità nei confronti di V.C. e di L.G. P. attraverso la formazione del certificato medico sulle condizioni di salute mentale di c.g., figlio del primo e fratello del secondo, per sminuire il portato collaborativo delle sue dichiarazioni, e fornendo un falso alibi a V.C. per l’agguato del 1 febbraio 1994;

– dagli esiti della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero sull’auto a bordo della quale erano i carabinieri P. e R., dai verbali di sopralluogo del 2 dicembre 1993 e del 3 maggio 1994, dal verbale di sequestro dei bossoli calibro 9 parabellum, dal verbale di rinvenimento e sequestro dell’auto Fiat Regata e dei rilievi tecnici sulla stessa e sull’autopattuglia, dal modello OP 85 redatto dai Carabinieri il 29 novembre 1993, dalla relazione del C.I.S. di Messina e dalla consulenza tecnico-balistica, con riguardo al tentato omicidio in danno dei Carabinieri P. e R.;

– dai verbali degli atti investigativi redatti nell’immediatezza del fatto, dalla relazione di consulenza tecnico-balistica del C.I.S. di Messina, dal verbale di rinvenimento e sequestro dei bossoli e dal verbale di consulenza tecnica medico-legale sulle modalità della morte, con riguardo al duplice omicidio in danno dei Carabinieri F. e G.;

– dalla relazione di consulenza tecnica sulla dinamica dei fatti del C.I.S. di Messina, dagli esiti degli accertamenti balistici, dalle dichiarazioni rese da c.g., dal verbale della individuazione dei luoghi dallo stesso indicati e dalla falsità dell’alibi fornito dall’imputato per la sera del fatto, con riguardo al tentato omicidio dei Carabinieri S. e M..

5. La Corte d’appello di Reggio Calabria, Sezione minorenni, richiamata come parte integrante della sentenza la ricostruzione della vicenda processuale contenuta nella sentenza di primo grado e le emergenze dell’attività istruttoria già svolta, e integrata l’attività istruttoria con l’audizione del collaboratore di giustizia Co.Ro., del teste A.G. e del collaboratore di giustizia Sp.Ga., non risultata idonea ad apportare elementi utili per una lettura alternativa degli episodi delittuosi e dei loro autori, e con l’espletamento di perizia trascrittiva della conversazione intercettata il 15 gennaio 2009 presso la sala colloqui del carcere di Ferrara tra C. G., il padre C.G. e la sorella C. C., risultata rilevante per il suo riferimento al processo in corso dinanzi alla Corte d’appello, ha ritenuto infondati i rilievi prospettati nell’atto di appello.

5.1. Secondo la Corte, in particolare, erano da disattendere:

– le censure concernenti il giudizio di attendibilità intrinseca di C.G., formulato dal primo giudice, ritenuta puntuale e corretta e, quindi, condivisibile la valutazione operata in punto di affidabilità intrinseca del collaboratore, che era ripresa ed esaminata alla luce delle argomentazioni difensive;

– le censure concernenti l’errata valutazione delle sentenze passate in giudicato e acquisite, ritenutane corretta l’acquisizione e l’utilizzazione secondo i criteri di valutazione espressi dai noti orientamenti giurisprudenziali in materia;

– le censure riguardanti l’avvenuta violazione del disposto di cui all’art. 192 c.p.p., sia in ordine al giudizio di attendibilità intrinseca di C.G., sia in ordine alla idoneità di alcuni elementi a costituire riscontri individualizzanti alla chiamata in correità operata dallo stesso, avuto riguardo alla rilevata corretta applicazione dell’art. 192 c.p.p. sulla scorta dei parametri individuati dalla giurisprudenza di questa Corte per saggiare l’attendibilità del collaboratore, e tenuto conto della pluralità di elementi di riscontro per ciascuno degli episodi delittuosi contestati, specificatamente e ampiamente descritti, e della operatività del principio della frazionabilità della chiamata in correità applicato dal Tribunale secondo i principi affermati in questa sede di legittimità. 5.2. La Corte riteneva condivisibile l’operato del Tribunale dei minorenni che aveva negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo alla estrema gravità delle condotte ascritte, alla personalità negativa dell’imputato emergente dalle specifiche condotte contestate, dalle ulteriori iscrizioni di procedimenti a suo carico e dalla condanna riportata dallo stesso per tentata rapina.

Quanto alla dosimetria della pena, la Corte riteneva corretta la decisione che, alla stregua dei parametri fissati dall’art. 133 c.p., si era riferita alla imponente gravità delle azioni e alla ripetuta, disinvolta e sprezzante aggressione alla vita altrui con l’uso di armi micidiali, senza manifestazioni di resipiscenza, con applicazione della diminuente della minore età di cui all’art. 98 c.p., equivalente rispetto alle aggravanti contestate.

La disciplina del reato continuato era stata applicata correttamente, a giudizio della Corte, solo ai reati omicidari commessi nello stesso contesto temporale con una medesima azione, essendo risultata insussistente la preventiva deliberazione dei vari episodi contestati che avevano rappresentato reazioni impreviste a controlli o a possibili controlli delle Forze dell’ordine.

6. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Michele Priolo, l’imputato V.C., che denuncia con unico motivo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1, 2 e 3, art. 238-bis c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), artt. 530 e 535 c.p.p., D.P.R. n. 448 del 1988, art. 9, e artt. 575, 56 e 575 c.p., e vizio di motivazione, formulando plurime doglianze, che distingue tra preliminari e specifiche in rapporto ai fatti delittuosi per i quali è stata affermata la responsabilità penale.

6.1. La violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1, 2 e 3, e il vizio di motivazione attengono al criterio adottato per valutare e ritenere l’attendibilità intrinseca del chiamante in correità C.G. e la presenza di riscontri individualizzanti alle sue dichiarazioni.

Quanto all’attendibilità intrinseca, in particolare, si deduce la singolarità della scelta collaborativa di C.G. nei confronti del ricorrente, passata dalla chiamata in correità dello stesso – in ordine ai tre attentati ai Carabinieri per i quali è stato condannato – il 3 giugno 1995, data del suo interrogatorio da parte dei Pubblici Ministeri, a distanza di un anno dall’inizio della sua collaborazione nel corso della quale già si era dichiarato colpevole, estendendo la già operata chiamata in correità dei maggiorenni Q.V. e Ca.Ma. e per un solo episodio di L.G.P., zio di V.C., con attribuzione a V. del ruolo di autore degli spari con il mitra in due episodi, in esecuzione dell’ordine impartitogli dai detti maggiorenni, alla ritrattazione nel 1998 da ogni accusa nei confronti sia del ricorrente V. sia dei maggiorenni Q. e Ca., intanto assolti.

Il comportamento contraddittorio e non lineare di C., che ha mostrato la sua "sofferta personalità" e la sua sensibilità a condizionamenti esterni in vista di possibili vantaggi e che si è espresso nelle sue eterogenee dichiarazioni, secondo gli stessi rilievi delle sentenze di merito, escluderebbe, secondo la difesa, la ravvisata credibilità intrinseca, affermata in dette sentenze "con faticosa valutazione", applicando il principio della frazionabilità della chiamata di correo, i cui criteri interpretativi avrebbero, tuttavia, imposto diverse valutazioni e portato a diverse conclusioni.

Quanto ai riscontri estrinseci individualizzanti alle dichiarazioni di C.G., se ne deduce la mancanza, alla luce del principio della necessaria riferibilità al soggetto incolpato del dato fattuale specifico riferito e del criterio della frazionabilità della chiamata in correità, avuto riguardo alla riferibilità al solo C. del suo contributo al ritrovamento dell’auto e delle armi utilizzate per i fatti contestati; alla conoscenza da parte dello stesso delle modalità dei fatti per la sua dichiarata partecipazione agli stessi; alla disponibilità dell’auto utilizzata nell’episodio del (OMISSIS) anche da parte di C. G. e di L.G.P., oltre che da parte dell’imputato;

alla riferibilità delle dichiarazioni accusatorie di c. g., oggetto dell’azione di screditamento da parte del padre per una sua assunta patologia, oltre che al ricorrente V., anche a L.G.P., il cui rapporto di frequentazione con C.G. era uguale a quello di Ca.Ma., di Q.V. e dello stesso V.; alla mancanza di specifici riferimenti ad un ruolo partecipativo del ricorrente, negli episodi contestati, nelle dichiarazioni accusatorie di c. g. e di c.p., e avuto ancora riguardo al carattere non individualizzante dell’uso della stessa arma nei tre episodi, della presenza della stessa causale e della identità del luogo di svolgimento dei tre episodi, peraltro contraddetto dalla distanza di oltre trenta chilometri del luogo in cui era stato commesso il duplice omicidio rispetto a quello degli altri due episodi contestati.

