Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-03-2011) 02-05-2011, n. 16793

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ovanni, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 25 maggio 2010, depositata in cancelleria il 23 giugno 2010, la Corte di Assise di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Monza in data 5 febbraio 2009, riduceva la pena inflitta a D.I.M., imputato del reato di omicidio volontario aggravato dall’aver commesso il fatto per futili motivi, ad anni quattordici di reclusione.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata D.I.M. cagionava la morte di E.M. L., detto S.Z., in costanza di un alterco con il medesimo, investendolo volontariamente con la vettura Fiat Bravo procurandogli gravi lesioni personali che ne cagionavano la morte.

1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle dichiarazioni di H.L., sorella della titolare del bar di cui la vittima e l’imputato erano frequentatori, e di R.Z.A., entrambe testimoni oculari del fatto. I testi sostanzialmente riferivano che il maghrebino si trovava davanti alla vettura del prevenuto quando quest’ultimo aveva messo in moto ed era partito investendolo. Inoltre la consulenza tecnica medico – scientifica della dott.ssa Sc.Da.Ro., incaricata dal Pubblico Ministero, aveva indicato come causa della morte di E. M. le lesioni cranio – encefaliche conseguenti a modalità lesive traumatiche compatibili con un investimento.

2. – Avverso tale decisione, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il D.I.M. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:

a) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata qualificazione del fatto quale omicidio colposo o preterintenzionale, nonchè di riconoscimento della legittima difesa e del fatto doloso della persona offesa; le affermazioni contenute in sentenza secondo cui il comportamento aggressivo della vittima è in realtà solo sostenuto dall’imputato non è condivisibile posto che è la medesima teste R. ad aver affermato di aver visto la sera del fatto che il prevenuto discuteva in maniera animata con il marocchino poi deceduto. Inoltre la Corte territoriale non ha tenuto conto dei riscontri alla versione fornita dal D.I., vale a dire che il L. la sera del fatto lo voleva aggredire con un bicchiere tanto da invitarlo a uscire dalla vettura, sicchè l’imputato lo aveva investito nel tentativo di fuggire. Erano stati per giunta trovati sul luogo del fatto cocci di bicchiere e frammenti dell’indicatore di direzione, segno quest’ultimo che la vettura del D.I. avesse sterzato per evitare il marocchino colpendolo sfortunatamente però con lo spigolo della macchina. Inoltre la consulenza tecnica aveva messo in evidenza che la vittima era, al momento del fatto, ubriaca e che quella sera il cugino del L., A.A., lo aveva aggredito unitamente ad altri connazionali come era risultato da una intercettazione telefonica sulla utenza dell’ A.. Una persona ubriaca che parla poco l’italiano come la vittima è poco probabile che volesse solo chiarire il dissidio con l’odierno ricorrente anche perchè un amico dell’imputato, tale Av., era stato colpito dal L. con uno schiaffo sicchè era poco probabile che chi aveva già usato violenza volesse dei chiarimenti verbali dall’imputato.

Inoltre il giudice non ha tenuto conto, a prescindere dal comportamento effettivamente tenuto dalla vittima, quale sia stata la percezione del prevenuto il quale temette evidentemente di subire una nuova aggressione da parte della vittima. b) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata qualificazione del fatto quale omicidio preterintenzionale; in modo illogico la sentenza fa riferimento all’interrogatorio dell’imputato nella parte in cui non avrebbe detto che era sua intenzione solo ferire la vittima. In realtà l’imputato ha sempre dichiarato di non aver voluto investire l’extracomunitario, volendo solamente allontanarsi per evitare una nuova aggressione. Significativo della contraddittorietà della motivazione è il richiamo del giudice a indici, quale l’idoneità del mezzo, della condotta e degli urti, che in realtà sono comuni a qualsivoglia omicidio colposo in costanza di incidente stradale. Non si può affermare che l’imputato, attesa la bassa velocità del veicolo, potesse rappresentarsi che il semplice impatto con lo stesso potesse determinare la caduta della vittima al suolo con effetti letali. Se il D.I. avesse voluto uccidere la propria vittima avrebbe parcheggiato la propria autovettura in modo tale da non avere altra vettura davanti che non gli consentisse di prendere velocità e inoltre, una volta investito il prevenuto vi sarebbe passato sopra più volte. Inoltre il giudice ha richiamato l’ipotesi dell’arrotamento e sormontamento da parte della vettura, che è invece è stata esclusa dalle altre risultanze processuali e dalla consulenza tecnica. c) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); se la vittima non si fosse posta davanti all’auto del prevenuto per non farlo allontanare il fatto non sarebbe successo, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). d) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto esistenza degli estremi dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 e in punto mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); sfuggire a una probabile aggressione non può essere considerato un futile motivo;

