Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-03-2011) 02-05-2011, n. 16794 nuove prove

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 31 maggio 2010, depositata in cancelleria il 30 giugno 2010, la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza 17 giugno 2008 del Tribunale di Paola, esclusa la contestata aggravante della recidiva, rideterminava la pena in mesi quattro di arresto.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, C.S., sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, impostagli con ordinanza del 27 ottobre 2004 del Tribunale di Cosenza, violava gli obblighi inerenti associandosi a persone pregiudicate e frequentando osterie.

1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle dichiarazioni dei verbalizzanti che avevano proceduto alle annotazioni di servizio e dalle stesse annotazioni di polizia giudiziaria.

2. – Avverso tale decisione, tramite il proprio difensore avv. Giuseppe Bruno, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il C. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:

a) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 129 e 507 c.p.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b); nonostante che fosse stata avanzata in primo grado richiesta di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. posto che le annotazioni di polizia giudiziaria dei verbalizzanti erano state illegittimamente acquisite per non avere il Pubblico Ministero indicato quali testi i verbalizzanti, il primo giudice aveva provveduto non solo ad ammettere le relazioni di servizio, ma anche ad assumere ex art. 507 c.p.p. gli agenti che avevano proceduto alla loro redazione. La Corte territoriale, nel rigettare la relativa eccezione formulata nei motivi di gravame, violava pertanto il citato art. 507 c.p.p. avendo potuto provvedere alla citazione dei verbalizzanti solo quale integrazione di una istruttoria è stata già svolta anche solo parzialmente e non quando la stessa è del tutto mancante. b) mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); gli incontri con i pregiudicati erano risultati fugaci ed occasionali, senza che fosse ravvisabile alcuna frequentazione, dovendo peraltro considerare che il bar ove il C. si recava era quello della sorella, sicchè era alla stessa che faceva visita.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1 – Il primo motivo di gravame, in particolare, non è fondato e deve essere respinto.

3.1.1 – Le categorie processuali della nullità e della inutilizzabilità di un atto o di una prova sono improntate al rigoroso criterio della previsione legislativa, nel senso che la norma deve stabilire specificamente una delle sanzioni processuali menzionate come conseguenza di una determinata violazione (Sez. 6, 6 novembre 2009, n. 2424, rv. 245808, S.); nessuna norma, in altri termini, preclude al giudice l’assunzione di prova ai sensi dell’art. 507 c.p.p. la cui legittimazione è parametrata soltanto all’esigenza e al dovere del giudice di ricercare la verità sostanziale e, inoltre, il ricorso all’integrazione probatoria di ufficio, effettuato prima che sia terminata l’acquisizione delle prove, costituisce una mera irregolarità procedimentale che, in mancanza di una specifica previsione normativa, non determina alcuna nullità o inutilizzabilità (cfr. Cass., Sez. 5, 11 maggio 2010, n. 26163, Bontempo, rv. 247896; Sez. 6, 17 giugno 2004, De Masi, rv. 229761).

Nella fattispecie, peraltro, deve osservarsi, era stata acquisita l’annotazione di polizia giudiziaria sicchè sussisteva un principio di prova che, sebbene non utilizzabile processualmente ai fini della affermazione della responsabilità, autorizzava tuttavia il giudicante a operare l’integrazione ai sensi dell’art. 507 c.p..

3.1.2 – Ma anche a prescindere dalle superiori considerazioni, vanno sulla questione senz’altro richiamate, a totale confutazione delle doglianze difensive, le decisioni a Sezioni Unite di questo Supremo Collegio secondo cui va riconosciuto al giudice il potere di disporre anche di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 507 c.p.p. anche nel caso in cui non vi sia stata in precedenza alcuna "acquisizione delle prove" (Sez. U, 6 novembre 1992, n. 11227, rv. 191607, Martin) e con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto (Sez. U, 17 ottobre 2006, n. 41281, rv. 234907, P.M. in proc. Greco).

3.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

3.2.1 – E’ costante insegnamento di questa Corte ritenere che, in tema di contravvenzione agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, la prescrizione di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne o sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza non va intesa nel senso letterale che l’espressione ha nella legislazione penale, con il richiamo a profili di comunanza di vita e di interessi, ma deve essere riferita esclusivamente alla nozione di pericolosità sociale che qualifica la materia delle misure di prevenzione. Ne consegue che, ai fini della configurabilità della citata contravvenzione, non è richiesta la costante e assidua relazione interpersonale, ben potendo la reiterata frequentazione essere assunta a sintomo univoco dell’abitualità di tale comportamento (v. ex pluribus, Cass., Sez. 1, 8 aprile 2008, n. 16789, P.G. in proc. Danisi, rv. 240121).

3.2.2. – Nella fattispecie il giudice di merito ha posto in evidenza non solo che gli incontri erano stati ripetuti nel tempo (in particolare quelli con il pregiudicato A.L. in tre occasioni) ma che la frequentazione non era stata neppure occasionale, visto che il C. era stato osservato sedere allo stesso tavolino del pregiudicato. In altri termini erano state le stesse modalità dei contatti interpersonali intrattenute in spregio delle prescrizioni imposte a palesare una sussistenza di un rapporto di frequentazione che non poteva ritenersi nè accidentale, nè imprevista, nè tantomeno necessitata dal fatto che titolare del locale fosse una parente del prevenuto.

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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