6.2. La violazione di legge, in relazione agli artt. 238-bis e 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3, e il vizio di motivazione attengono alla valutazione delle sentenze rese in diverso procedimento e riguardanti alcuni fatti oggetto di questo processo, avuto riguardo alla operata acritica adesione alle conclusioni delle sentenze che, assolvendo Ca. e Q., hanno trattato la posizione del ricorrente V., anticipandone l’esito.

6.3. Ulteriore vizio di motivazione è dedotto con riferimento alle emergenze della disposta riapertura dell’istruttoria dibattimentale.

Si censura, in particolare, il giudizio di irrilevanza riservato alle dichiarazioni dei collaboratori Co.Ro. e S. C. (rectius: Ga.) nonostante la loro conoscenza, espressa dal contributo dato da Co. prima del suo atteggiamento reticente in udienza, del coinvolgimento nel duplice omicidio del 18 gennaio 1994 di ambienti e settori estranei al minore V., e la negazione interessata di rapporti con Co. espressa dal teste A.; e si censura il giudizio di rilevanza riservato alla conversazione in carcere del 15 gennaio 2009 tra C.G. e il padre C.G., nonostante la risalenza nel tempo delle loro conoscenze certe dei fatti e dei loro autori.

6.4. La violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 448 del 1988, art. 9 e agli artt. 62-bis e 133 c.p., e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. c), e il vizio di motivazione, attengono all’omesso espletamento di indagine conoscitiva volta ad accertare, attraverso la verifica delle condizioni e delle risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minore, la capacità di intendere e di volere dello stesso, il suo grado di responsabilità e la risposta più adeguata, e avuto riguardo all’operato riferimento, quale criterio della sanzione di estremo rigore, alla gravità estrema delle condotte senza tenere conto della giovane età e della influenza negativa dei maggiorenni con i quali il ricorrente è rimasto coinvolto.

6.5. Con riferimento ai singoli reati contestati e attribuiti il ricorrente deduce specifiche doglianze richiamando le preliminari censure generali.

6.5.1. Con riguardo al delitto di tentato omicidio nei confronti di P.V. e R.S., di cui al capo A), il ricorrente, richiamate e ribadite le doglianze preliminari già svolte, deduce:

a) violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1, 2 e 3, art. 238-bis c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), artt. 530 e 533 c.p.p., e vizio di motivazione, sul rilievo che il giudice di merito non si è limitato a richiamare e a utilizzare il fatto oggetto della sentenza resa dalla Corte d’assise di Reggio Calabria nei confronti degli imputati maggiorenni, ma, condividendo passaggi della motivazione che ha trascritto, ha anticipato – nei confronti del ricorrente V. – il giudizio di colpevolezza ed ha recepito, senza analisi critica, il dato fattuale attinente al numero delle persone (due), presenti nell’auto Regata, in contrasto con le diverse e non univoche risultanze processuali, già segnalate con il motivo d’appello del tutto ignorato, e soprattutto con la chiamata in correità, condivisa in sentenza, di C.G., che, ribadita la presenza nell’auto di lui stesso e dei maggiorenni Q. e Ca., aveva solo aggiunto il V..

Nè, si assume in ricorso, la certezza della presenza del ricorrente sull’auto Regata è tratta da altro elemento che non sia la dichiarazione di C.G., al quale è stato "attribuito il compito di riscontrare se stesso", atteso che dal modello O.P. 85, redatto dai militari dell’Arma, è risultato che nell’auto con il C., specificatamente identificato, il 29 novembre 1993 si trovava L.G.P. che, non identificato in mancanza di documenti, aveva confermato la sua presenza in auto, e la deduzione del Tribunale, che invece del L.G. vi fosse V. in detta data e il successivo 2 dicembre 1993, è fondata solo sulla dichiarazione di C., contenuta nella sua ultima versione dei fatti, valutata, con sofferto iter logico-argomentativo, come "più plausibile" e maggiormente attendibile, pur in assenza di riscontri alla sua attendibilità.

Il confuso riferimento fatto in sentenza alle dichiarazioni di Ga.Pa. non consente, secondo il ricorrente, di ritenerle quale riscontro estrinseco alle dichiarazioni di C. G., avuto anche riguardo alla poca credibilità allo stesso riservata;

b) violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 575 c.p. con riguardo alla ravvisata ipotesi di tentato omicidio, rilevandosi la mancanza in concreto degli elementi indispensabili del tentativo, legati alla idoneità e alla inequivocità degli atti compiuti, denotanti la volontà omicida, avuto riguardo alla funzionalità della esplosione dei colpi alla sottrazione al controllo da parte dei Carabinieri, alla mancata esplosione di colpi contro l’auto degli stessi e i suoi occupanti, e alla ubicazione dei fori sul parabrezza di detta auto provocati da colpi esplosi dall’interno dell’abitacolo e dal basso verso l’alto.

6.5.2. Con riguardo al delitto di duplice omicidio nei confronti dei Carabinieri F.A. e G.G. del 18 gennaio 1994, di cui al capo E), il ricorrente, richiamate e ribadite le doglianze preliminari già svolte, deduce violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1, 2 e 3, art. 238-bis c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), artt. 530 e 533 c.p.p., e vizio di motivazione, – sul rilievo che il giudizio di colpevolezza si è basato sulla sola, e del tutto generica, chiamata in correità di C.G. del 30 giugno 1995, senza la possibilità di desumere elementi dalla sentenza di assoluzione dei maggiorenni resa dalla Corte d’assise che, ritenuto non credibile C., aveva proceduto a considerazioni "personalissime" sulla inconciliabilità con la capacità criminale di ciascuno dei comportamenti attribuiti da C., e senza che la credibilità del racconto abbia trovato conferma nelle giustificazioni date da C. alla trasferta a Palmi (acquisto di armi da parte di Q., fornitura delle armi da parte di Ca., sistemazione del percussore del mitra e acquisto delle armi da parte del ricorrente V., interesse alle armi di L.G.); – sul rilievo della inidoneità di alcuni elementi a costituire riscontro individualizzante della chiamata in correità nei confronti del ricorrente.

6.5.3. Con riguardo al delitto di tentato omicidio nei confronti dei Carabinieri M.B. e S.S. del 1 febbraio 1994, di cui al capo H), il ricorrente, richiamate e ribadite le doglianze preliminari già svolte, deduce:

violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1, 2 e 3, art. 238-bis c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), artt. 530 e 533 c.p.p., e vizio di motivazione, sul rilievo, ulteriormente ribadito, della mancanza di riscontri alle dichiarazioni fatte da C.G. il 30 giugno 1995 quando questi, aggiungendo la figura del ricorrente V. come soggetto responsabile, ha confermato la presenza sui luoghi di Ca.Ma., Q. V. e L.G.P., e ha indicato la ragione della loro presenza data dalla necessità per lo stesso V. e per L. G. di acquistare armi e dalla fornitura delle stesse da parte del Ca., con la mediazione di Q..

Secondo il ricorrente, la sentenza di merito, nel fondarsi sulla dichiarazione di C., ha ritenuto presenti Ca. e Q. in contrasto con la sentenza della Corte d’assise di Reggio Calabria nei confronti dei maggiorenni, per il resto totalmente condivisa e non solo nei limiti del fatto ai sensi dell’art. 238-bis c.p.p..

Tale sentenza, si rileva in ricorso, ha ritenuto erroneamente C.G. riscontrato estrinsecamente dal fratello c.g., che non ha riferito in merito all’episodio delittuoso, ma in merito a quanto rilevato ad alcune centinaia di metri di distanza nel veder passare il ricorrente V. con un fucile e L.G. con un mitra sotto il giubbotto davanti alla sua abitazione, poi precisando di averli visti in garage, di aver notato che uno aveva il fucile e di averli visti scappare in auto.

Nè, nonostante l’affermazione di c.g. di avere inteso con le sue dichiarazioni favorire il fratello G., sono state tratte le dovute conclusioni circa l’impossibilità di ritenere le dette dichiarazioni riscontro estrinseco della chiamata in correità di quest’ultimo.