e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Le circostanze ritenute in sentenza che hanno legittimato la riduzione della pena sarebbero potuto essere parimenti valutate per l’applicazione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1 – Le doglianze difensive costituiscono, nella sostanza, eccezioni in punto di fatto, poichè non inerenti a errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata ovvero in travisamento della prova, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perchè in violazione della disciplina di cui all’art. 606 c.p.p. (Giurisprudenza consolidata: Cass., Sez. Un. 2 luglio 1997, n. 6402, rv. 207944; Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930, rv. 203428; Sez. 1, 6 maggio 1998, n. 5285, rv. 210543; Sez. 5,31 gennaio 2000, n. 1004, rv. 215745; Sez. 5, ord. 14 aprile 2006, n. 13648, rv. 233381). Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass., Sez. 4, 28 settembre 2004, n. 47891, rv. 230568; Sez. 5, 30 novembre 999, n. 1004, rv. 215745; Sez. 2, 21 dicembre 1993, n. 2436, rv. 196955). Il giudice del merito, con argomentazioni esaustive, compiute e prive di vizi logici e giuridici, ha affrontato tutte le tematiche agitate in giudizio e proposte nel gravame di appello esprimendo valutazioni pertinenti oltre che connesse ad uno scrutinio analitico del compendio di prova resosi disponibile in giudizio di cui ha dato, nella parte motivazionale, sufficiente contezza.

3.1.2. – Ciò posto si osserva che il giudice di merito ha evidenziato, con argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici, che nessuna prova dichiarativa assunta in giudizio avesse evidenziato un comportamento aggressivo della vittima nei confronti del D. I.. Il rilievo difensivo secondo cui il prefato, per quanto riferito dalla R., stesse discutendo la sera del fatto in modo animato con la vittima, nulla informa a ben vedere sulla qualità, violenta o meno, del comportamento tenuto dal marocchino, avendo infatti ricordato la teste, semmai, così come ha sottolineato il giudice, che era il M., conosciuto nell’ambiente come un "provocatore", che stava offendendo il cugino della vittima (tale A.), non avendo avuto l’impressione che quest’ultima volesse aggredire fisicamente l’imputato. Inoltre la medesima teste, come sottolineato dalla Corte territoriale, si è dichiarata certa che la vittima, poco prima del fatto, non avesse nulla in mano, sicchè i cocci di vetro rinvenuti per terra non autorizzavano a ritenere, come menzionato in modo argomentato in sentenza, nè che appartenessero a un bicchiere nè che un bicchiere si trovasse in mano al L. in costanza dell’alterco con il prevenuto, nè tanto meno che con tale oggetto il marocchino stesse minacciando il D.I..

3.1.3. – In relazione poi al ritrovamento a terra del frammento di un indicatore di direzione, il giudice è stato esplicito nel rammentare che, non solo l’oggetto era stato rinvenuto a 25/30 metri dal luogo del fatto, ma che non vi era alcuna certezza che il veicolo usato quella sera dal D.I. avesse perso, appunto, un indicatore di direzione nell’urto con la vittima, anche perchè emergeva dagli atti che un accertamento in questo senso aveva riguardato sì una autovettura ma non quella del prefato.

