Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-03-2011) 02-05-2011, n. 16818 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 27 maggio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’istanza proposta, a mente dell’art. 309 c.p.p., da P.C. avverso la misura cautelare in carcere in suo danno disposta dal GIP del medesimo Tribunale il precedente 30 aprile in relazione al reato di cui all’art. 390 c.p. (procurata inosservanza di pena) aggravato a mente della L. n. 203 del 1991, art. 7.

A sostegno della decisione il Tribunale, confermando analoga valutazione del giudice di prime cure, richiamavano dapprima i fatti di causa realizzatisi il 26 aprile 2010, allorchè, verso le ore 21,30, personale della questura reggina faceva irruzione in (OMISSIS), nell’abitazione di tale M. G., quivi sorprendendo T.G., condannato all’ergastolo per gravi reati di mafia tra cui quello di omicidio e latitante da molti anni, a colloquio con l’indagato, suo genero, che gli operatori di polizia avevano notato arrivare un’ora prima insieme a S.G.. Il P. veniva arrestato in flagranza di reato ed in sede di convalida dell’arresto ammetteva di aver avuto contatti con il suocero durante la latitanza, giustificando il suo interessamento esclusivamente con le condizioni di salute del suocero. Il tribunale inoltre sottolineava le discordanti dichiarazioni in ordine alla genesi dell’incontro, programmato dal mattino per l’indagato, del tutto casuale per S., inaspettato per il M., il ruolo rilevantissimo (ed attuale) del T. nel panorama mafioso territoriale, l’aiuto consapevole dato ad un capo mafia, espressione della condotta tipizzata con l’aggravante contestata, aggravante che giustificava l’applicazione della disciplina di rigore di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, in costanza di certe esigenze cautelari.

2. Ricorre per l’annullamento dell’impugnata ordinanza l’indagato, personalmente, sviluppando due motivi di impugnazione.

2.1 Col primo di essi denuncia il ricorrente, a mente dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), violazione dell’art. 390 c.p., dappoichè non ravvisabile nella concreta fattispecie accertata i requisiti del reato contestato, erroneamente qualificato dal giudice territoriale reato di pericolo. Nega poi in particolare l’istante che risulti individuata dagli inquirenti una condotta integrante contributo alla latitanza del T. non potendosi in tali sensi interpretare la mera vicinanza temporale e fisica.

2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente, ancora a mente dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), l’insussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 203 del 1991, art. 7. 3. Il ricorso è fondato.

3.1 La norma incriminatrice contestata all’indagato in tal guisa tipizza e descrive la condotta sanzionata: "chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta taluno a sottrarsi all’esecuzione della pena, è punito……".

Quanto, pertanto, all’elemento oggettivo del reato, è compito dell’interprete individuare in quale condotta possa pertanto riconoscersi un aiuto dato a colui che si sottrae alla esecuzione della pena.

Secondo accreditata lezione interpretativa, non a caso richiamata dal ricorrente, la condotta del reato di procurata inosservanza di pena consiste in un’attività volontaria, specificamente diretta ad eludere l’esecuzione della pena, che concorre con quella del condannato ricercato. Tale attività, che può assumere le forme più diverse (il reato in parola è infatti per comune qualificazione a forma libera) deve tuttavia risolversi in uno specifico aiuto prestato al condannato, idoneo a conseguire l’effetto di sottrarlo all’esecuzione della pena. L’aiuto, inoltre, deve essere in rapporto di causalità con l’intenzione del condannato di sottrarsi all’esecuzione detentiva. Ne consegue che non può ritenersi responsabile del reato in esame colui che, anche se a conoscenza della qualità di condannato di una persona e del suo proposito di sottrarsi all’esecuzione della pena, non svolge alcuna specifica attività di copertura del latitante rispetto alle ricerche degli organi di Polizia (Cass., Sez. 2, 20/12/2005, n. 3613: nella specie l’imputato si era limitato a dare alla Polizia spiegazioni, ritenute dal giudicante non plausibili, della sua presenza nel luogo ove, subito dopo, fu trovato e tratto in arresto un latitante) (in termini altresì: Cass., Sez. 6, 22/05/2009, n. 33424; Cass., Sez. 6, 15/01/2003, n. 9936).

3.2 Nel caso in esame la condotta accertata a carico dell’indagato è semplicemente quella di aver reso visita al suocero latitante e di essersi intrattenuto per un ora a colloquio con lui.

Ad avviso della Corte siffatto comportamento non integra il requisito oggettivo del reato contestato, dappoichè in esso non è per nulla ravvisabile un aiuto idoneo a conseguire il risultato di sottrarre il suocero all’espiazione della pena, un facere cioè al quale correttamente riconoscere l’effetto di aiuto alla latitanza del congiunto, il nesso causale tra la condotta come innanzi rilevata e la latitanza del ricercato.

4. Alla stregua delle esposte considerazioni l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame alla luce dei principi di diritto innanzi esposti. La cancelleria provvederà all’adempimento previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria. DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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