T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 29-04-2011, n. 785 Espropriazione, Indennità di espropriazione Occupazione d’urgenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente è proprietaria di un’area di mq. 77 sita in Grottaglie (alla via Ferraris) e di un contiguo fabbricato adibito a civile abitazione. In particolare, mentre l’area è integralmente posta al di sotto della quota del tracciato di una strada comunale (via Ferraris), l’abitazione è in parte anch’essa sottostante (per due livelli) ed in parte posta al di sopra della quota della strada stessa (per ulteriori due livelli).

A causa di uno smottamento del terreno sovrastante la suddetta area e del crollo di un muro di contenimento, l’amministrazione comunale da un lato deliberava di procedere a lavori di somma urgenza per il ripristino dei luoghi, dall’altro lato proponeva l’acquisto dell’area non edificata di mq. 77 (onde poter eseguire tali lavori) per una somma che la ricorrente riteneva tuttavia di non accettare.

A seguito della comunicazione del decreto di occupazione di urgenza in data 9 febbraio 2010, la ricorrente apprendeva altresì che l’amministrazione comunale: a) con deliberazione n. 87 del 13 febbraio 2009, aveva approvato i "lavori di bonifica, di messa in sicurezza e di ricostruzione del tratto di strada di via Ferraris"; b) con successiva deliberazione n. 521 del 10 settembre 2009 aveva approvato il relativo progetto esecutivo.

Nel frattempo i lavori, consistenti nella colmatura dell’area libera sino al livello strada, sono stati ultimati. La suddetta colmatura ha peraltro interessato anche il fabbricato contiguo e, in particolare, un fianco di questo (sempre sino al livello strada), con conseguente muratura di alcune luci e vedute.

2. La proprietaria dell’area e del fabbricato interponeva dunque gravame per violazione delle disposizioni in materia di espropriazione nella parte in cui difetterebbe la variante al PRG (trattandosi di area edificabile), il vincolo preordinato all’esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità. Inoltre non sarebbe mai stato comunicato l’avvio del relativo procedimento, in violazione degli artt. 11 e 16 del DPR n. 327 del 2001 (testo unico espropriazioni). Chiedeva inoltre la rifusione di tutti i danni subiti per la illegittima apprensione del bene, nonché per la chiusura di luci e vedute sul fabbricato esistente. Chiedeva infine il risarcimento per una ulteriore voce di danno da contatto sociale qualificato, nonché la corresponsione degli interessi moratori a partire dalla occupazione sine titulo del bene.

3. Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2011 parte ricorrente formulava le proprie conclusioni e la causa veniva infine trattenuta in decisione.

04. Tutto ciò premesso il ricorso merita accoglimento nei sensi e nei limiti di seguito indicati.

4. Quanto alla mancanza di variante, vincolo e dichiarazione di pubblica utilità si osserva che, trattandosi di opere di bonifica e messa in sicurezza – come si evince dalla deliberazione consiliare del 10 settembre 2009 – incidenti sul fondo della gravina di San Giorgio (caratterizzata da una particolare situazione geologica e geomorfologica del sottosuolo), risulta applicabile alla fattispecie il combinato disposto di cui all’art. 8 della legge regionale n. 3 del 2005 – a norma del quale in caso di opere di difesa del suolo l’approvazione del relativo progetto costituisce variante allo strumento urbanistico e apposizione del vincolo preordinato all’esproprio senza la necessità di approvazione regionale – ed al successivo art. 10 della citata legge regionale, secondo cui con la stessa approvazione del progetto si intende altresì disposta la dichiarazione di pubblica utilità (cfr. anche art. 12 DPR 327 del 2001).

5. Osserva tuttavia il collegio come sia stata omessa, d’altro canto, ogni forma di comunicazione di avvio del procedimento espropriativo, con conseguente violazione degli artt. 11 e 16 del testo unico espropriazioni, e ciò dal momento che la ricorrente ha avuto effettiva conoscenza della procedura espropriativa soltanto con il decreto di occupazione di urgenza del 9 febbraio 2010, dunque in uno stadio molto avanzato della stessa e, in particolare, in una fase ove sarebbe stato praticamente impossibile incidere sulle opzioni tecniche già formulate e soprattutto adottate dalla amministrazione comunale.