E’ da escludere anche, secondo la difesa, che costituiscano riscontro estrinseco alla chiamata in correità di C.G. la "messinscena", attribuita al padre C.G. e consistita nella esibizione della certificazione medica, rilasciata dal dott. Mo., attestante la patologia psichiatrica di c. g., e le generiche dichiarazioni rese dal collaboratore Ga.Pa..
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.

2. Le doglianze difensive, attinenti alla violazione delle regole di valutazione probatoria di cui all’art. 192 c.p.p., commi 1, 2 e 3, e alla manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione sul punto, si articolano sul duplice versante dell’inattendibilità intrinseca della chiamata in correità di C.G. e dell’assenza di riscontri esterni, obiettivi e individualizzanti alle sue dichiarazioni.

3. Nel censurare l’attendibilità intrinseca della detta chiamata in correità il ricorrente ripercorre le doglianze svolte con i motivi d’appello, rappresentando la singolarità della scelta collaborativa di C.G. nei suoi confronti in ordine ai tre attentati ai Carabinieri per i quali è stato condannato, intervenuta dopo un anno dall’inizio della sua collaborazione nel corso della quale il collaboratore già si era dichiarato colpevole, con semplice estensione in suo danno della chiamata in correità già fatta in danno dei maggiorenni Q.V. e Ca.Ma. e per un solo episodio di L.G.P., zio di esso ricorrente.

Le dichiarazioni rese, probative di un comportamento tormentato e contraddittorio e della sensibilità del collaboratore a condizionamenti esterni in vista di possibili vantaggi per la loro consequenzialità alla presa d’atto da parte dello stesso della difficoltà dei Pubblici Ministeri, che lo interrogavano, a credere al suo apporto collaborativo e del diniego da parte del Giudice per le indagini preliminari della richiesta di concessione degli arresti domiciliari, incoerenti con le precedenti ricostruzioni dei fatti e ritrattate dallo stesso collaboratore, avrebbero dovuto portare il Tribunale prima e la Corte d’appello dopo, che hanno proceduto a faticosa valutazione e sono pervenuti a sofferte conclusioni, a escludere la ravvisata credibilità intrinseca.

3.1. La Corte d’appello, che ha analizzato la posizione di C. G. le cui dichiarazioni auto ed etero-accusatorie ha efficacemente valorizzato, ha discusso criticamente le motivazioni dell’atteggiamento dallo stesso tenuto nel corso del dibattimento di primo grado, dando ampio conto nella sentenza dell’operazione di verifica condotta, previo integrale richiamo alle "fasi cruciali della collaborazione", e sviluppando, rispetto alla sentenza di primo grado, le sue valutazioni critiche alla luce delle obiezioni e deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi di appello, cui ha fornito esauriente risposta.

La sentenza impugnata ha, in particolare, ritenuto che era puntuale e corretta e, quindi, condivisibile la valutazione operata dal primo Giudice in punto di affidabilità intrinseca del collaboratore, ed ha ritenuto, senza prescindere dal confronto con le deduzioni difensive, che tra le varie versioni dallo stesso fornite, che ha specificatamente riportato, quella resa all’udienza del 30 giugno 1995 era maggiormente attendibile rispetto alle versioni precedenti, offerte alle udienze del 7 e 8 aprile 1995, e che le ritrattazioni dal 1998 in poi erano state un "tentativo vano di depistaggio della verità, che, in parte, aveva già trovato inoppugnabili riscontri". 3.2. A tali conclusioni la Corte di merito è pervenuta rilevando che:

– la deduzione difensiva, che la nuova versione dei fatti, fornita da C. il 3 giugno 1995 e ribadita all’udienza del 30 giugno 2005, sia stata determinata dalla notifica al collaboratore del provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione degli arresti domiciliari, è contraddetta dalla particolareggiata ricostruzione del contesto in cui è maturato l’interrogatorio del 3 giugno 1995, riportata specificatamente in sentenza sulla scorta delle risultanze del verbale dell’attività svolta acquisito agli atti, e dall’analisi delle risposte date dal collaboratore dopo la contestazione delle illogicità e incongruenze del racconto già reso, alla luce dei dati obiettivi emergenti dalle indagini in corso (perizia balistica e intercettazioni), e dopo l’invito rivoltogli a chiarirle, oltre che dalla mancanza di nesso logico tra le contestazioni e il rigetto e le assunte false dichiarazioni accusatorie;

– la logica plausibilità delle motivazioni addotte dal collaboratore a sostegno della genesi della sua più completa collaborazione è stata correttamente ritenuta dal Tribunale con analitico riferimento al piano strategico concordato, fondante -con la non compromissione, nelle vicende più gravi, del minore V.C., della cui sorella era "follemente innamorato" – le precedenti dichiarazioni, e alla influenza sulla tenuta dello stesso delle emergenze di specifici dati fattuali attraverso le indagini svolte;

– le ritrattazioni da parte di C. da ogni accusa, a partire dalla missiva del 20 maggio 1998 (inviata alla Corte d’assise che giudicava i maggiorenni Ca.Ma., Q.V. e L.G.P. e all’avv. Michele Priolo, che difendeva L. G.P.), seguita da quella del 7 gennaio 2003 (inviata all’avv. Emilia Pino, difensore del fratello C.F.), dalle dichiarazioni rese all’udienza del 22 marzo 2004 e alla successiva udienza del 18 maggio 2004, fino alla esternazione della volontà di sottrarsi all’esame in data 31 gennaio 2005, sono state sottoposte a rigorosa e condivisibile analisi critica da parte del Tribunale in rapporto alle ragioni che hanno dato luogo alle diverse successive dichiarazioni e valutate come intrinsecamente inattendibili in rapporto alle emergenze processuali, anche oggetto di contestazione, e in rapporto alle circostanze non ritrattate e alla genericità delle affermazioni;

– il percorso motivazionale seguito dal Tribunale per valutare in senso positivo l’attendibilità intrinseca del collaboratore – all’esito del più attento e rigoroso vaglio critico, imposto da "ragioni innegabili di diffidenza" per "la non linearità dei comportamenti processuali ed extraprocessuali" e per "le palesate riserve mentali e reticenze in vista di trarre propri e altrui vantaggi" -, è stato correttamente svolto alla luce dei parametri valutativi, dettati dalla giurisprudenza di questa Corte, avuto riguardo all’accertata vicinanza del collaboratore agli ambienti nei quali sono maturati gli episodi delittuosi, alla manifestata conoscenza della dinamica dei fatti delittuosi e dei dettagli, ai legami con i chiamati in correità, al contributo eccezionale dallo stesso fornito per ritrovare armi e mezzi attraverso i quali i delitti sono stati commessi, al contributo conoscitivo offerto per la ricostruzione di gravi delitti dei quali si è autoaccusato senza essere sospettato, e tenuto conto dell’ampio corredo di riferimenti agli atti e alle risultanze processuali che ha supportato il contenuto argomentativo della decisione.

3.3. I Giudici di merito (entrambe le decisioni di primo e di secondo grado concordano, come rilevato, nella puntigliosa analisi e nella scrupolosa valutazione dell’attendibilità del collaboratore, e la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo: Sez. U. n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c, Musumeci e altri, Rv. 191229, e da ultimo Sez. 1, n. 17309 del 10/03/2008, dep. 24/04/2008, Calisti e altri, Rv. 240001) hanno fatto corretta applicazione delle regole di valutazione probatoria e hanno proceduto con adeguato e logico apparato argomentativo, coerente nella condotta analisi dei dati processuali, a rendere conto dell’attendibilità intrinseca della collaborazione di C.G. espressa nelle dichiarazioni rese all’udienza del 30 giugno 1995.

La sentenza d’appello ha chiaramente e logicamente argomentato nel pervenire a dette conclusioni, sviluppando, rispetto a quella di primo grado, le valutazioni critiche alla luce delle obiezioni e deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi d’appello, cui ha dato esauriente risposta.

In questo contesto non possono, quindi, trovare accoglimento le prospettazioni difensive, che, attraverso richiami per stralci a parti motive delle sentenze astratte dal più articolato ragionamento probatorio svolto, trascurano di tenere conto dell’iter logico seguito dai Giudici di merito nel rispondere alle analoghe censure già svolte con i motivi di appello, si risolvono in richiami al percorso collaborativo di C., del quale si è dato ampio conto in sede di merito, e tendono a proporre una diversa analisi in contrasto con la preclusione, in questa sede, di un dissenso di merito di fronte ad una motivazione logicamente articolata e coerente.

