Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-03-2011) 02-05-2011, n. 16817 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 24 settembre 2010 il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’appello proposto, a mente dell’art. 310 c.p.p., da C.P. avverso il provvedimento con il quale, il GIP della stessa sede, il precedente 14 giugno, aveva negativamente valutato la sua istanza volta a far dichiarare la retrodatazione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico, il 30 giugno 2009, dal GIP del Tribunale di Napoli in relazione ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, alla data di precedente, analoga ordinanza, sempre emessa a suo carico, in data 2 gennaio 2007, dal GIP dello stesso Tribunale in relazione al reato di tentata estorsione aggravata in concorso (artt. 56, 110 e 629 in relazione all’art. 628 c.p.p.).

A sostegno della decisione il Tribunale, confermando analoga valutazione del giudice di prime cure, poneva l’argomento che tra i reati considerati dalle due ordinanze dedotte in giudizio non ricorreva alcuna connessione qualificata tale da consentire il riconoscimento, tra i medesimi, del vincolo della continuazione, stante la eterogeneità delle condotte considerate, la lontananza temporale tra le medesime e l’insussistenza di alcun criterio in forza del quale desumere tra le due condotte un vincolo riferibile all’art. 81 c.p.. Osservava altresì il Tribunale che neppure poteva riconoscersi nel caso di specie la desumibilità degli elementi di prova utilizzati a sostegno della seconda ordinanza allorchè era stata assunta la prima e che le notizie di reato relative alle condotte contestate come innanzi sono state portate dall’attenzione del p.m. in tempi diversi, da diversi organi di polizia giudiziaria, a conclusione di indagini svolte separatamente e per fatti, come già rilevato, lontani nel tempo.

2. Ricorre per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il predetto C.P., personalmente, illustrando uno stringato motivo di impugnazione con il quale, in particolare, denuncia che: "Il P.M. conosceva, perfettamente, la situazione giuridica del sottoscritto, ciononostante, ha richiesto ed ottenuto, in tempi diversi, più ordinanze di custodia cautelare, la prima addirittura per connotare negativamente il sottoscritto, utilizzava gli atti di cui alla seconda ordinanza".

In tal guisa testualmente le ragioni di censura.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1.1 Il tema di decisione posto dal ricorso in esame attiene direttamente alla tematica delle c.d. "contestazioni a catena", regolata dalla disposizione di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, che, nel testo introdotto dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 12, stabilisce: "Se ne i confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benchè diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b e c, limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma".

Tale regolamentazione è stata oggetto di scrutinio di legittimità costituzionale ed il giudice delle leggi ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applicava anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza (Corte cost., 3 novembre 2005, n. 408). La pronuncia della Corte costituzionale ha fatto esplicito riferimento al diritto "vivente" risultante dall’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui, nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, tra i quali non sussiste la connessione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, i termini delle misure disposte con le ordinanze successive decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se al momento dell’emissione di questa erano desumibili dagli atti gli elementi che hanno giustificato le ordinanze successive (Cass., Sez. Un., 22 marzo 2005, Rahulia).

I principi in tema di "contestazione a catena" sono stati elaborati e approfonditi da un ulteriore intervento recente delle Sezioni Unite, con cui è stato chiarito, per quanto di interesse nel presente giudizio, che, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, è necessaria la sussistenza del presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima, e che tale condizione essenziale deve essere esclusa allorchè il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione di tipo mafioso e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2006, Librato).

3.1.2 A fronte di siffatto quadro di riferimento normativo il tribunale ha ritenuto, con motivazione immune da mende logiche e giuridiche, che tra i reati per i quali sono state emesse le due misure coercitive non sussiste il nesso di connessione qualificata prefigurato dall’art. 12, lett. b (concorso formale o continuazione).

Il Tribunale ha sostenuto siffatto convincimento valorizzando la diversità delle condotte, la distanza temporale tra esse, l’insussistenza di un qualsiasi dato od elemento dal quale desumere il nesso di legge.

Quanto poi alla desumibilità, al di là dell’ipotesi anzidetta, delle prove a carico del reato associativo al momento, anteriore di due anni, del provvedimento restrittivo in relazione al reato estorsivo, ha ben chiarito il Tribunale come tale circostanza sia esclusa dalla distanza temporale delle condotte, dalla diversità tra le autorità di P.G. operanti, dalla diversità delle denunce presentate in tempi diversi.

Trattasi di motivazione del tutto logica, coerente e rispettosa delle regole normativa in materia, non meno che delle lezioni interpretative di questa Corte su di esse, motivazione alla quale la difesa istante oppone espressioni generiche inidonee a rappresentare apprezzabili questioni da delibare nella presente fase processuale di legittimità. 4. Pertanto, stante la correttezza logica e giuridica dell’ordinanza, e la genericità della doglianza, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare il Euro 1000,00. La cancelleria provvedere all’adempimento previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende. DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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