La violazione delle suddette garanzie appare tanto più evidente ove soltanto si consideri che non si può ritenere applicabile alla ipotesi in considerazione la disposizione di cui all’art. 21octies, avendo prospettato la relazione del tecnico nominato dal Comune tre diverse soluzioni alternative alla problematica concernente il suddetto smottamento, senza prevedere in alcun caso l’acquisizione dell’area de qua (soluzione che invece il Comune avrebbe adottato per aspetti legati al risparmio di spesa).

Nei sensi sopra individuati la procedura espropriativa avviata con i suddetti atti comunali deve dunque ritenersi illegittima.

6. Rilevata l’assenza di una valida procedura espropriativa, occorre a questo punto stabilire quale possa essere il destino dell’opera (ormai realizzata) e del suolo ove la stessa insiste.

E ciò soprattutto a seguito della declaratoria di incostituzionalità, avvenuta con sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 2010, dell’art. 43 del DPR n. 327 del 2001 (in tema di acquisizione sanante).

Ed infatti, per giurisprudenza costante non si potrebbe procedere alla mera condanna al risarcimento dei danni, pur a fronte della irreversibile trasformazione del fondo a seguito della realizzazione dell’opera pubblica, senza previamente accertare l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata (cfr. TAR Lazio Roma, Sez. II quater, 14 aprile 2011, n. 3260; T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. I, 1° luglio 2010, n. 1418).

Da qui la necessità di individuare un passaggio intermedio, diretto ad attestare l’acquisto della proprietà del bene da parte dell’ente espropriante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830; T.A.R. Campania Napoli, Sez. V, 5 giugno 2009, n. 3124).

7. Tanto evidenziato, soccorre a tale riguardo quanto affermato dalla sentenza di questa sezione n. 2683 del 24 novembre 2010.

7.1. In essa si afferma in estrema sintesi che:

a) l’opera realizzata in assenza di una valida procedura espropriativa veniva acquisita, in un primo tempo, per mezzo dell’istituto dell’accessione invertita (cfr. Cass., sez. un., 26 febbraio 1983, n. 1464);

b) a seguito dell’intervento della Corte di Strasburgo, detto istituto è stato ritenuto in contrasto con l’art. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, in particolare, con il principio di legalità (il quale impone l’esistenza di norme di diritto interno che siano precise, accessibili e prevedibili), nella parte in cui la perdita della proprietà consegue ad un comportamento illecito della PA dal quale la stessa trae vantaggio;

c) il legislatore interno ha dunque cercato di rimediare a ciò mediante l’introduzione dell’art. 43 del DPR n. 327 del 2001, ossia attraverso il richiamato istituto della acquisizione sanante;

d) per la verità, anche tale meccanismo è stato messo in dubbio dalla stessa Corte europea in quanto non può escludersi il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per gli interessati;

e) in ogni caso la Corte costituzionale, con sentenza n. 293 del 2010, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del citato art. 43 per eccesso di delega, dato che la legge n. 50 del 1999 prevedeva soltanto il coordinamento formale del testo delle vigenti disposizioni di carattere sostanziale in materia di espropriazione, non anche l’introduzione di nuovi istituti quali quello in esame;

f) venuto meno l’istituto dell’accessione invertita e quello della acquisizione sanante, "spetta all’interprete individuare la disciplina giuridica delle situazioni in cui sia stata realizzata l’opera pubblica in assenza del compimento nei termini della procedura espropriativa o in assenza di una valida procedura". Ebbene, nella citata sentenza si afferma che deve trovare applicazione, a tal fine, l’istituto della specificazione di cui all’art. 940 c.c., a norma del quale "Se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d’opera. In quest’ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera";