4. Le doglianze difensive attengono, quanto alla violazione delle regole di valutazione probatoria e al vizio di motivazione, anche all’assenza di riscontri esterni, obiettivi e individualizzanti alle dichiarazioni di C.G..

4.1. Nel dedurre tale carenza, il ricorrente, richiamati il principio della necessaria riferibilità al soggetto incolpato del dato fattuale specifico riferito e il criterio della frazionabilità della chiamata in correità, rappresenta la riferibilità al solo C. del suo contributo al ritrovamento dell’auto e delle armi utilizzate per i fatti contestati; la conoscenza da parte dello stesso delle modalità dei fatti per la sua dichiarata partecipazione agli stessi; la disponibilità dell’auto utilizzata nell’episodio del 2 dicembre 1993 anche da parte di C.G. e di L. G.P., oltre che da parte dell’imputato; la riferibilità delle dichiarazioni accusatorie di c.g., oggetto dell’azione di screditamento da parte del padre per una sua assunta patologia, oltre che al ricorrente V., anche a L.G. P., il cui rapporto di frequentazione con C.G. era uguale a quello di Ca.Ma., di Q.V. e dello stesso V.; la mancanza di specifici riferimenti a un ruolo partecipativo del ricorrente, con riguardo agli episodi delittuosi ascritti, nelle dichiarazioni accusatorie di c. g. e di c.p., e deduce il carattere non individualizzante dell’uso della stessa arma nei tre episodi, della presenza della stessa causale e della identità, neppure sussistente, del luogo di svolgimento dei tre episodi.

4.2. E’ compiutamente delineata nella giurisprudenza di questa Corte, in tema d’interpretazione del canone di valutazione probatoria fissato dall’art. 192 c.p.p., comma 3, l’indicazione dell’operazione logica conclusiva della verifica giudiziale della chiamata in correità, secondo cui essa, perchè possa assurgere al rango di prova pienamente valida a carico del chiamato e possa essere posta a fondamento di un’affermazione di responsabilità, ha bisogno, oltre che di un positivo apprezzamento in ordine alla sua intrinseca attendibilità, anche di riscontri estrinseci, che devono avere carattere individualizzante, e cioè riferirsi a elementi di qualsiasi tipo e natura, anche di ordine puramente logico, ma che riguardino direttamente la persona dell’incolpato, in relazione a tutti gli specifici reati a lui addebitati (Sez. 1, n. 11058 del 02/03/2010, dep. 23/03/2010, Abbruzzese, Rv. 246790; Sez. 3, n. 3255 del 10/12/2009, dep. 26/01/2010, Genna, Rv. 245867; Sez. 6, n. 29425 del 09/07/2009, dep. 16/07/2009, Marrazzo, Rv. 244472; Sez. 2, n. 13473 del 04/03/2008, dep. 31/03/2008, Lucchese, Rv. 239744).

Si aggiunge, per il principio di frazionabilità della chiamata in correità, che, quando essa contenga più accuse nei confronti di più persone per il medesimo episodio o per una pluralità di episodi, l’affermazione di responsabilità postula che a carico di ciascuno dei chiamati sia ravvisabile un elemento esterno di riscontro individualizzante, non potendo l’affidabilità delle dichiarazioni del chiamante, che pure trovino conferme oggettive negli accertati elementi del fatto criminoso e soggettivi nei confronti di uno dei chiamati, estendersi congetturalmente nei confronti di un altro chiamato sulla base di non consentite, reciproche, inferenze totalizzanti (Sez. 1, n. 1031 del 10/11/2005, dep. 12/01/2006, Benenati, Rv. 233375; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 16/02/2006, Aglieri, Rv. 233095; Sez. 4, n. 5821 del 10/12/2004, dep. 16/02/2005, Alfieri, Rv. 231300).

4.3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata è conforme ai detti principi giuridici, in quanto, con motivazione compiuta ed esente da vizi logici e giuridici, ha puntualmente analizzato, in relazione alla posizione del ricorrente, i plurimi elementi di riscontro esterno "individualizzanti" per ciascuno degli episodi allo stesso contestati e ha fornito analitica motivazione in ordine alla specifica sua partecipazione alle azioni delittuose e alla sua responsabilità, facendo leva sulla chiamata in correità di C.G. e sulla convergenza dei predetti elementi con i dati investigativi della generica e della specifica, con le risultanze tecnico-balistiche e con ulteriori specifici elementi fattuali, già sopra illustrati.

4.4. Il ricorrente contesta in questa parte del ricorso, senza riprendere la censura in rapporto specifico ai fatti delittuosi, la ritenuta idoneità della sentenza di condanna del padre V. G. per simulazione di reato, a valere quale riscontro individualizzante nei suoi confronti.

Nel prendere atto dell’intervenuto giudicato, il ricorrente, in particolare, deduce che è immotivata la ritenuta commissione del fatto da parte del padre per favorirlo perchè "possibile soggetto" che aveva la disponibilità dell’auto Regata utilizzata per il primo episodio delittuoso, e poi data alle fiamme, essendo stata detta autovettura nella disponibilità anche di L.G.P. e di C.G., che l’aveva già avuta più volte in prestito.

La Corte d’appello ha ampiamente analizzato le censure, che la difesa ripropone a questa Corte, osservando con argomentazioni puntuali e coerenti con i dati fattuali esaminati, che, come già rilevato dal Tribunale per i minorenni, senza recepire acriticamente le risultanze del processo definito con la condanna per simulazione di reato di V.G., la simulazione del furto dell’autovettura è avvenuta in favore del ricorrente per allontanare qualsiasi collegamento tra quest’ultimo e l’auto stessa.

Le plurime argomentazioni illustrate dalla Corte di merito per rendere conto del ragionamento probatorio seguito sono logicamente coordinate e consequenziali e realizzano una motivazione tutt’altro che apparente e illogica, che si sottrae alle generiche censure, ripetitive di deduzioni già esaminate e disattese.

4.5. Le censure che riguardano la valenza di riscontri esterni della "messinscena", attribuita al padre di C.G. per screditare il figlio g., autore di dichiarazioni accusatorie a carico del ricorrente V. e di L.G.P., delle dichiarazioni di c.g. e delle dichiarazioni di Ga.Pa., anticipate nella parte preliminare del ricorso, sono riprese dal ricorrente in rapporto specifico ai fatti delittuosi di riferimento. Il loro esame sarà svolto, pertanto, con riferimento agli stessi.

5. E’ destituita di fondamento la censura relativa alla dedotta violazione del disposto dell’art. 238-bis c.p.p., prospettata sotto il rilievo della necessaria prudenza, rimasta nella specie inosservata, che deve presiedere alla valutazione della portata probatoria degli effetti derivabili dalle autonome sentenze riguardanti taluni dei fatti contestati, contestandosi, in particolare, l’intervenuta acritica adesione alle conclusioni delle sentenze di assoluzione di Ca. e Q., anche nella parte in cui "hanno trattato e anticipato l’esito della posizione" del ricorrente.

Si tratta di deduzione aspecifica, consistendo nella ripetizione, in sede di legittimità, delle doglianze esposte con l’atto di appello e non tenendo conto della motivazione della sentenza impugnata.

Questa Corte, con orientamento costante, ha affermato che devono considerarsi non specifici, ma soltanto apparenti, i motivi di ricorso che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, sia perchè il carattere autonomo di ogni atto di impugnazione postula che esso abbia in sè tutti i requisiti voluti dalla legge per provocare e consentire il controllo devoluto al giudice superiore, sia in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, P.M. in proc. Candita e altri, Rv.

244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Giagnorio, Rv. 231708; Sez. 6, n. 12023 del 07/04/1988, dep. 06/12/1988, D’Alterio, Rv. 179874).

La sentenza, nel caso di specie, ha ritenuto che i criteri di valutazione delle sentenze passate in giudicato fissati da questa Corte sono stati rigorosamente osservati dal Tribunale, contrariamente a quanto apoditticamente affermato nel motivo di appello; che sono state legittimamente acquisite plurime sentenze pertinenti al thema probandum passate in giudicato e che l’adesione alle risultanze delle stesse non è stata acritica, essendone stata data adeguata contezza.

