Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-03-2011) 02-05-2011, n. 16766 Ebbrezza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole della contravvenzione di cui all’art. 186 C.d.S., per avere circolato alla guida della propria autovettura in stato di ebbrezza alcolica, accertato mediante alcoltest (il cui risultato era stato, alle due prove, di 2,55 e 2,62 9/1).

Con un unico motivo articola più profili di doglianza, riproponendo le censure disattese dal giudice di appello.

Prospetta sotto diversi profili la violazione dell’art. 495 c.p.p., perchè non sarebbe stata ammessa la relazione del proprio consulente, pur se dedotto come teste, laddove si prospettava una diversa spiegazione dello stato di alterazione, che si voleva ricondurre alla presenza, sull’autovettura, di tre boccioni di mosto da cui sarebbero fuoriuscite delle esalazioni che avrebbero provocato involontariamente l’alterazione contestata. Non poteva condividersi l’assunto del giudice di appello dell’irrilevanza della consulenza in ragione vuoi della riferita assunzione da parte dell’imputato di bevande alcoliche (birra) nel contesto di interesse, tale da spiegare il dato apprezzato con l’alcoltest, vuoi della non sostenibilità della tesi scientifica prospettata, perchè questa poteva spiegarsi solo per quanti avessero lavorato il mosto, ma non poteva giustificare la posizione di chi si fosse limitato a trasportare il mosto, peraltro chiuso in boccioni regolarmente tappati.

Ripropone la questione di nullità della sentenza di primo grado, sostenendo che il dispositivo letto in udienza sarebbe stato diverso da quello riportato in sentenza con riguardo alla pena pecuniaria.

Non poteva condividersi la soluzione del giudice di appello secondo cui tale nullità non poteva ritenersi sussistente vuoi perchè una nullità poteva semmai ravvisarsi solo nella diversa e insussistente ipotesi della mancanza del dispositivo, vuoi perchè comunque non risultava affatto in atti la pretesa non corrispondenza (non corrispondenza che si poteva dedurre solo da una fotocopia informale prodotta dal difensore, priva di alcuna garanzia di autenticità).

Il ricorso è manifestamente infondato.

Per vero, lo è già in quanto a ben vedere articola qui motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendo pertanto tali motivi considerarsi non specifici: la mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (cfr. Sezione 4, 8 luglio 2009, Cannizzaro, non massimata).

Ma anche a on voler considerare tale vizio di aspecificità, l’inammissibilità del ricorso si prospetta anche per ulteriori, convergenti ragioni.

Infatti, non è prospettabile il vizio di assunzione di prova decisiva, a fronte di una motivazione che ha ampiamente spiegato (in modo coerente e conforme rispetto alla statuizione del primo giudice) l’inconferenza della tesi scientifica prospettata dal consulente della difesa (citato come teste), rispetto ad una vicenda in cui in fatto lo stato di alterazione (di grado importante, secondo l’esito dell’alcoltest) si spiegava con l’assunzione delle birre, mentre, sempre in fatto, non poteva ipotizzarsi alcuna rilevanza al trasporto sull’autovettura di boccioni di mosto, tutti regolarmente tappati.

E’ spiegazione ragionevole che non può essere vulnerata dall’opinabile ricostruzione della difesa.

Del resto, come è noto, il vizio di mancata assunzione di prova decisiva rileva solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una diversa decisione (Sezione 4, 8 maggio 2007, Matteucci, non massimata). In questa prospettiva, il diritto della parte a vedersi ammettere una prova contrastante con l’accusa, la cui mancata assunzione è denunciabile in sede di legittimità, va rapportato, per verificarne il fondamento, alla motivazione della sentenza impugnata ed in tale quadro viene ad essere priva di fondamento la censura che denunzi il rigetto, sul punto, dell’istanza difensiva, allorquando tale rigetto risulti sorretto da argomentazioni logiche (come nel caso di specie, per quanto detto), idonee a dimostrare che la controprova dedotta dalla parte non avrebbe potuto modificare il peso delle prove dell’accusa (Sezione 6, 6 maggio 2009, Esposito, ed altro, non massimata).

Improponibile è la riproposizione della censura di nullità, avendo la Corte a tacer d’altro spiegato in fatto l’insussistenza del preteso contrasto, in modo qui non rinnovabile.

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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