3.1.4. – Parimenti argomentato da parte del giudice del merito è il riferimento al fatto che fosse irrilevante la circostanza che quella sera il L. fosse ubriaco perchè nulla incideva tale condizione sulla pretesa aggressività della vittima durante la discussione con l’imputato. E’ pacifico per vero, come rileva implicitamente il giudice di secondo grado, che non tutti gli ubriachi sono di per sè solo violenti in assenza, come accaduto nella vicenda che ci occupa, di qualsivoglia dimostrazione probatoria di segno contrario.

3.1.5. – Neppure è provato, così come rammenta il giudice del merito, che il D.I. sia stato aggredito, a suo dire, quella sera dal cugino A. e da due suoi connazionali, non solo perchè nella intercettazione cui fa riferimento l’imputato l’ A. parla in prima persona ("io l’ho sistemato per le feste") senza riferirsi ad altri, ma nessuno all’interno del bar ha poi notato tale aggressione ovvero l’ha riferita nè del resto il prevenuto ha mostrato a qualcuno gli esiti fisici di un alterco violento.

3.1.6. – Del tutto inammissibili sono inoltre le illazioni formulate in gravame circa le reali intenzioni del marocchino nei confronti dell’imputato. Non solo perchè non vi è, ancora una volta, alcun collegamento tra l’ubriachezza e la pretesa aggressività, ma anche perchè non vi è neppure prova che il teste Av., cui si fa riferimento in ricorso, sia stato colpito quella sera dal L..

3.1.7. – Del tutto infondata è altresì la doglianza che attiene al difetto motivazionale della sentenza ove non ha vagliato la circostanza che il comportamento tenuto dall’imputato fosse stato dettato dal fondato timore di subire una nuova aggressione da parte del prevenuto. Vi è infatti da osservare, così come ben evidenziato dalla Corte di merito, che non vi era prova che vi fosse stata una qualche precedente aggressione da parte del marocchino e che in ogni caso la situazione di pericolo in cui era venuto a trovarsi il D. I. era stato da lui stesso provocata avendo insultato il cugino della vittima. Inoltre la condotta reattiva del prevenuto ha assunto connotazioni del tutto sproporzionate in considerazione del fatto che il D.I. si trovasse al sicuro all’interno della propria vettura, in condizioni cioè tali da potersi dare utilmente alla fuga sottraendosi così in modo definitivo al proprio (presunto) aggressore.

3.2 – Anche il secondo motivo di gravame (mancata qualificazione del fatto quale omicidio preterintenzionale) è privo di pregio e va rigettato.

3.2.1 – Va premesso che i giudici del merito hanno informato la loro decisione alla consolidata lezione di questa Corte di legittimità che ha sempre insegnato come il criterio discretivo tra l’omicidio volontario ed il reato ex art. 584 c.p. risieda nell’elemento psicologico, sul rilievo che nella figura preterintenzionale l’agente deve escludere qualsivoglia previsione, anche indiretta (per dolo eventuale o alternativo), dell’evento morte (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 1, n. 30304 in data 30 giugno 2009, rv. 244743, Montagnoli; Cass., Sez. 1, n. 35369 in data 04.07.2007, rv. 237685, Zheng; ecc.). E’ poi del tutto pacifico che l’esatta individuazione del dolo, elemento di sua natura interno al soggetto, deve essere desunta da elementi esterni rivelatori o sintomatici, e dunque da una rigorosa valutazione degli "elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta". 3.2.2. – Ciò posto, ribadendo come i giudici del merito si siano correttamente attenuti a tale tradizionale insegnamento giurisprudenziale, occorre rilevare come la ricostruzione in fatto data dalla Corte territoriale, dalla quale desumere l’interna direzione dell’animo del prevenuto, risulta logica e coerente e quindi non censurabile in questa sede.

Sono stati per vero richiamati dal giudice del merito l’idoneità del mezzo, della condotta tenuta e dell’urto impresso che, se è vero come censura il ricorrente, che trattasi di indici comuni anche all’omicidio colposo da incidente stradale, è anche certo che gli stessi hanno assunto, nel vaglio argomentativo della sentenza, una connotazione tale da far ritenere sussistente nella fattispecie l’accettazione inequivocabile del rischio di uccidere il pedone.

