Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-03-2011) 02-05-2011, n. 16882 Custodia cautelare in carcere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Roma con ordinanza in data 27-12-2010 confermava l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di T.M. emessa dal Gip il 24-11-2010, con le imputazioni di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73, per aver partecipato ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, e per aver acquistato a credito da C.F., vertice del gruppo, in due occasioni cocaina, rispettivamente per 300 e 500 grammi (capi 17 e 19), in una 500 grammi di hashish (capo 23).

T., con il ricorso personalmente proposto inteso ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza, si duole anzitutto di carenza ed illogicità di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, con riferimento alla sua individuazione quale partecipante ad alcune conversazioni intercettate, e al reato associativo.

Va ricordato che il tribunale del riesame aveva valorizzato a tale scopo alcune conversazioni intercettate nell’abitazione di C., ivi ristretto in regime di arresti domiciliari, frequentata da varie persone, tra le quali il cugino L.A. e tale Ci., quest’individuato in T. tanto dal Gip che dal tribunale del riesame.

Nel ricorso ne sono richiamate tre.

Nella prima, del 1-12-2009, n. 1581, ritenuta dal tribunale indiziante in particolare del reato sub 17 (acquisto di 300 grammi circa di cocaina da C. da parte di T.), un giovane chiamato " Ci.", ordina a C. tre "pacchi" dopo che questi ha affermato che ne sono arrivati cinque.

Il " Ci." in questione è stato individuato in T. in quanto, tre minuti dopo, nel corso della stessa conversazione, la persona chiamata con quel soprannome riferiva ai presenti, che gli chiedevano se si era registrato su Facebook come T.M., che invece si era registrata la moglie, M.A., o la figlia, T.M.. Pertanto il Ci. e T. erano ritenuti la stessa persona stante il minimo lasso tempo intercorso tra le due parti di colloquio e l’assenza di elementi ricavabili dalle intercettazioni che deponessero per l’allontanamento del primo e l’arrivo di un altro soggetto.

La circostanza che, tra le due conversazioni, i cugini C. e L. avessero parlato di un " Ci." in terza persona, era ritenuta compatibile con il momentaneo allontanamento di T. dall’ambiente della casa in cui si trovavano gli altri due.

Per contro, secondo il ricorrente, il riferimento al Ci. in terza persona dimostrerebbe l’esistenza di due Ci. (uno dei quali non presente nell’abitazione), e quindi l’impossibilità di individuare nell’imputato la persona che nelle intercettazioni è chiamata con quel soprannome. Nella conversazione del 18-11-2009 progr. 9, il tribunale del riesame ha pure individuato in T. il Ci. atteso dai cugini C. e L., i quali affermano che "quel tossico" arriverà alle 15,30 e che ora sta dormendo. Tale individuazione è stata ritenuta non smentita da un successivo scambio di battute tra i due in cui L. parla di un soggetto le cui caratteristiche non corrispondono a quelle di T., indicandolo come un cugino della madre (di L.), di fede calcistica laziale, e definendolo un deficiente al quale ha fatto delle "crepe" (fregature) nel vendergli del fumo. Il tribunale ha infatti ritenuto trattarsi all’evidenza di persona diversa dal primo, sia perchè è inverosimile che C. e L. si fidassero di un collaboratore definito da loro stessi deficiente, sia perchè tra le due conversazioni intercorrono cinque minuti non inseriti nella trascrizione.

Secondo il ricorrente, invece, che si tratti di due discorsi diversi, è mera congettura del tribunale, che ha poi motivato in modo contraddittorio affermando che i due indagati non possono verosimilmente fidarsi di un "deficiente", mentre possono fidarsi di un "tossico". La persona evocata nella conversazione è quindi una sola e non può trattarsi dell’indagato per mancata corrispondenza alle sue caratteristiche.

L’ambientale progr. 2147 del 7-12-2009, ore 18,53, è infine richiamata nel ricorso come unico elemento citato nell’ordinanza a sostegno dell’ipotesi di spaccio contestata, per censurare la carenza di motivazione sul punto, emergendo dalle intercettazioni l’assenza di qualunque accordo sull’acquisto dello stupefacente.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

Non sussiste la censurata carenza o illogicità di motivazione in ordine all’individuazione in T. del " Ci.", presente – o evocato – in numerose conversazioni intercettate.

