Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-03-2011) 02-05-2011, n. 16825 misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 5 agosto 2010, depositata in cancelleria il 7 agosto 2010, il Tribunale di Milano confermava, in rigetto della richiesta di riesame proposta nell’interesse di A.I.S., indagato per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 aggravato i sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti in data 6 luglio 2010 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Milano.

Il giudice, in via di premessa, chiariva che l’ordinanza in questione seguiva quella del 5 agosto 2010 emessa dal medesimo Giudice delle indagini preliminari, nell’ambito dello stesso procedimento, che riguardava però l’operatività di un’associazione di stampo mafioso attiva in Lombardia per la commissione di svariati reati fine. Il provvedimento per cui è giudizio, invece, atteneva al traffico di sostanze stupefacenti svolto da alcuni sodali dell’organizzazione anzidetta con l’aiuto di altri soggetti estranei alla compagine criminosa. In via specifica l’ A. risultava coinvolto nelle attività illecite di P.M.I. e M.A. (intranei del "locale" di (OMISSIS)) a causa delle quali i predetti avevano accumulato con i fornitori di stupefacenti un debito di Euro 150.000 per il cui pagamento era intervenuto tale C.M. che forniva indicazioni al P. e all’ A. su quale condotta tenere con i fornitori in vista della gestione della somma dovuta.

1.1. – In punto di gravi indizi di colpevolezza il Tribunale indicava, a supporto degli stessi, il grave compendio indiziario costituito dalle disposte intercettazioni ambientali sull’autovettura del P. da cui risultava il coinvolgimento dell’ A. nel reato contestatogli ( D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1).

1.2. – In merito alle esigenze cautelari il Tribunale le individuava nel pericolo di reiterazione dei fatti, giusta la loro gravità, la personalità del soggetto proclive a delinquere e attinto da numerosi procedimenti penali, le modalità espletative del reato, richiamando altresì la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 in forza dell’aggravante contestata L. n. 203 del 1991, ex art. 7. 2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Giacomo Iaria, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione l’ A. chiedendone l’annullamento:

a) per violazione di legge e vizi motivazionali, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) in relazione con l’art. 527 c.p.p., comma 2 e art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 546, comma 1, lett. e). La condotta del ricorrente, quale evidenziata nell’ordinanza gravata, non è congruente con quella contenuta nel capo di imputazione atteso che, mentre si è contestato un non meglio concorso nella ricezione al fine di cessione a terzi di quantitativi di cocaina del valore complessivo di 150.000 Euro nell’ordinanza di custodia cautelare si fa riferimento a una condotta dell’ A. posta in essere nella fase successiva alla consegna e relativa al pagamento del debito relativo. Il vizio motivazionale si evidenzia quindi nel fatto che, da una conversazione successiva dalla data di consumazione di reato, è stato dedotto il coinvolgimento del ricorrente nella fase precedente;

b) violazione della L. n. 203 del 1991, art. 7, nonchè carenza di motivazione; l’aggravante in parola non si attaglia all’ A. atteso che il medesimo non è stato raggiunto da alcun profilo di gravità indiziaria in ordine al reato associativo ma solo per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 il che avrebbe richiesto un maggior sforzo argomentativo da parte del Tribunale del Riesame; non vi è infatti alcun dato processuale che autorizza a ritenere sussistente la conoscenza da parte del ricorrente del ruolo degli altri sodali, ma, anche se vi fosse stata questa conoscenza, potrebbe tutt’al più legittimare un giudizio di connivenza per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, e non certo per quello di cui all’art. 416 bis c.p..
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1.1 – Deve per vero osservarsi che le conversazioni cui fa riferimento il giudice del riesame sono poste in stretto collegamento con la contestazione provvisoria posta a carico del prevenuto essendo evidente dal tenore delle captazioni, come fa valere il giudice del riesame, l’intraneità nella vicenda del soggetto, atteso il livello di fiducia in lui rivestita dagli altri sodali, il grado di conoscenza della struttura all’interno della quale era venuto ad operare, la familiarità operativa con le risorse umane e materiali del traffico di sostanze stupefacenti, che non si consolida se non per sperimentata e diuturna frequentazione delle persone gravitanti nel medesimo ambiente criminoso e con l’esercizio dell’attività illecita relativa.

Le conversazioni rimandano inoltre a fasi pregresse della situazione cui si fa specifico riferimento che affonda le sue ragioni proprio nel traffico di sostanze stupefacenti per cui è stata emessa la misura, costituendo il presupposto degli stessi dialoghi. Nessuna incongruenza è dato dunque apprezzare nella ordinanza gravata che argomenta in modo logico e non contraddittorio anche in relazione alle consapevolezza dell’odierno ricorrente circa le rispettive posizioni di ruolo dei soggetti coinvolti nel reato, operanti in stretta connessione con quei soggetti cui era stata contestata l’associazione criminale ex art. 416 bis c.p., circostanza che faceva sussistere, secondo quanto argomentato in modo congruo e non contraddittorio dal giudice, l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Il fatto che all’ A. non fosse stata contestata l’associazione a delinquere nella fattispecie non rileva (anzi sarebbe stata a questo punto ultronea l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7) dal momento che la stretta collaborazione con mafiosi che si avvalevano anche della loro struttura interna al sodalizio per il traffico di sostanze stupefacenti ha reso la condotta dell’indagato conseguentemente agevolatrice della compagine mafiosa.

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si deve altresì provvedere agli incombenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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