Differentemente dall’incidente stradale, il prefato era per vero ben consapevole, allorquando ha messo in moto la vettura ed è partito, che il L. fosse posizionato sulla traiettoria del mezzo, in posizione inconciliabile con la propria direttrice di marcia giusta l’inevitabile intersecazione con lo spazio fisico occupato dalla vittima, sicchè l’urto sarebbe stato ineludibile con conseguenze fisiche non controllabili, anche perchè, come il giudice di merito fa chiaramente sottintendere, la vittima, essendo ubriaca (condizione nota all’imputato) e dunque non perfettamente in grado di pienamente autodeterminarsi, poteva non prontamente reagire all’investimento e cadere in modo disarticolato e scomposto come pacificamente avvenuto.

3.2.3. – Corretto è altresì il richiamo del giudice alle risultanze della consulenza tecnica del Pubblico Ministero ai fini valutativi del dolo intenzionale dell’imputato, posto che l’accertamento non ha escluso l’arrotamento e il sormontamento del corpo da parte dei veicolo, in linea del resto con le prove dichiarative dei testi e in particolare di H.L., ma ha solo puntualizzato che il decesso è intervenuto a seguito delle lesioni cranio encefaliche derivanti dalla caduta violenta a terra del maghrebino a seguito dell’urto e non per il completamento della "fase tre" dell’investimento che prevedeva appunto il passaggio delle ruote sul corpo. La circostanza che l’imputato dopo l’urto violento del L. non si sia premurato non solo di constatarne le condizioni, ma anche di avvedersi dove fosse posizionato il corpo rispetto alle ruote del veicolo da lui guidato (sicchè lo ha sormontato con le ruote) ne dimostra comunque, secondo quanto fatto valere dal giudice, il totale disinteresse per la sorte della vittima e la perseveranza confermativa del proprio dolo intenzionale.

3.3 – Parimenti infondato è il terzo motivo di impugnazione (censure che afferiscono il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5).

3.3.1 – Questo Supremo Collegio ha ripetutamente chiarito che "l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5, richiedendo la sussistenza del fatto doloso della persona offesa, si richiama, per la nozione del dolo, alla disposizione contenuta nell’art. 43 c.p., e, quindi, presuppone che la persona offesa preveda e voglia l’evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva (azione) o passiva (omissione) al fatto delittuoso dell’agente" (Cass., Sez. 1, 21 novembre 1967, n. 1620/1968, Nizzi, rv. 107401; cui adde: Sez. 3,12 novembre 1965, n. 3069, Ferrari, rv. 100300; Sez. 3, 22 ottobre 1970, n. 1096, Del Vecchio, rv. 115835; Sez. 3, 17 aprile 1973, n. 6217, Mangano, rv. 124915; Sez. 3,1 marzo 1982, n. 5862, Agarossi, rv. 154200; Sez. 6, 4 novembre 1988, n. 12482, Soloperto, rv. 179931;

Sez. 1, 9 maggio 1994, n. 9352, La Vergata, rv. 199834; Sez. 5, 22 aprile 1999, n. 7570, Traverso, rv. 213639; e, da ultimo, Sez. 1,11 marzo 2008, n. 13764, Sorrentino, rv. 239798).

Nella fattispecie il giudice ha implicitamente escluso, giusta la ricostruzione del fatto, che l’extracomunitario abbia previsto e voluto l’evento della propria morte (Cass., Sez. 1, 14 luglio 2010, n. 29938, rv. 248021, Meneghetti e altri). Inoltre, come non ha mancato di rilevare il giudice di merito, manca del tutto nella vicenda il nesso di causalità tra la condotta del L. e l’evento della sua morte, posto che è solo dopo che la vittima si è posta davanti alla vettura del D.I. che questo ha acceso il motore e messo in movimento il proprio veicolo.

