Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-03-2011) 02-05-2011, n. 16775 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.S.A., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Palermo, con la quale è stata rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 7 ottobre 2008 al 19 giugno 2009. per i delitti di riduzione in schiavitù – poi derubricato ad esercizio arbitrario delle proprie regioni – e sequestro di persona, commessi in danno di un connazionale, reati dai quali era stata assolto con la formula per non aver commesso il fatto.

La Corte territoriale ha ravvisato la circostanza escludente del diritto alla riparazione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, e cioè di avere concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale per colpa grave, ravvisata in un comportamento del M., che andava qualificato al momento dell’applicazione della misura custodiale quantomeno come di connivenza con gli altri aguzzini. Il giudice della riparazione, dopo aver dettagliatamente descritto il fatto, rimasto provato nella sua materialità, (la denuncia di una passante che asseriva di aver visto un uomo in catene cercare di avvicinarsi al balcone e la conseguente irruzione nell’appartamento della polizia che aveva liberato l’uomo, "punito dai suoi connazionali per la sottrazione di risparmi nei confronti di taluni di essi") ha evidenziato che, come emergeva dalle dichiarazioni rese dallo stesso istante agli inquirenti, il M., aveva sicuramente assistito alle violenze perpetrate nei confronti della vittima, partecipando altresì alla fase del sequestro (predisponendo le prove fotografiche destinate a consacrare pubblicamente la responsabilità dell’uomo) ed astenendosi dal porre in essere iniziative finalizzate ad aiutarla concretamente.

Il M. ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 314 c.p.p., censurandone l’interpretazione data dal giudice di merito e facendo presente che il giudice della riparazione non aveva compiutamente motivato in ordine alla prevedibilità da parte dell’istante, in seguito al suo comportamento, dell’intervento restrittivo da parte dell’autorità giudiziaria ed aveva ignorato la concreta collaborazione offerta alle indagini dall’odierno ricorrente, il quale aveva solo cercato "di calmare gli animi", senza partecipare attivamente all’episodio, come dichiarato, del resto, dagli altri indagati.

Il ricorso è infondato.

Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale "in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità".

E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall’istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile coinvolgimento del M. nel grave episodio criminoso.

Giova a tal fine ricordare che questa Corte ha già avuto modo di affrontare la problematica della valenza della connivenza ad essere condotta ostativa al riconoscimento della riparazione (v. Sez. 4, 3 dicembre 2008, Vottari, rv. 242538 e la puntuale disamina di tali ipotesi, alle quali ci si riporta).

Nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto sussistente la colpa grave del M., ostativa al riconoscimento dell’equo indennizzo, in ragione, come sopra evidenziato, non solo della sua presenza nell’appartamento in cui si è svolto il violento episodio di incatenamento e di segregazione di un uomo, ma perchè si è astenuto dal porre in essere iniziative finalizzate ad aiutare concretamente la vittima, partecipando anche attivamente alla fase del sequestro, predisponendo prove fotografiche destinate a consacrare pubblicamente la responsabilità del connazionale.

La Corte di merito ha, pertanto, ricondotto il comportamento del M. nella ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza è indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o cose (v., oltre la già citata sentenza Vottaro, anche Sez. 4, 15 gennaio 2003, Lushay, rv. 223688).

Trattasi di condotta connivente, gravemente colposa, e, come tale idonea ad inibire la riparazione.

Correttamente, pertanto, il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima rivalutazione della sentenza penale di assoluzione (Sezioni unite 23.12.1995 n. 43), ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa all’emissione della misura cautelare, e configuranti la colpa grave a norma dell’art. 314 c.p.p., comma 1, ha escluso il diritto dell’istante alla riparazione, essendo indubbiamente le circostanze succitate idonee a far ritenere – anche se limitatamente all’emissione di una misura cautelare – il coinvolgimento del M. nella fattispecie criminosa contestata.

Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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