Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-08-2011, n. 16913 Testamento olografo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. G., + ALTRI OMESSI convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Fermo la Fondazione Luigi ed Elvira De Vecchis di Montefiore dell’Aso, esponendo di essere parenti di quinto e sesto grado di D.V.G., deceduto l’11 aprile 1956 senza eredi legittimari, il quale, dopo avere creato la fondazione ed averla dotata di alcuni cespiti immobiliari, l’aveva istituita erede universale del suo cospicuo patrimonio con testamento olografo, pubblicato il 14 aprile 1956, contenente le specifiche modalità di amministrazione dei beni, ivi compreso il divieto di vendita degli stessi, ed i fini da perseguire, tra i quali la cura e manutenzione della chiesa di San Giovanni e della tomba di famiglia, la istituzione di scuole nei settori dell’agricoltura e dell’artigianato, la nomina e il compenso del religioso incaricato delle funzioni per la chiesa. Aggiunsero che il divieto di vendita dei beni era stato violato ripetutamente, che per due volte il Consiglio comunale di Montefiore dell’Aso aveva sciolto il consiglio di amministrazione della fondazione per il dissesto accumulato, e chiesero pertanto che essa venisse dichiarata decaduta dallo status di erede in forza di apposita clausola risolutiva espressa contenuta nel testamento, con conseguente apertura della successione legittima e condanna della fondazione convenuta a restituire loro i beni residui caduti in successione.

2. – Il Tribunale adito rigettò la domanda, ritenendo che la scheda testamentaria limitasse il divieto di vendita dei beni all’approvvigionamento delle risorse necessarie per l’eventuale perseguimento di fini ulteriori rispetto a quelli menzionati, e che comunque la condizione risolutiva, e non clausola risolutiva espressa, avesse riguardo solo al perseguimento dei fini, mentre la valutazione relativa alla vendita dei beni andava inquadrata nell’ambito delle concrete modalità di amministrazione. La domanda quindi non poteva trovare accoglimento, per essere stata fondata solo sulla vendita dei beni e non sul mancato perseguimento dei fini assegnati dal testatore alla fondazione.

3. – Avverso tale decisione gli attori nonchè l’erede di Co.

S., deceduta nelle more, C.R., proposero gravame.

La Corte d’appello di Ancona, disposta d’ufficio la integrazione del contraddittorio nei confronti di Co.Mi., e l’espletamento di consulenza tecnico-contabile, con sentenza depositata il 14 dicembre 2007, accolse il gravame, dichiarando avverata la condizione risolutiva apposta nel testamento, con conseguente decadenza della fondazione dalla qualità di erede universale e delazione legittima dell’eredità agli appellanti, tra i quali non menzionò il Co., e condanna della Fondazione alla restituzione di quanto residuava del patrimonio ereditario. La Corte di merito, premesso che dal testo della scheda testamentaria appariva univoca la volontà di subordinare risolutivamente l’istituzione di erede in favore della fondazione al verificarsi degli eventi ivi indicati, costituenti, secondo il tenore letterale del testamento, "tassativamente condizioni essenziali della istituzione di erede e che, se non osservati, ne implicherebbero la decadenza", ritenne non condivisibile il duplice presupposto, dal quale era partito il primo giudice, che il testamento non prevedesse un divieto generalizzato di alienazione dei beni ereditari, e che il testatore avesse inteso condizionare la istituzione di erede alla sola esecuzione degli oneri ed al perseguimento dei fini, e non anche alle modalità di amministrazione, costituenti meri strumenti per la realizzazione di detti fini. Sotto il primo profilo, osservò la Corte di merito che in diversi passaggi del testamento si faceva riferimento alle rendite che avrebbero dovuto permettere di conseguire i fini della fondazione, e che in nessun caso si menzionava la possibilità di alienazione dei beni, mentre il divieto di vendita risultava previsto in generale. Del resto, anche all’atto della creazione della fondazione era stato previsto che al perseguimento dei suoi scopi essa provvedesse con le rendite dei beni ad essa donati. Così interpretata la volontà del testatore, doveva altresì escludersi che la condizione risolutiva apposta riguardasse solo il perseguimento dei fini e non anche la buona amministrazione dei beni.

Al riguardo, la Corte sottolineò che dalla disposta c.t.u. era emerso che non si era nemmeno trattato di vendita di singoli cespiti, ma di vera e propria spoliazione di buona parte del patrimonio devoluto per testamento alla fondazione. Tale sistematica violazione del divieto di alienazione e dell’onere di buona amministrazione aveva poi determinato la sostanziale impossibilità di realizzare i fini indicati dal testatore.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Fondazione Luigi ed Elvira De Vecchis sulla base di sei motivi. Hanno resistito con controricorso G.G., + ALTRI OMESSI .