3.4 – Il quarto motivo di ricorso (doglianze che attengono al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2) è altresì infondato.

3.4.1 – La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha chiarito che, ai fini della sussistenza dell’aggravante dei motivi futili deve intendersi l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e che il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter considerarsi, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Cass., Sez. 1, 8 aprile 2009, Same U Ullah); Sez. 1, 22 maggio 2008, n. 24683, Sez. 1,11 febbraio 2000, Dolce; Sez. 1, 19 gennaio 1999, P.M. in proc. Zumbo ed altri;

Sez. 6, 3 giugno 1998, Rova). La circostanza aggravante ha, quindi, natura prettamente soggettiva, dovendosene individuare la ragione giustificatrice nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto che legittima l’applicazione di un più severo trattamento punitivo (Cass., Sez. 1, 20 ottobre 1997, Trovato).

3.4.2 – Ciò posto deve osservarsi che giudice ha chiarito in sentenza che nessuna risultanza processuale ha evidenziato un atteggiamento aggressivo della vittima; anzi le dichiarazioni dei testi hanno invece escluso tale evenienza, sicchè il fatto in sè non può abilitare all’accesso alla invocata circostanza attenuante della provocazione, incompatibile con l’aggravante dei rutili motivi.

La sentenza inoltre argomenta che l’istruttoria svolta ha chiarito che la discussione da ultimo accesasi tra il L. e il D. I. traeva origine da una richiesta (formulata qualche sera prima del fatto) di una sigaretta da parte del maghrebino all’imputato e negata in malo modo dal prefato. Il cugino A., che aveva assistito alla scena, aveva ripreso verbalmente il D. I., da qui l’ulteriore discussione tra L. e l’imputato allorquando quest’ultimo aveva preso ad offendere, il giorno dell’omicidio, il cugino del L., A..

3.4.3 – Ricondotto il fatto nell’ottica delineata puntualmente dal giudice del merito il comportamento reattivo del prevenuto ha assunto la connotazione tipica della sproporzione dell’antefatto rispetto alla gravità del reato, facendo saltare qualsivoglia collegamento accettabile con lo stesso (secondo la coscienza collettiva) sul piano logico (Cass., Sez. 1, 4 luglio 2007, n. 35369, rv. 237686, Zheng;

Sez. 2, 10 novembre 2000, n. 13151, rv. 218598, Gianfreda ed altri).

Ponendo infatti in connessione causale la ragione del litigio con l’evento mortale è possibile cogliere appieno la sproporzione del fatto omicidiario rispetto allo spunto causale, tale da potersi ritenere quest’ultimo un mero pretesto per la perpetrazione dell’evento esiziale.

3.5 – Il quinto motivo di ricorso, infine, (censure in punto di trattamento sanzionatorio) non è fondato e deve essere respinto.

3.5.1. – La Corte di merito, lungi dal negare apoditticamente la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, ha argomentato il diniego rilevando l’assenza in atti di elementi suscettibili di positiva valutazione a tali fini; in particolare è stato preso in considerazione non solo il comportamento post eventum tenuto, quale manifestatosi nel fatto di essersi il prevenuto allontanato dal luogo di residenza per poter raggiungere quello di nascita sfuggendo così alle indagini in corso, ma anche le valutazioni espresse dall’imputato in relazione al fatto commesso in sede di sommarie informazioni testimoniali in data 18 aprile 2008 e nella missiva 25 luglio 2008 inviata al D. dove, come ricorda il giudice dell’appello, si evidenza una totale carenza di resipiscenza e di comprensione per il disvalore del reato perpetrato.

3.5.2 – E poichè la statuizione in ordine all’applicazione o meno delle circostanze attenuanti generiche deve fondarsi sulla globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole ed è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui essa appaia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico, deve convenirsi sulla congruità dell’argomentare della Corte di Assise di Appello di Milano, che è privo di vizi logico-giuridici, in linea con i principi enunciati in materia da questa Corte e aderente alle norme di legge.

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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