Con riguardo specifico alle sentenze relative ai tre episodi criminosi in danno dei Carabinieri, in particolare, la Corte nella compiuta analisi ha evidenziato i riferimenti operati alle vicende oggetto delle dette sentenze, non procedendo, coerentemente con le premesse, ad alcun recepimento del loro contenuto senza completa e critica valutazione delle stesse e delle risultanze probatorie acquisite.

6. Ulteriore vizio di motivazione è dedotto con riferimento alle emergenze della disposta riapertura dell’istruttoria dibattimentale.

La censura attiene da un lato al giudizio di irrilevanza riservato alle dichiarazioni dei collaboratori Co.Ro. e Sp. C. (rectius: Ga.) e dall’altro al giudizio di rilevanza riservato alla conversazione in carcere del 15 gennaio 2009 tra C.G. e il padre C.G., deducendosi che la mancata utilizzazione e l’utilizzazione rispettivamente delle rilevate attività istruttorie denoterebbero chiara carenza motivazionale.

6.1. In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in sede d’appello, l’art. 603 c.p.p. reca diversità di previsione, a seconda che si tratti di prove preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o fenomenico, ovvero di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio.

Nel primo caso, il giudice d’appello deve disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti; nel secondo, deve rinnovare l’istruzione, osservando i soli limiti del diritto alla prova e dei requisiti della stessa.

Con riguardo alla prima ipotesi, in considerazione del principio di presunzione di completezza dell’istruttoria compiuta in primo grado, la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti. Pertanto, in caso di rigetto della richiesta avanzata dalla parte, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d’appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all’affermazione o alla negazione di responsabilità dell’imputato (tra le altre, Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009, dep. 21/04/2010, Pacini, Rv. 246859; Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Messina, Rv. 245009; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, dep. 06/02/2004, P.G. in proc. Ligresti, Rv. 229666; Sez. 5, n. 8891 del 16/05/2000, dep. 08/08/2000, Callegari, Rv. 217209).

In entrambe le ipotesi la valutazione della prova deve essere condotta secondo i criteri di cui all’art. 192 c.p.p., senza che sulla stessa valutazione incidano le ragioni della disposta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

6.2. Nel caso di specie, in accoglimento dell’istanza della difesa dell’appellante V., la Corte ha disposto l’audizione del collaboratore di giustizia Co.Ro., che, nel corso dell’interrogatorio del 16 febbraio 2001 davanti al P.M. di Genova, aveva riferito in merito a sue conoscenze, apprese da A. G., in ordine agli esecutori materiali del duplice omicidio dei Carabinieri F. e G., e ha disposto nel contempo l’audizione anche di A.G. indicato quale fonte di conoscenza del collaboratore.

Dalla lettura delle dichiarazioni rese da Co. dinanzi alla Corte il 20 novembre 2003, riportate integralmente nella sentenza d’appello, risulta che lo stesso ha negato di conoscere alcun particolare relativo al duplice omicidio sul quale è stato sentito, non negando di avere reso dichiarazioni al P.M. ma precisando di non ricordarne il contenuto. A. a sua volta ha negato di avere fatto confidenze di qualsiasi tipo a Co..

La conclusione cui la Corte è pervenuta, all’esito di articolata ricostruzione delle dichiarazioni fatte da entrambi e della valutazione della deduzione difensiva della plateale reticenza da parte di Co., nel senso della mancata acquisizione di prove e neppure di labili elementi indiziari utili a contrastare la tesi accusatoria relativa alla commissione del duplice attentato da parte di V., non è frutto di motivazione apparente, e non è, quindi, immotivata, come dedotto dalla difesa.

Essa va considerata come apprezzamento di merito immune da censure in questa sede.

6.3. E’ enunciata dal ricorrente la censura anche in ordine alla valutazione del "nuovo" introdotto dal collaboratore Sp. C. (rectius: Ga.), senza tuttavia nulla osservare riguardo.

La Corte di merito ha, in ogni caso, dato atto che dall’audizione del collaboratore non era stato acquisito alcun elemento utile a sostenere la totale estraneità dell’imputato all’attentato dei Carabinieri F. e G., avendo lo stesso escluso di essere a conoscenza di eventuali collegamenti tra gli attentati ai Carabinieri di Roma che egli avrebbe dovuto compiere e quelli commessi in Calabria e di non conoscere nomi di soggetti calabresi coinvolti negli stessi attentati.

6.4. Il giudizio di rilevanza riservato dalla Corte di merito alla conversazione in carcere del 15 gennaio 2009 tra C.G. e il padre C.G., contenente riferimenti e commenti sull’andamento del processo in corso presso la Corte d’appello e sulla responsabilità dell’imputato in ordine ai fatti contestatigli, e pronostici sulla decisione finale e sulla tenuta delle tesi difensive dell’imputato, e ritenuta di "formidabile valenza indiziaria" nei confronti dello stesso, è contestato dal ricorrente per le perplessità derivanti dal rilievo che i predetti C. sono tornati sull’argomento, pur avendo certezze della storicità dei fatti e dei loro autori da quindici anni.

La deduzione espressa in termini di perplessità non è censura rientrante nell’elenco dei casi di ricorso, disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come doglianza non consentita ai sensi del comma 3 del detto articolo.

7. E’ infondata la dedotta violazione del D.P.R. n. 448 del 1988, art. 9 per l’omesso espletamento di indagine conoscitiva volta ad acquisire elementi sulle condizioni personali, familiari e sociali dell’imputato, minorenne all’epoca dei fatti, per accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità.

Si tratta, infatti, di una richiesta che non risulta sottoposta nè al giudice di primo grado nè, sotto il profilo della contestata inerzia del giudice di primo grado come vizio della decisione, al giudice d’appello, e non può trovare ingresso in questa sede.

Del tutto corretta è la motivazione relativa alla determinazione della pena, determinata dai Giudici di merito, sulla scorta dei criteri di cui all’art. 133 c.p., avendo riguardo all’imponente gravità delle azioni, consistite nell’aggressione alla vita altrui con l’uso di armi micidiali in ristretto arco temporale.

Le censure del ricorrente, non prive di genericità opponendosi a tale complessiva valutazione la sua giovane età e i probabili influssi negativi derivatigli dal coinvolgimento con maggiorenni, non offrono elementi specifici di possibile diversa valutazione.

Il diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato sulla gravità estrema delle condotte e sulla personalità negativa del ricorrente, emergente dalle specifiche condotte contestate in questo processo, dalle ulteriori iscrizioni a carico e dalla condanna per tentata rapina, è stato genericamente contestato con il mero richiamo alla violazione dell’art. 62-bis c.p., inidoneo a dare contenuto concreto a motivo di censura.

8. Infondate sono le censure mosse con riguardo al delitto di tentato omicidio nei confronti di P.V. e R.S., di cui al capo A).

8.1. E’ proposta la censura concernente l’errata applicazione del disposto di cui all’art. 238-bis c.p.p., sul rilievo dell’acritico e ripetuto richiamo, da parte della sentenza impugnata, della sentenza emessa dalla Corte d’assise di Reggio Calabria nei confronti dei coimputati maggiorenni, fatto senza la verifica della storicità del fatto, oggetto della decisione della diversa sentenza, e della sua utilizzabilità, e con la condivisione di passaggi della motivazione, che ha comportato l’anticipazione – nei confronti del ricorrente – del giudizio di colpevolezza.

Tale deduzione è posta dal ricorrente, in particolare, in relazione al dato fattuale attinente al numero delle persone (due), presenti nell’auto Regata, che si assume recepito in sede di merito, senza analisi critica, in contrasto con le diverse e non univoche risultanze processuali, rappresentate dalle dichiarazioni dei due Carabinieri non precise nella indicazione del numero degli occupanti, avendone essi notati due senza escludere la presenza di altre persone, e dalla condivisa chiamata in correità di C. G., che, ribadita la presenza nell’auto di lui stesso e dei maggiorenni Q. e Ca., ha solo aggiunto V..

8.2. Il ricorrente nella illustrazione della censura parte dall’errore di fondo di ritenere la motivazione della sentenza di primo grado con riferimento al delitto di cui al capo A), riportata dalla Corte d’appello nella propria sentenza dalla p. 135 alla pag.

180, come motivazione in risposta alle censure mosse con l’atto di appello, e non invece come esposizione della ricostruzione del fatto e del percorso argomentativo della sentenza di primo grado in vista della valutazione delle censure svolte con i motivi di gravame e nei limiti delle stesse.