Questa Corte, con ordinanza del 18 novembre 2009, ha disposto la integrazione del contraddittorio nei confronti di Co.Mi., e, se deceduto, nei confronti degli eredi. Il contraddittorio è stato integrato nei confronti di R.C., primo successibile in grado, nonchè nei confronti dello Stato, per non essere risultata, a distanza di oltre dieci anni dall’apertura della successione, una manifestazione della volontà del C. di acquistare la qualità di erede.
Motivi della decisione

1. – Deve preliminarmente essere esaminata la eccezione dei controricorrenti concernente la ritenuta invalidità della procura conferita dal dott. P.G. per la rappresentanza e difesa della Fondazione Luigi ed Elvira De Vecchis nel giudizio innanzi a questa Corte. Secondo i resìstenti, il predetto P. sarebbe stato privo del potere di rappresentanza della Fondazione, non essendo ma: stato eletto alla carica di presidente e legale rappresentante della stessa, e ne avrebbe rappresentato, pertanto, illegittimamente il comitato amministrativo, peraltro irregolarmente costituito. Ciò in quanto egli si sarebbe insediato nella funzione su designazione della Regione Marche, secondo la quale assumerebbe le funzioni di presidente di diritto della Fondazione, ai sensi della L.R. n. 34 del 1996 e dell’art. 4 dello statuto dell’ente, il rappresentante all’interno del Comitato amministrativo designato dalla stessa Regione, laddove, per un verso, la citata legge non sarebbe applicabile alle fondazioni, nei confronti delle quali la Regione non potrebbe che esercitare funzioni di controllo e vigilanza, per l’altro, lo statuto della Fondazione Luigi ed Elvira De Vecchis era stato modificato con delibera del comitato amministrativo del 15 settembre 1995, che aveva eliminato la precedente previsione statutaria relativa all’assegnazione della carica di Presidente al Capo dell’Ispettorato Agricoltura, di Ancona o ad un suo delegato. Comunque – rilevano i resistenti – anche prima di tale modifica, la nomina del Presidente era stata sempre effettuata dal comitato amministrativo. Nè sarebbe stata rinvenibile tra i documenti agli atti alcuna deliberazione del predetto comitato di autorizzazione del dott. P. ad agire in giudizio e a gravare dei relativi oneri l’ente ricorrente.

2.1. – La eccezione non risulta meritevole di accoglimento.

2.2. – Dagli atti depositati risulta che il dott. P. conferì, quale presidente e legale rappresentante della Fondazione Luigi ed Elvira De Vecchis, la delega a rappresentare e difendere la stessa Fondazione nel presente giudizio, in esecuzione di Delib.

Comitato Amministrazione in data 13 febbraio 2008, con la quale era stato deciso appunto di proseguire il giudizio mediante ricorso per cassazione ed erano stati individuati gli avvocati cui affidare l’incarico, e nella quale egli figurava come Presidente del comitato.

Come tale egli era stato riconosciuto, del resto, già dalla prima seduta del comitato medesimo, in quanto a ciò delegato dal dirigente responsabile della Regione Marche in materia di agricoltura, ai sensi dell’art. A dello statuto dell’ente, come modificato per effetto della Delib. Giunta Regionale Marche 4 marzo 1996, n. 637 che aveva sostituito tale figura a quella del capo dell’Ispettorato Agrario Compartimentale, prevista nella versione originaria.

Infine, come documentato dalla ricorrente, il dott. P. risulta indicato come Presidente e legale rappresentante della Fondazione nel registro regionale delle persone giuridiche.

Nè alcuna valenza può attribuirsi, nella presente sede, alla circostanza, dedotta dai resistenti, relativa ad una pretesa irregolarità nella costituzione del predetto comitato amministrativo per mancanza di un componente.

3. – Con il primo motivo di ricorso, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1369 cod. civ., anche in relazione all’art. 633 cod. civ. – violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per errata e violativa interpretazione del testamento redatto da D.V.G., pubblicato il 14.4.1956, in relazione alla reale ed effettiva intenzione e alla volontà del testatore, nonchè al significato specifico e concreto delle singole disposizioni ed espressioni dallo stesso usate, nonchè ancora in relazione sia alla mentalità e alla personalità del testatore D.V.G. e sia alla corretta applicazione degli artt. 1362, 1363, 1368 e 1369 cod. civ. ed in particolare,in stretta relazione anche con l’art. 633, il tutto con evidente, manifesta e insanabile violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonchè per insufficienza e contraddittorietà della motivazione e rivalutazione, sul piano logico-giuridico, sia della volontà che di tutti gli elementi acquisiti, in relazione allo scopo voluto dal testatore e all’interno di thema decidendum, con attribuzione agli elementi acquisiti di un significato del tutto inconciliabile con il suo effettivo contenuto e con assoluta incompatibilità razionale dei vari elementi di causa acquisiti.

Violazione dei principi ermeneutici di interpretazione del testamento indicati dalla legge.