g) l’unico ostacolo alla suddetta interpretazione analogica sarebbe costituito dal fatto che la disposizione civilistica citata si riferisce alle cose mobili e non anche a quelle immobili. Ostacolo che tuttavia può essere agevolmente superato facendo appello ad una nuova concezione della proprietà fondiaria, il cui carattere di assolutezza ha vissuto nel tempo un processo di progressiva mitigazione fino ad attenuarne gli elementi distintivi rispetto alla proprietà mobiliare, tanto da considerare – come espressamente affermato nella stessa sentenza – "l’una e l’altra (ndr. la proprietà fondiaria e quella mobiliare) alla stessa stregua rispetto ad uno stesso fenomeno: quello della modificazione di una cosa in modo talmente incisivo da dar vita ad una cosa che non può essere identificata con quella esistente prima della modificazione", ma soltanto "ad una cosa nuova": ciò che si verificherebbe per l’appunto in caso di realizzazione di opere pubbliche (si pensi ad un’autostrada oppure, come nella specie, ad un opera di bonifica e di messa in sicurezza tale da trasfigurare l’originario assetto dell’area).

7.2. Afferma conclusivamente il TAR, con la sentenza citata, che:

"Per effetto della specificazione del fondo la proprietà dell’opera pubblica viene acquistata, a titolo originario, dall’ente specificatore nel momento in cui l’opera di specificazione è completata, cioè si è avuta la specificazione; questo non in conseguenza di un illecito ma di un istituto che affonda le sue radici nel diritto romano e costituisce un fatto che dà diritto ad un indennizzo (e non un illecito che dà diritto al risarcimento del danno).

Sull’acquisto non influisce quanto può essere ritenuto o meno dal giudice, sicchè le norme che disciplinano il fenomeno sono "precise e prevedibili", così rispettando le indicazioni del giudice di Strasburgo.

Le stesse sono anche "accessibili": quando l’opera è stata realizzata in violazione dei termini fissati, la richiesta indennitaria può essere avanzata nel termine di dieci anni dalla verificazione del fatto; se invece l’opera è stata realizzata a seguito di una procedura successivamente annullata il termine prescrizionale decorre, ex art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, cioè da quando è passata in giudicato la pronuncia che ha annullato gli atti della procedura.

Infine, si deve ricordare che l’indennizzo va necessariamente commisurato al valore venale del bene che per effetto della specificazione non esiste più, cioè il fondo (costituisce il prezzo della materia).

In conclusione, si può affermare che l’acquisizione del suolo per effetto della specificazione concreta un giusto equilibrio fra l’interesse generale e le esigenze della protezione dei diritti fondamentali dei singoli, quale è la proprietà fondiaria".

7.3. A ciò si aggiunga che l’istituto della specificazione, secondo il collegio, si ricollega a quelle situazioni di apprensione del bene riconducibili non solo ad attività amministrativa (ritenuta poi illegittima) ma anche a comportamenti della PA comunque riconnessi all’esercizio del pubblico potere.

8. Per quanto detto, una volta accertato il trasferimento della proprietà del bene – nei sensi di cui si è detto – dalla ricorrente alla PA, va allora accolta la domanda risarcitoria sub specie di domanda indennitaria volta ad ottenere, comunque, la somma corrispondente al valore che il bene avrebbe ora se non fosse stato trasformato.

A questo fine, ai sensi dell’art. 34, quarto comma, c.p.a., il Comune di Grottaglie proporrà alla ricorrente, entro sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, il pagamento di una somma pari al valore venale che il bene appreso avrebbe attualmente in base alla natura edificatoria dello stesso (ossia sulla base delle effettive possibilità edificatorie ammesse dal vigente strumento urbanistico); la commisurazione dell’indennizzo al valore attuale del fondo esclude inoltre l’attribuzione di rivalutazione ed interessi.

A tale voce dovrà aggiungersi quella relativa ai distinti danni derivanti dalla modificazione delle luci e delle vedute del fabbricato contiguo di proprietà della ricorrente medesima.

L’esclusione della illiceità del fatto dell’Amministrazione e la completezza del ristoro assicurato escludono poi l’accoglimento della domanda risarcitoria relativa al danno che i ricorrenti assumono di aver subito, con la privazione del bene, a titolo di contatto sociale qualificato.

Sussistono infine valide ragioni per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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