Nella valutazione del quinto motivo di appello – relativo alla inidoneità delle dichiarazioni dei Carabinieri P. e R. a costituire elemento di riscontro alla chiamata in correità operata da C.G. nei confronti del ricorrente, per avere gli stessi indicato in due le persone che erano a bordo dell’auto, mentre C., nel corso dell’udienza del 30 giugno 1995, aveva finito con l’indicare in quattro le persone presenti a bordo dell’autovettura, avendo ribadito la presenza nell’auto di lui stesso e dei maggiorenni Q. e Ca. aggiungendovi il ricorrente – la Corte ha svolto un articolato ragionamento probatorio.

E’ stato, infatti, argomentato che la rilevata contraddizione, tra il dato rilevato dalla difesa dell’incontroverso accertamento, attraverso le dichiarazioni delle vittime, della presenza di due soggetti a bordo dell’autovettura e le dichiarazioni rese da C., aveva trovato spiegazione coerente e condivisibile nel percorso motivazionale svolto dai primi Giudici, che avevano valutato, senza recepire acriticamente, le osservazioni svolte dalla Corte d’Assise nel processo a carico dei coimputati maggiorenni, e ritenuto, dopo aver apprezzato positivamente il contributo reso dal collaboratore Ga.Pa. in merito alle ragioni per le quali C. non aveva abbandonato la chiamata in correità nei confronti di Q. e Ca., che l’intrinseca attendibilità complessiva di C. permaneva sulla scorta di altri assorbenti parametri, salva la verifica della attendibilità estrinseca delle sue dichiarazioni.

La Corte ha, quindi, ritenuto che, in forza del principio della frazionabilità della chiamata in correità, correttamente applicato con la sentenza di primo grado, la mancanza di prova della compartecipazione di Ca.Ma. e Q.V. nel primo episodio, accertata con sentenza definitiva, e "anzi la falsità della chiamata in correità operata dal C. nei confronti dei due" non comporta la negazione di responsabilità del ricorrente, perchè non vi è un rapporto di causalità necessaria tra la parte falsa e quella rimanente, nè un rapporto di imprescindibile antecedenza logica, mentre la parte del racconto relativa alla partecipazione del ricorrente al fatto di reato in esame ha trovato una serie di riscontri esterni.

A fronte di questo specifico ragionamento probatorio, le deduzioni del ricorrente che, ignorandolo e non censurandolo, si appuntano contro la sentenza di primo grado che, riportata – come prima rilevato – dal Giudice d’appello, richiamano per stralci per trarne argomento di doglianza per violazione del disposto di cui all’art. 238-bis c.p.p., sono del tutto inconferenti non svolgendo censure specifiche avverso la sentenza oggetto di ricorso.

8.3. Ulteriore censura è sviluppata, in ordine al delitto di tentato omicidio nei confronti di P.V. e R.S., di cui al capo A), con riguardo alla presenza del ricorrente a bordo dell’auto Regata unitamente a C.G. il 29 novembre 1993, sostenendosi che la certezza della presenza del ricorrente non è tratta da altro elemento che non sia la dichiarazione di C., al quale è stato "attribuito il compito di riscontrare se stesso", mentre dal modello O.P. 85, redatto dai militari dell’Arma, è risultato che nell’auto con il C., specificatamente identificato, si trovava L.G.P. che, non identificato in mancanza di documenti, aveva confermato la sua presenza in auto.

Anche questa deduzione, che si dirige – attesi gli svolti richiami – contro la sentenza di primo grado, riportata testualmente, agli effetti suddetti, in quella di appello, prescinde dal motivato esame, svolto dalla Corte di merito, con riferimento al motivo di gravame attinente alla non provata presenza del ricorrente in compagnia di C. il 29 novembre 1993, perchè inferita dalle sole dichiarazioni inattendibili di quest’ultimo prive di riscontro.

L’articolato iter motivo, non attinto da specifica censura, non è, pertanto, oggetto delle valutazioni da farsi in questa sede.

8.4. Quanto alla censura relativa alle dichiarazioni di Ga.

P., la Corte di merito, con argomentazioni logicamente articolate e non confuse come dedotto, ha rilevato che la circostanza che Ga. abbia indicato quale partecipe a tutti gli episodi delittuosi contestati L.G., mentre C. ha chiamato in correità quest’ultimo solo per il terzo episodio (tentato omicidio di S. e M.), riguarda la posizione di L.G., e non incide sulla posizione del ricorrente, che, peraltro, assistita da robusto quadro indiziario, prescinde dalle dichiarazioni di Ga..

Tali dichiarazioni sono state coerentemente valutate idonee a riscontrare lo scenario esistente dietro l’iniziale reticenza di C.G. nei confronti di V.C., che voleva preservare per non compromettere il rapporto sentimentale con la sorella, perchè risalenti al novembre 1994, e quindi antecedenti alla collaborazione piena di C. avvenuta il 30 giugno 1995, e alla rappresentazione da parte dello stesso delle ragioni del mancato iniziale coinvolgimento del chiamato in correità. 8.5. Le censure mosse in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio, disattese dalla Corte d’appello perchè ritenute estremamente generiche, sono riproposte sul rilievo della mancanza in concreto degli elementi indispensabili del tentativo, legati alla idoneità e alla inequivocità degli atti compiuti, denotanti la volontà omicida, e in relazione alla funzionalità della esplosione dei colpi alla sottrazione al controllo da parte dei Carabinieri, alla mancata esplosione di colpi contro l’auto degli stessi e i suoi occupanti, e alla ubicazione dei fori sul parabrezza di detta auto provocati da colpi esplosi dall’interno dell’abitacolo e dal basso verso l’alto.

Si tratta di censure che non solo mantengono il carattere della genericità rilevato dalla Corte di merito, ma tendono anche a introdurre in questa sede una diversa analisi valutativa, che, inerendo al merito del giudizio ricostruttivo del fatto, è estranea al tema di indagine legittimamente proponibile come oggetto di censura di legittimità. 9. Destituite di fondamento sono le censure mosse con riguardo al delitto di duplice omicidio nei confronti dei Carabinieri F. A. e G.G. del 18 gennaio 1994, di cui al capo E).

9.1. La prima censura attiene alla violazione dei criteri di valutazione della prova sul rilevo che il giudizio di colpevolezza del ricorrente si è basato sulla sola, e del tutto generica, chiamata in correità di C.G. del 30 giugno 1995, senza la possibilità di desumere elementi dalla sentenza di assoluzione dei maggiorenni resa dalla Corte d’assise che, ritenuto non credibile C., ha proceduto a considerazioni "personalissime" sulla inconciliabilità con la capacità criminale di ciascuno dei comportamenti attribuiti da C., e senza che la credibilità del racconto abbia trovato conferma nelle giustificazioni date da C. alla trasferta a Palmi (acquisto di armi da parte di Q., fornitura delle armi da parte di Ca., sistemazione del percussore del mitra e acquisto delle armi da parte del ricorrente V., interesse alle armi di L. G.).

La seconda censura attiene alla inidoneità di alcuni elementi a costituire riscontro individualizzante.

9.2. La Corte di merito nell’analizzare la prima serie di censure ha coerentemente ritenuto che il già espresso positivo giudizio di attendibilità intrinseca di C. coinvolgesse, in via generale, anche le dichiarazioni dallo stesso rese con riferimento al secondo episodio di cui al capo E), e che la ragione del viaggio di C. verso Palmi fosse sufficientemente sorretta dall’esistenza di una trattativa per l’acquisto di armi presso Ca., resa credibile dall’interesse dei soggetti coinvolti, emerso dalle conversazioni intercettate, nel settore della compravendita delle armi.

L’analitica valutazione espressa, con riferimento alle specifiche circostanze dedotte come incidenti sulla inverosimiglianza del racconto di Ca., è sorretta da argomentazioni puntuali, non incongrue in rapporto ai dati analizzati, che realizzano una motivazione non apparente e immune da vizi logici, resistente alle mosse censure.

9.3. La valorizzazione da parte della Corte d’appello, in termini di riscontro individualizzante, di specifiche circostanze, contestate dal ricorrente per l’assenza delle ritenute caratteristiche, è stata del pari correttamente argomentata.