Il motivo è corredato del seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se nell’interpretazione del testamento devono essere applicati i principi generali di ermeneutica enunciati dagli artt. 1362, 1363, 1367 e 1369 cod. civ., e se quindi il giudice debba accertare quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico del testamento, salvaguardando il rispetto del principio di conservazione del testamento". 4. – Con la seconda censura si deduce violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di qualificazione della domanda e dei poteri del giudice; violazione art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3. li quesito formulato a corredo del motivo è il seguente: "Dica la Corte se, fondata la domanda dall’attore sul presupposto della esistenza di una clausola risolutiva espressa, la stessa previsione contrattuale possa essere interpretata dal giudicante come condizione risolutiva, e si possa quindi produrre un effetto retroattivo della pronuncia non richiesto dalle parti, ovvero se una tale diversa interpretazione non sostami una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c.". 5. – Con la terza doglianza si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 633 e 634 c.c.; violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto, ove la clausola di cui al capoverso 3 dell’art. 3 del testamento fosse interpretabile come condizione risolutiva, concretizzatesi nella imposizione alla Fondazione di non procedere alle vendite in maniera indiscriminata ed a tempo indeterminato, dovrebbe rilevarsene la illiceità e comunque la invalidità e dovrebbe pertanto essere considerata come non apposta. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione in merito alla esistenza del presupposto della domanda attrice e cioè in merito all’accertamento ed alla dichiarazione di validità e della attuale cogenza delle disposizioni testamentarie ed in particolare di quella inerente l’esclusione della vendita dei beni.

La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se ai sensi degli artt. 634 e 1379 c.c., anche in virtù dell’art. 1324 c.c., la clausola testamentaria che contiene il divieto perpetuo di alienare beni ereditar, e non è quindi circoscritta in convenienti limiti di tempo, è illecita e invalida e se quindi il giudice non debba considerarla non apposta". 6. – Con la quarta censura si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5 per assoluta carenza di motivazione nonchè errata valutazione degli atti e delle risultanze acquisite al procedimento;

violazione art. 633 in combinazione con l’art. 648 c.c..

In merito a tale censura si solleva il seguente quesito di diritto:" Dica la Corte se ai sensi dell’art. 648 c.c. la risoluzione della disposizione testamentaria possa essere decisa solo in presenza di un inadempimento assoluto e definitivo e se quindi il giudice debba accertare l’effettiva esistenza dell’inadempimento e la sua consistenza". 7. – La quinta doglianza ha ad oggetto violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 287 c.p.c. Violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, e si completa con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se la sentenza pronunciata in favore del de cuius deceduto nel corso del giudizio di appello che non da atto della costituzione degli eredi e nella quale non c’è alcuna traccia del decesso e della nuova costituzione sia emendabile con il procedimento previsto dagli artt. 281 e 288 c.p.c. ovvero sia affetta da nullità". 8. – Con la sesta censura si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 331 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione in merito alla diversità dei soggetti indicati nel dispositivo rispetto a quelli indicati come appellanti.

A corredo del motivo è formulato il seguente quesito di diritto:

"Dica la Corte se la sentenza che non dia alcun conto dell’avvenuta o meno integrazione del contraddittorio disposta dal giudice non debba dichiarare inammissibile l’impugnazione. Dica altresì se ai sensi dell’art. 132 c.p.c. la sentenza che indica soggetti diversi nell’epigrafe e nel dispositivo, senza dare motivazione di ciò, non sia affetta da nullità per incertezza circa l’indicazione delle parti". 9. – Preliminare all’esame dei motivi di ricorso è la valutazione della integrità o meno del contraddittorio nel giudizio di appello.

Al riguardo, premesso che Co.Mi., nei cui confronti la Corte d’appello, con ordinanza del 26 giugno 2003, aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio in quanto attore, insieme agli altri successibili del D.V., nel giudizio di primo grado, è risultato essere deceduto il 12 marzo 1999, e che la sorella Co.

S., che, peraltro, aveva rinunciato all’eredità, era deceduta il 29 aprile 2000, prima della proposizione dell’appello, va rilevato che il figlio di costei, C.R., presente nel giudizio quale erede della madre, a sua volta, rinunciò alla eredità del Co..

Tuttavia, risulta dagli atti che, alla data della ordinanza di integrazione del contraddittorio, C.R. aveva già due figli, F., nata nel (OMISSIS), e N., nato nel (OMISSIS):

sicchè costoro, che, per effetto dell’istituto della rappresentazione ex artt. 467 e 468 cod. civ., subentravano al padre nel diritto di acquistare l’eredità del Co., cui questi aveva rinunciato, avrebbero dovuto essere destinatari dell’atto di integrazione del contraddittorio.

Nè può in alcun modo rilevare in contrario la circostanza che il C. abbia successivamente revocato la propria rinuncia all’eredità del Co.. Anzitutto, tale revoca è intervenuta solo nel 2009. Comunque, deve rilevarsi sul punto che la revoca della rinuncia all’eredità, di cui all’art. 525 cod. civ. non costituisce, anche sotto il profilo formale, un atto o negozio giuridico autonomo, bensì l’effetto della sopravvenuta accettazione dell’eredità medesima da parte del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal mero riscontro della validità ed operatività di tale successiva accettazione, sia essa espressa o tacita (v. Cass., sent. n. 3457 del 1984).

La omissione della integrazione del contraddittorio comporta la inammissibilità del gravame, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo. Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, e, decidendosi nel merito, deve essere dichiarato inammissibile l’appello.

Avuto riguardo alla particolarità della controversia ed alle sue alterne vicende, si ritiene equo disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio di appello e di quello di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di appello e di quello di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *