Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-05-2011, n. 2578 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con decreto n. 1284 del 14 settembre 1981, il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato accordava alla s.p.a. S. I. A. S. un contributo in conto interessi su un finanziamento di lire 1.200.000.000, deliberato in suo favore dall’I.M.I. per un programma di investimento per la realizzazione di un nuovo impianto industriale nel territorio del Comune Terzo (AL).

Il contributo veniva successivamente revocato con decreto n. 2042 del 10 gennaio 1984.

Tale provvedimento di autotutela veniva tuttavia annullato dal T.A.R. per il Piemonte con sentenza n. 482/1987 del 16 ottobre 1987, su ricorso proposto dalla s.p.a. S. I. A. S., decisione poi confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 974/1994 del 9 giugno 1994.

2. La ricorrente, che nelle more del giudizio aveva cambiato la propria denominazione in s.p.a. D. G., dopo il passaggio in giudicato della sentenza provvedeva a notificare sia all’Amministrazione che all’I.M.I. una diffida e messa in mora per la relativa esecuzione e, quindi, per il ripristino degli effetti conseguenti alla concessione del beneficio illegittimamente negato con l’annullato provvedimento di autotutela.

Nonostante tale atto sollecitatorio, l’Amministrazione rimaneva inadempiente, per cui la ricorrente proponeva ricorso (n. 762 del 2002) per ottemperanza innanzi al T.A.R. per il Piemonte, il quale, con sentenza n. 20/2003 dell’11 gennaio 2003, posto che "…deve essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato entro il termine di novanta giorni dalla notificazione della presente decisione o dalla sua comunicazione in via amministrativa, con l’avviso che in caso di ulteriore inerzia si procederà alla nomina di un commissario ad acta", ordinava al Ministero per l’Industria, il Commercio e l’Artigianato "di procedere all’esecuzione del giudicato".

3. Su istanza del 4 settembre 2003, proposta dalla stessa ricorrente, il T.A.R. – con la sentenza n. 2292 del 12 giugno 2006 – nominava il Prefetto di Roma o suo delegato quale commissario ad acta, affinché lo stesso, entro i trenta giorni successivi, adottasse i provvedimenti di pagamento necessari per soddisfare la pretesa della società ricorrente nascente dalla citata sentenza n. 482/1987.

4. Il VicePrefetto di Roma, nominato commissario ad acta, comunicava al T.A.R., con nota in data 8 settembre 2006, n. 46336, d’aver accertato che il Ministero delle Attività Produttive aveva provveduto alla riassegnazione della somma di euro 204.738,37, dovuta quale agevolazione alla s.p.a, D. G. sulle rate di ammortamento del contratto di finanziamento stipulato con l’I.M.I., allegando alla comunicazione copia del decreto, con cui il Ministero dello Sviluppo Economico in data 20 luglio 2006 aveva autorizzato il pagamento dell’importo su indicato a favore della società, che era stato inviato in pari data alla Ragioneria Centrale presso il suddetto Ministero, la quale, coma da lei stessa appurato, aveva trasmesso alla Banca d’Italia il relativo mandato di pagamento (titolo n. 151 del 4 agosto 2006).

5. La s.p.a.D. G., con atto del 7 settembre 2009, proponeva reclamo avverso la citata nota commissariale dell’8 settembre 2006 e avverso "il comportamento dello stesso commissario ad acta designato che non ha minimamente provveduto a dare attuazione all’incarico avuto da questo Tribunale con la sentenza 2292/2006 ignorando totalmente il contraddittorio, le produzioni, le ragioni esposte e i conteggi effettuati", chiedendo al T.A.R. di provvedere ad "integrare la precedente decisione di nomina del commissario ad acta avvenuta con la sentenza n. 2292/2006, col compito di individuare sia quantitativamente che da un punto di vista cronologico le somme eccedenti versate dalla D. G. e quindi dovute alla ricorrente D. G., oltre agli interessi legali dalla data dell’indebito e sino all’integrale soddisfo, disponendo ogni opportuno provvedimento per l’esecuzione del giudicato e dando precise indicazioni circa il diritto di partecipazione e informazione alle parti costituite, con obbligo di dare avviso alle parti presso il domicilio eletto, nel rispetto del contraddittorio, onde consentire la partecipazione alla parte e al loro consulente dott. Incamminato, i cui conteggi analitici, fatti redigere dalla procedura concorsuale e prodotti in questo giudizio, sono stati radicalmente ignorati e quindi neanche presi in esame".

A sostegno del reclamo, la ricorrente adduceva che, nonostante la ripetuta notifica della sentenza n. 2292/2006 al Ministero, all’I.M.I. e anche al Prefetto di Roma, essa aveva appreso dell’avvenuta nomina del commissario ad acta e anche che questi aveva già concluso il proprio incarico solo a seguito di una nota di sollecito inviata dal suo legale in data 9 settembre 2008 al Prefetto di Roma e volta proprio ad ottenerne la nomina.

Assumendo, quindi, che l’intero procedimento fosse "inesistente’, poiché svoltosi come un "interna corporis" senza informare la ricorrente e il suo legale, riteneva che fosse necessario iniziarlo ex novo, dando atto eventualmente della somma versata come acconto sul dovuto connesso alla reintegrazione di essa ricorrente nella posizione originaria, posto che il Ministero aveva erogato unicamente la somma che disponeva sin dal 1987 in sede di finanziamento della legge, come se il pagamento fosse avvenuto a tale data.

In particolare, la somma erogata non costituiva – a suo avviso – esecuzione della sentenza e quindi reintegrazione nei diritti vulnerati dalla revoca del finanziamento, che l’aveva costretta a pagare gli interessi ordinari non agevolati e a richiedere il concordato.

6. Disposta con l’ordinanza n. 107/2009 l’acquisizione di ulteriori elementi di giudizio nei confronti della reclamante s.p.a. D. G., quest’ultima depositava una memoria con cui faceva propria la relazione del 21 dicembre 2009 del consulente tecnico di parte, dott. Claudio Incamminato.

7. Indi il T.A.R. adito pronunciava la qui impugnata sentenza n. 656/2010, con la quale, in accoglimento del reclamo proposto avverso l’operato del commissario ad acta, affermava il diritto della ricorrente all’integrale reintegrazione nella posizione originaria, di conseguenza integrando l’incarico del commissario ad acta, affinché lo stesso provvedesse a:

"1) quantificare (valutate le risultanze della relazione in data 21/12/2009 del consulente tecnico della parte reclamante, dott. Claudio Incamminato, e previa verifica della data di corresponsione dei singoli ratei d’interesse e del loro ammontare, del tasso convenzionale praticato, del tasso agevolato cui la società avrebbe avuto diritto, laddove non le fosse stato revocato il contributo concesso, e la differenza tra il corrisposto e quello che, in applicazione del tasso agevolato, avrebbe dovuto corrispondere ad ogni singola scadenza):

le maggiori somme corrisposte dalla D. G. a titolo di interessi convenzionali rispetto a quelli agevolati riconosciuti con il contributo;

– gli interessi legali maturati su tali somme dai singoli esborsi al saldo, applicando la cosiddetta capitalizzazione semplice (secondo i sistemi di calcolo in uso o comunque a disposizione);

2) porre in essere, previo confronto con la ricorrente, gli atti necessari alla corretta liquidazione e pagamento delle somme complessive di spettanza, al fine di dare integrale esecuzione alla sentenza della Sezione II di questo Tribunale n. 482/87 del 16 ottobre 1987, confermata dal Consiglio di Stato, Sesta Sezione, con sentenza del 9 giugno 1994, n. 974" (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).

8. Avverso tale sentenza interponeva appello il Ministero dello Sviluppo Economico, assumendo di aver pienamente ottemperato al giudicato ex adverso azionato in sede di ottemperanza, mediante l’emanazione, dapprima, del d.m. dell’8 giugno 2004 pos. 1/20433, di annullamento del decreto di revoca del contributo e, successivamente, del decreto del 20 luglio 2006 con cui aveva disposto il pagamento della somma di euro 204.738,37 in favore della ricorrente/reclamante, e deducendo l’erroneità della gravata sentenza, attributiva di un bene della vita diverso da quello oggetto del giudicato.

L’Amministrazione chiedeva dunque, in riforma della gravata sentenza, il rigetto del ricorso in primo grado.

9. Si costituiva la società appellata, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

10. All’udienza del 1° febbraio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

11. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto.

11.1. Occorre premettere, in linea di diritto, che l’oggetto del giudizio di ottemperanza azionato in primo rado è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione (C.d.S., Sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; C.d.S., Sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; C.d.S., Sez. IV, 17 ottobre 2000, n. 5512).

Detta verifica, che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., Sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; C.d.S., Sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49), passa attraverso l’interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando giudiziale, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza "petitum -causa petendi – motivi -decisum" (C.d.S., Sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; C.d.S., Sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075).

Pertanto, in sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere e affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (C.d.S., Sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), né possono essere proposte domande che non siano contenute nel "decisum" della sentenza da eseguire (C.d.S., Sez. V, 18 agosto 2010, n. 5817; C.d.S., Sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; C.d.S., Sez. IV, 10 agosto 2000, n. 4459).

11.2. Con riferimento alla fattispecie sub iudice, si osserva che la sentenza ottemperanda n. 482/1987 del T.A.R. per il Piemonte, confermata in sede d’appello con la decisione n. 974/1994 di questa Sezione, si è limitata ad annullare il decreto n. 2042 del 10 gennaio 1984 del Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, con cui era stato annullato in autotutela il precedente decreto n. 1284 del 14 settembre 1981, concessorio di un contributo in conto interessi su un finanziamento ex d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902 (recante "Disciplina del credito agevolato al settore industriale"), per asserito superamento dei limiti massimi dell’investimento stabiliti dall’art. 6 del citato d.P.R.

La statuizione di annullamento del T.A.R. si basava esclusivamente sul rilievo che il limite di cui al citato art. 6 era stato soppresso con il d.l. 31 luglio 1981, n. 414, ritenuto applicabile all’agevolazione in esame per essere il relativo decreto concessorio stato adottato dopo l’entrata in vigore del provvedimento normativo da ultimo citato.

La sentenza azionata in sede di ottemperanza non contiene alcuna statuizione di risarcimento dei danni, né, peraltro, siffatta domanda risulta essere stata formulata in sede cognitoria.

La pretesa risarcitoria è stata quantificata dalla ricorrente per la prima volta nel corso della fase di reclamo nell’ambito del giudizio di ottemperanza promosso dinnanzi al T.A.R. con ricorso n. 762 del 2002 (datato 7 luglio 1999 e depositato il 10 giugno 2002), sulla base della relazione del proprio consulente di parte del dott. Claudio Imposimato, il quale ha liquidato il danno asseritamente subito dalla ricorrente per aver "dovuto versare ogni semestre dal 30/6/1984 al 30/6/1989 lire 26.200.767 in più di quanto avrebbe dovuto versare ove il contributo fosse stato concesso,…., importo quindi che la ricorrente ha dovuto farsi anticipare da altre banche o sulle quali comunque ha pagato interessi passivi" (v. così, testualmente la relazione peritale del 21 dicembre 2009), in applicazione del criterio della c.d. capitalizzazione composta, nell’importo complessivo (per capitale ed accessori) di lire 1.544.267.700 e, in applicazione del criterio alternativo della c.d. capitalizzazione semplice, nell’importo di lire 636.199.421.

Sebbene in linea di principio la domanda risarcitoria derivante dal provvedimento annullato in sede cognitoria possa essere, per la prima volta, proposta in sede di ottemperanza, ai fini del suo rituale ingresso occorre tuttavia che, in applicazione del principio di conservazione e di conversione degli atti processuali, sussistano i presupposti di contenuto e forma previsti per un’ordinaria azione cognitoria, sicché s’impone l’esigenza di verificare il rispetto, per entrambe le domande (sia quella di ottemperanza, sia quella risarcitoria), nella forma e nella sostanza, delle disposizioni processuali di riferimento.

Orbene, nel caso di specie, non possono ritenersi rispettate le condizioni minime che consentano di dare ingresso all’azione risarcitoria nell’ambito del giudizio di ottemperanza, in quanto:

– il ricorso introduttivo, depositato il 10 giugno 2002, non risulta essere stato notificato all’Amministrazione resistente, né appaiono essere osservati i moduli processuali (ad es., termini per memorie) atti a garantire il contraddittorio pieno sulle varie questioni da affrontare per decidere sull’azione risarcitoria;

– nel ricorso introduttivo non risultano enunciati in modo compiuto i fatti costitutivi della pretesa risarcitoria, sia in punto di an che in punto di quantum – quali, ad es., l’elemento soggettivo della colpa (nel caso di specie, comunque da escludere, attesa la sopravvenienza, nel corso del procedimento di concessione del contributo agevolato, della nuova normativa di cui all’art. 6 d.l. 31 luglio 1981, n. 414, e la correlativa novità della questione, che ha condotto alla compensazione delle spese di causa sia in primo grado che in grado d’appello), la necessità dell’istante di far ricorso al credito bancario, i criteri di quantificazione conducenti a risultati sensibilmente divergenti a seconda del metodo di calcolo adottato -, con conseguente omessa specifica e compiuta deduzione della causa petendi e del petitum connotanti la domanda risarcitoria.

11.3. Per le esposte ragioni, nel caso di specie l’unica pretesa coperta dal giudicato azionato in executivis, deducibile in sede di ottemperanza, era la pretesa al conseguimento del finanziamento agevolato concesso col decreto n. 1284 del 14 settembre 1981 e costituito a norma dell’art. 10 d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902, da "un contributo in conto interessi (nel caso di specie, su un finanziamento di lire 1.200.000.000) pari alla differenza tra la rata di ammortamento calcolata al tasso di riferimento e la rata prevista nel piano di ammortamento calcolato al tasso agevolato", da liquidare e pagare "a semestralità posticipate in corrispondenza delle scadenze fissate nel piano di ammortamento (30 giugno, 31 dicembre) sulla base di elenchi contenenti gli estremi dei contratti di mutuo trasmessi da ciascun istituto di credito al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato".

A fronte di tale pretesa, i decreti dell’8 giugno 2004 pos. 1/20433 – di annullamento del decreto di revoca e di concessione del contributo di euro 204.738,37 in conto interessi sul finanziamento deliberato ed erogato dall’I.M.I. di euro 619.748,28, ripartito per le rate del piano di ammortamento previsto dal contratto di mutuo, e del 20 luglio 2006 – di autorizzazione al pagamento del contributo medesimo – devono ritenersi satisfattivi della pretesa coperta dal giudicato azionato in sede di ottemperanza.

11.4. Ne consegue, in riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto del reclamo proposto dall’odierna appellata nell’ambito del giudizio di ottemperanza.

12. Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 4184 del 2010, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il reclamo proposto in primo grado dall’odierna appellata; condanna l’appellata a rifondere all’Amministrazione appellante le spese del doppio grado, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 5.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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