Secondo il ricorrente, che ripercorre le censure svolte con l’atto di appello, non costituiscono riscontro individualizzante in relazione alla sua posizione il rinvenimento dell’auto Astra utilizzata per il delitto e dell’arma M12 e la coincidenza delle modalità dell’episodio indicate da C. con i dati di generica dello stesso, in quanto circostanze riguardanti in via esclusiva C. come noto sicuro autore del fatto. Nè costituiscono riscontro individualizzante la modifica del percussore del mitra, che giustificava la presenza di V., mai avvenuta, l’uso della stessa arma nei delitti, l’identità del teatro di azione degli episodi delittuosi, le dichiarazioni di Ga.Pa..

Le deduzioni difensive svolte, che oppongono una diversa analisi valutativa, o ripercorrendo inammissibilmente le deduzioni svolte con i motivi di appello e ignorando il motivato esame svolto dal Giudice d’appello, o traendo conclusioni apodittiche dallo svolto esame, o riproponendo una lettura alternativa a quella condotta, sono del tutto infondate.

Vengono in considerazione, sotto il primo profilo, le deduzioni che attengono alla mancata modifica del percussore del mitra, all’utilizzo della stessa arma nei tre episodi delittuosi, alla identità del teatro di azione degli stessi.

Quanto al secondo profilo, si rileva che il ricorrente, nel prendere atto della esclusione, ritenuta dalla Corte, della valenza quale riscontro individualizzante delle dichiarazioni del teste F. F., proprietario dell’auto Astra rubata, per la certa individuazione in C. dell’autore del furto e per la mancata individuazione del complice in V. per le diverse fattezze fisiche dello stesso rispetto a quelle descritte del presunto complice, contesta l’ipotizzata presenza del terzo complice, perchè "non ipotizzato" dal teste, omettendo di rilevare che la Corte, argomentando in ordine alla valenza della non possibile valorizzazione delle dichiarazioni del teste in chiave di riscontro individualizzante, ha ritenuto che le stesse non incidessero sul quadro probatorio a carico del ricorrente, avuto riguardo alla non configurabilità del furto dell’autovettura quale fase propedeutica alla commissione del delitto di omicidio, e ha ritenuto credibile la partecipazione al furto dell’autovettura di terza persona, diversa dal ricorrente, vista dal teste unitamente a C..

Sotto il terzo profilo il ricorrente, che richiama le dichiarazioni di Ga.Pa., rappresenta l’impossibilità di riservare alle sue dichiarazioni la funzione di riscontro individualizzante alle dichiarazioni di C.G., avendo il predetto riferito solo sulle confidenze ricevute in carcere da L.G., dichiaratosi responsabile dei tre episodi con vago cenno alla posizione di V., e avendo C. chiamato in correità L. G. solo in relazione al terzo episodio del (OMISSIS), e rappresenta la necessaria "diversa attenzione" da riservare alle dichiarazioni dello stesso Ga., in merito all’idea maturata in carcere, "ad iniziativa di indiscusso capo cosca", di attribuire a V. la responsabilità dei tre fatti per la sua minore età, meritevole di pena meno grave, e al rifiuto sdegnoso del padre pure detenuto, sottintendendo tale idea la conoscenza della estraneità del minore ai fatti.

La Corte d’appello ha condiviso il rigore valutativo dell’apporto collaborativo di Ga.Pa. da parte del Tribunale dei minorenni, quanto all’affidabilità della chiamata e alla sua idoneità a riscontrare la chiamata in correità di C. G. nei confronti del ricorrente, alla luce dei parametri indicati da questa Corte (attendibilità intrinseca della chiamata, indipendenza delle chiamate e assenza di reciproche influenze).

Essa ha logicamente motivato, a fronte delle censure difensive, in merito all’ampiezza dell’apporto collaborativo del Ga., non ispirato alla protezione dell’amico Ca., in merito alla rappresentata particolareggiata conoscenza da parte dello stesso di vicende relative al ricorrente, e in merito alla sua inedita dichiarazione quanto all’iniziale atteggiamento di protezione verso il ricorrente di C. (da quest’ultimo reso noto solo dopo sei mesi, nel corso dell’interrogatorio del 30 giugno 1995).

Nè la Corte ha trascurato di motivare circa la mancata allegazione di ragioni calunniatorie a fondamento delle dichiarazioni rese da Ga. e l’antecedenza delle stesse nei confronti del ricorrente – quanto alla sua partecipazione al duplice omicidio dei Carabinieri F. e G. – rispetto a quelle rese da C., pervenendo ai rilievi conclusivi della validità e inattaccabilità del riscontro delle dichiarazioni di C. G. da parte di quelle, sul punto coincidenti, rese da Ga., e della non rilevanza nei confronti del ricorrente della non collimanza delle dichiarazioni di Ga. e di C. nei confronti di L.G., chiamato in reità da Ga. e non in correità da C..

9.4. La sentenza impugnata, che, alla luce dei canoni di valutazione probatoria ripetutamente affermati da questa Corte, ha, con motivazione esente da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni, diffusamente analizzato le dichiarazioni di Ga.Pa., rappresentando coerentemente le ragioni per cui le ha ritenute attendibili e idonee a valere quale riscontro esterno alle dichiarazioni di C.G., anche alla luce delle deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi di appello, non può, quindi, dirsi mancante in relazione alla valutazione delle risultanze processuali, nè contraddittoria o illogica.

Gli inviti della difesa a una rilettura in diversa prospettiva logica degli elementi già compiutamente valutati e a una rivalutazione critica, ritenuta più logica, del contenuto di singole affermazioni, tratte da dichiarazioni di maggiore ampiezza e complessità e riproposte in una lettura congetturale, non possono trovare spazio in sede di legittimità.

Questa operazione trasformerebbe, infatti, questa Corte in ulteriore giudice del fatto e le impedirebbe di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti dei giudici di merito, cui le parti non prestino autonoma acquiescenza, abbia fatto corretta applicazione ed esatta interpretazione delle norme applicate e non sia puramente assertiva o palesemente incongrua.

10. Infondate sono anche le censure mosse con riguardo al delitto di tentato omicidio nei confronti di M.B. e S. S. del 1 febbraio 1994, di cui al capo H).

10.1. La prima censura attiene ancora alla violazione dei criteri di valutazione della prova sul rilievo che, anche per il terzo episodio, il giudizio di colpevolezza del ricorrente si è basato sulla chiamata in correità di C.G., e sul rilievo, ulteriormente ribadito, della mancanza di riscontri alle dichiarazioni dallo stesso fatte il 30 giugno 1995, quando, aggiungendo la figura del ricorrente V. come soggetto responsabile, ha confermato la presenza sul luogo dei fatti di Ca.Ma., Q.V. e L.G.P., e ha indicato la ragione di detta presenza nella necessità per lo stesso V. e per L.G. di acquistare armi e nella fornitura delle stesse da parte di Ca., con la mediazione di Q..

La sentenza di merito, secondo il ricorrente, basandosi sulle dichiarazioni di C., ha ritenuto presenti Ca. e Q. in contrasto con la sentenza della Corte d’assise di Reggio Calabria nei confronti dei maggiorenni, per il resto totalmente condivisa e non solo nei limiti del fatto ai sensi dell’art. 238-bis c.p.p..

10.2. Il ricorrente anche nella illustrazione della prima censura attinente al terzo episodio ritiene erroneamente che la motivazione della sentenza di primo grado, riportata dalla Corte d’appello nella propria sentenza dalla p. 266 alla pag. 314, sia motivazione in risposta alle censure mosse con l’atto di appello.

La Corte ha, infatti, chiarito di aver fatto precedere, metodologicamente, all’esame dei motivi di doglianza e alle sue valutazioni l’integrale richiamo della sentenza di primo grado nella parte relativa all’episodio in esame, attuato riportandone integralmente il contenuto nella sentenza d’appello.

Pertanto, le censure mosse dal ricorrente, che richiamano anche stralci della sentenza di primo grado, riportata dal Giudice d’appello (pag. 284, 302), per trarre argomento di censura della sentenza impugnata, sono censure aspecifiche e apparenti, attesa la loro autonomia dalla sentenza oggetto di ricorso, che nei limiti del devolutum ha esaminato le doglianze svolte nella sede dell’appello.