Invero neppure il ricorrente contesta che il " Ci." che nella conversazione n. 1581 del 1-12-2009, ordina a C. tre "pacchi" (ove è palese il riferimento a tre etti di stupefacente, dal momento che C. afferma di averne ricevuti cinque, smistati o da smistare a vari destinatari), sia la stessa persona che qualche minuto dopo, nel prosieguo della conversazione, ammette, senza possibilità di dubbio, di essere l’indagato, dal momento che comunica agli interlocutori che la moglie ( M.A.) e la figlia ( T.M.) si sono registrate su Facebook.

Ciò dimostra che T. acquista stupefacente in quantitativi rilevanti dall’indiscusso capo del sodalizio criminoso, C., la cui abitazione è risultata, dalle intercettazioni ambientali, fulcro di una frenetica attività di incontri, nonchè di preparazione, confezionamento e smistamento delle sostanze stupefacenti, con inequivoco riferimento a quantitativi e a corrispettivi.

A fronte di quanto appena osservato, il dubbio che il Ci. di cui C. e il cugino L. parlano in terza persona tra la prima e la seconda tranche della conversazione, non sia l’indagato, ma un terzo con lo stesso soprannome, non ha fondamento essendo plausibile, come ritenuto dal tribunale del riesame, che in quel momento T. si fosse momentaneamente allontanato dall’ambiente della casa in cui si trovavano gli altri due, com’è dimostrato dal fatto che non partecipa al colloquio in cui si parla del Ci..

Inoltre, come i giudici del riesame non hanno mancato di evidenziare, del presunto Ci. diverso da T. non viene mai fornito – neppure nelle ulteriori conversazioni in cui non è presente, ma si parla di lui (7-12-2009 n. 2124 ore 13,05, e n. 2144 ore 18,10; 8-1- 2010 n. 5127, nelle quali il Ci. è indicato come acquirente rispettivamente di un etto e di mezz’etto di sostanze imprecisate e di mezz’etto di fumo) – alcun particolare identificativo atto a distinguerlo dal Ci. – T., anch’egli, com’è pacifico, acquirente di stupefacenti. Il che induce alla conclusione che il Ci. sia uno solo, da identificarsi in T. grazie alla sua stessa ammissione nella conversazione già ricordata.

Nè è sufficiente ad avvalorare l’ipotesi dell’esistenza di un secondo Ci., la circostanza che, nella seconda conversazione evocata nel ricorso, si parlerebbe di lui come di un deficiente, del tutto inaffidabile, quindi, quale collaboratore del duo C. – L..

Infatti nell’ordinanza impugnata è stato osservato, con motivazione logica e non contraddittoria, che i personaggi di cui si parla nella telefonata ben possono essere due, il primo, Ci., di cui si attende la venuta, definito tossico, il secondo, a cui si fa riferimento dopo un salto di cinque minuti nella trascrizione, cugino della madre di L., di fede calcistica laziale, definito un deficiente. Tale interpretazione è confermata sia dal rilievo che, nella seconda franche della conversazione, il personaggio evocato non è chiamato Ci., sia dalla considerazione logica che, come osservato dal tribunale, i due cugini non si fiderebbero certo di un "deficiente" quale loro collaboratore, mentre non è illogico che si possano fidare di un "tossico", come è definito il Ci., posto che è assai frequente che chi opera nel traffico degli stupefacenti, sia anche un assuntore di tali sostanze.

Del tutto infondato è poi il motivo inerente alla carenza di motivazione in ordine ai reati fine. Invero già solo la conversazione evocata dal ricorrente in chiusura del ricorso, ma non accompagnata dalla descrizione del contenuto, milita proprio a favore della sussistenza dei gravi indizi, laddove C. dice di dover dare mezz’etto al Ci. che glielo paga, e, alla domanda di P. M. "Ti ha detto coi soldi subito? …glielo metti pure a lui?", C. risponde: "no al Ci. no, che sei matto?", a conferma da un lato della cessione, dall’altro della posizione privilegiata di T., tipica dell’associato al quale vengono praticate condizioni di pagamento più favorevoli (n. 2147 del 7-12-2009).

Senza contare che anche altre conversazioni, ignorate nel ricorso, ma puntualmente citate dal tribunale, danno conto, inequivocamente, di acquisti da parte dell’indagato.

Ci si riferisce alla n. 2124 del 7-12-2009 ore 13,05, in cui C. afferma che deve dare, tra gli altri, un etto a Ci.;

alla n. 2144 ore 18,10 dello stesso giorno in cui lo stesso C. afferma che Ci. vuole mezz’etto e paga metà subito e metà dopo e che il prezzo praticato è di sessantadue; alla n. 5127 dell’8- 1-2010 in cui C. chiede al cugino L. se ha dato mezz’etto di fumo a Ci. e L. risponde affermativamente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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