La Corte d’appello ha dato coerente e logica risposta alla censura difensiva che lamentava l’inconciliabilità della sentenza di primo grado, che aveva affermato la responsabilità penale di V. per il duplice tentato omicidio S. – M., e quella della Corte d’assise di Reggio Calabria, confermata in sede di appello, che era pervenuta all’affermazione della responsabilità, in relazione al medesimo episodio, di C.G. e di L.G., e aveva, quindi, ritenuto la presenza sul posto di due persone, cui doveva aggiungersi una terza persona, V.C., per effetto della pronuncia del Tribunale per i minorenni. La stessa Corte, esaminando la quarta censura svolta dalla difesa in ordine all’avvenuta assoluzione di Ca. e Q., ha, poi, ribadito, richiamando quanto già rappresentato nell’esame del secondo episodio, che l’assoluzione dei predetti per l’insussistenza di riscontri estrinseci alla loro chiamata in correità non influisce negativamente, in modo automatico, nei confronti dei soggetti ulteriori, chiamati in correità da C.G., in presenza dei riscontri estrinseci alla chiamata.

Sulla motivazione spesa al riguardo dalla Corte di merito il ricorrente avrebbe potuto chiedere, svolgendo puntuali censure, l’intervento di questa Corte, e non, invece, come avvenuto, sulla motivazione della sentenza del primo Giudice, senza neppure censurare l’omessa motivazione da parte della Corte di doglianze ritualmente alla stessa prospettate.

10.3. La sentenza d’appello, si rileva in ricorso, ha ritenuto erroneamente che C.G. sia stato riscontrato estrinsecamente dal fratello c.g., che non ha riferito in merito all’episodio delittuoso, ma in merito a quanto rilevato ad alcune centinaia di metri di distanza nel veder passare il ricorrente V. con un fucile e L.G. con un mitra sotto il giubbotto davanti a casa sua, poi precisando di avere visto i predetti in garage, di aver notato che uno aveva il fucile e di averli visti scappare in auto. Nè, nonostante l’affermazione di c.g. di avere inteso con le sue dichiarazioni favorire il fratello G., sono state tratte le dovute conclusioni circa l’impossibilità di ritenerle riscontro estrinseco della chiamata in correità di quest’ultimo.

Ancora una volta il ricorrente – nel proporre le censure – non assume come oggetto dell’impugnazione la sentenza di appello, ma quella di primo grado, che come già detto, è stata riportata – nel suo integrale contenuto nella parte relativa all’episodio in esame – in quella di secondo grado, con l’effetto conseguentemente perseguito dell’alterazione dell’effetto devolutivo del mezzo di impugnazione utilizzabile, e utilizzato, contro la sentenza oggetto del ricorso.

Tale rilievo, emergente dal contenuto delle censure, è evidenziato dai riferimenti alle pagine della sentenza richiamate a conforto (p. 267 – 268, 278, 292, 296, 301, 308), comprese nella parte della sentenza d’appello in cui è riportato il contenuto della prima sentenza (dalla p. 266 alla pag. 314).

10.4. E’ rimasto pertanto non contestato il coerente iter motivo, seguito dalla Corte per rispondere al motivo di doglianza proposto dalla difesa in merito alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni di c.g. e alla inidoneità delle stesse a valere quale riscontro estrinseco alle dichiarazioni di C. G..

Tale percorso argomentativo, logicamente articolato, è partito dalle dichiarazioni dal "tenore inequivoco" rese da c.g. nella fase delle indagini preliminari, e in particolare nel verbale di confronto con il fratello G. del 18 maggio 1994, e all’udienza dibattimentale del 7 aprile 1995, confermative del racconto fatto poi dal fratello Giuseppe all’udienza del 30 giugno 1995; ha analizzato la compatibilità delle dichiarazioni dei due fratelli con i "dati di generica" acquisiti in relazione all’episodio in esame, tratti dalle risultanze dei sopralluoghi e degli accertamenti tecnico-balistici sui diciassette colpi cal. 8 parabellum sparati, come indicato da C.G., con un mitra M12, utilizzato anche nei due precedenti episodi, e sui due colpi di fucile cal. 12; ha preso in esame il verbale di individuazione dei luoghi indicati da c.g., e coincidenti con i rilievi dei sopralluoghi effettuati nei giorni successivi al duplice attentato, e le conferme, derivate dagli esiti dei sopralluoghi, alla circostanza dallo stesso riferita in merito alla ripetuta esercitazione con armi del ricorrente e di L. G..

10.5. Secondo il ricorrente è da escludere anche che costituiscano riscontri estrinseci alla chiamata in correità di C. G. la "messinscena", attribuita al padre C.G. e consistita nella esibizione della certificazione medica, rilasciata dal dott. Mo., attestante la patologia psichiatrica di c.g., e le generiche dichiarazioni rese dal collaboratore Ga.Pa..

La genericità della censura che, dopo avere richiamato le argomentazioni del primo Giudice (pag. 298, 299 e 308 della sentenza d’appello che, come già detto, tra le pag. 266 e 314, ha riportato il testo di quella di primo grado relativo all’episodio in esame), ritiene le stesse contraddittorie e in insanabile contrasto con le ulteriori deduzioni svolte in ordine alla falsità delle dichiarazioni del teste in favore del fratello C.G., non è qualificabile quale specifica censura inquadrabile nella previsione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1.

Non solo non si rappresenta in quale punto della vicenda e per quale ragione sussista la dedotta contraddittorietà o sia ravvisabile l’enunciato insanabile contrasto, ma prima ancora non si contesta in alcun modo la ricostruzione della vicenda e la diffusa analisi delle risultanze processuali svolte dalla Corte di merito, che, illustrando e coerentemente giustificando la ricostruzione degli elementi fattuali, sistematicamente organizzati e logicamente correlati, sulla base dei dati probatori acquisiti, anche alla luce dei rilievi difensivi formulati con i motivi di appello, è pervenuta alla conclusione della conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni di c.g., derivante dalla immediata strategia posta in essere dalla famiglia C., di concerto con quella V., per screditarne la credibilità per motivi psichiatrici.

Tale tentativo di accreditare la tesi della inattendibilità di c.g. non ha costituito peraltro, secondo la Corte di merito, l’unica strategia delle famiglie V. – C. per allontanare i sospetti dal ricorrente, per avere i familiari di C.G., e in particolare il padre G. e il fratello F., che hanno riportato condanna definitiva per favoreggiamento, accreditato l’alibi fornito dal ricorrente V. di aver cenato, unitamente a loro, la sera del terzo episodio.

10.6. L’ultima censura attiene alla ribadita inidoneità delle dichiarazioni di Ga.Pa. a costituire riscontro individualizzante delle dichiarazioni di C.G., sotto i profili nuovamente rappresentati che:

– le dichiarazioni di Ga. non sono state considerate dagli inquirenti, che non hanno sottoposto a indagini L.G. per i primi due episodi, – C. non ha mai chiamato in correità il predetto per i primi due episodi;

– Ga., riferendo confidenze ricevute da L.G.P. in ordine alla sua partecipazione ai tre episodi e facendo "incidentalmente" capire che vi ha partecipato il ricorrente V., non ha potuto riscontrare C. in "ciò che non ha mai detto";

– è incomprensibile il passaggio della motivazione della sentenza che distingue le posizioni processuali del ricorrente e di L. G. e ritiene fondata la censura solo per il secondo.

Tale censura non riguarda la motivazione svolta dalla sentenza d’appello con riguardo al terzo episodio, in relazione al quale vi è in sentenza solo un richiamo alle ragioni di attendibilità delle dichiarazioni del collaboratore Ga., già rappresentate per il secondo episodio, fondanti la valutazione della chiamata in reità del ricorrente quale ulteriore riscontro alla chiamata in correità di C.G.. Le argomentazioni difensive hanno, tuttavia, già formato oggetto di analisi da parte di questa Corte e alla stessa si rinvia.

11. Il ricorso totalmente infondato, alla stregua delle considerazioni svolte, deve essere, pertanto rigettato.

12. Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, dovendo applicarsi, per analogia "in bonam partem" il disposto di cui al D.Lgs. 28 luglio 2009, n. 272, art. 29, che esonera la persona minore al momento della commissione del fatto, in caso di condanna, dal pagamento delle spese processuali (Sez. 7, n. 30256 del 06/07/2006, dep. 12/09/2006, Manis, Rv. 234868, che ha applicato il principio alle spese del procedimento nel caso di remissione della querela; Sez. 4, n. 44481 del 12/07/2004, dep. 16/11/2004, Improta e altri, Rv. 229128, che ha applicato il principio alle spese del procedimento incidentale di riesame).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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