Cass. pen., sez. I 27-03-2009 (12-03-2009), n. 13559 Mancanza del nominativo di un imputato in dispositivo – Trattazione della sua posizione in motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RILEVA IN FATTO
1. – Con sentenza, deliberata il 24 ottobre 2005 e depositata il 22 agosto 2008, la Corte di appello di Lecce – in relazione a quanto assume rilievo nel presente scrutinio di legittimità – ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce 31 maggio 2004 di condanna alle pene ritenute di giustizia a carico di M.D., di S.A., di D.C.P.R., di C. I. e di F.S., imputati del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ai sensi del D.P.R. 9 ottobre del 1990, n. 309, art. 74, e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo A) e dei delitti di traffico continuato e aggravato di stupefacenti, ai sensi degli artt. 110, 81 c.p., D.P.R. cit., art. 73, art. 80, comma 2, loro rispettivamente ascritti ai capi B/1, B/2, B/3, B/6, B/11, B/12, B/13, B/14, B/16, B/17 e B/18.
I giudici di merito hanno accertato la partecipazione degli imputati alla associazione per delinquere in parola, capeggiata da P. R. a da T.R., radicata nella zona di (OMISSIS), dedita al traffico degli stupefacenti e al favoreggiamento della immigrazione clandestina, e il concorso dei giudicabili nei reati fine, sulla base di una serie cospicua di intercettazioni telefoniche tra i sodali, nonchè tra costoro e gli acquirenti (comunicazioni tutte diffusamente riprodotte nel corpo della motivazione), sulla base di servizi di osservazione della polizia giudiziaria e sulla base dei sequestri di vari quantitativi di droga.
Il sodalizio disponeva di canali di approvvigionamento, di adeguata provvista di mezzi finanziari nonchè di beni strumentali (veicoli e apparecchi telefonici radiomobili), nella promiscua disponibilità degli associati.
Con riferimento ai motivi di gravame la Corte territoriale ha motivato: (a) quanto a M., D.C. e F., l’identificazione degli imputati è comprovata per M. dalla intestazione e dalla accertata disponibilità della utenza radiomobile utilizzata nelle comunicazioni intercettate; per D. C. dal riconoscimento della voce operato dal teste D. N., dall’uso della utenza fissa intestata a Ta.Se., convivente del fratello dell’imputato; dal personale riferimento all’arresto subito il (OMISSIS) dal giudicabile, contenuto in successiva conversazione telefonica; per F. dal controllo di polizia in occasione dell’incontro concordato telefonicamente con P. e dall’uso promiscuo della utenza di M.; (b) l’inserimento nella catena di distribuzione della organizzazione, quali cessionari del P. e distributori a loro volta nella zona di (OMISSIS), desunto dalla pluralità e reiterazione dei contatti con P. e dalla commissione dei reati fine, integra la partecipazione alla associazione per delinquere; (c) il complesso della comunicazioni telefoniche intercettate, la considerazione organica e coordinata dei relativi contenuti e della sequenza delle telefonate e degli incontri, disvelano la trama degli illeciti rapporti, scanditi, in attuazione del programma associativo, nella perpetrazione dei reati fine, rispettivamente ascritti agli appellanti, nonchè la piena consapevolezza degli imputati anzidetti;
e rendono prive di pregio le obiezioni difensive, per un verso affatto generiche, per altro "disancorate" dalla "complessiva" considerazione del contesto di riferimento; (d) fuori luogo è la doglianza per la aggravante della ingente quantità, non contestata agli appellanti in parola ai capi anzidetti; (e) non ricorrono le ipotesi, previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e art. 74, comma 6, in considerazione della gravità delle condotte, delle quantità delle partite di stupefacente trattate, della ramificazione della associazione, del canale di approvvigionamento transfrontaliero; (f) quanto a S., la colpevolezza dell’appellante, sia in ordine al delitto associativo, con lo specifico ruolo di ausiliario del cognato P., di depositario e di custode della droga nel garage della propria abitazione di (OMISSIS) che in ordine ai reati fine, a lui ascritti, è comprovata dalle numerose intercettazioni delle comunicazioni telefoniche con P., integrate dalle coordinate risultanze della diretta osservazione eseguita, in concomitanza, dalla polizia giudiziaria; la protesta difensiva di estraneità alla associazione ai traffici e la alternativa e riduttiva prospettazione della natura dei rapporti col congiunto, sono palesemente confutati dal pieno e indiscutibile coinvolgimento dell’appellante nella fornitura (capo B/18) di ventidue chilogrammi di droga, consegnati il (OMISSIS) ai trafficanti (OMISSIS) M. e F., ricevuti da S. al casello autostradale e, quindi, condotti presso la propria abitazione, al "deposito" per il carico dello stupefacente;
correlato all’episodio è l’incarico affidato da P. al sodale di provvedere alla pesatura; la droga fu, poi, sequestrata dalla polizia giudiziaria, durante il viaggio di ritorno, in prossimità di (OMISSIS); la vicenda assurge a elemento di vera e propria chiave di lettura di tutte le copiose concorrenti risultanze probatorie; (g) quanto alla C., la serie delle comunicazioni telefoniche con L., con B., con Pa. suffragano l’accertamento delle condotte di intermediazione, di offerta e di cessione, enunciate ai capi B/1, B/2 e B/3 sulle base del tenore della conversazioni e delle assicurazioni fornite dalla giudicabile agli interlocutori; in relazione al delitto associativo le obiezioni difensive sono superate dalla considerazione della natura del rapporto con P., "fornitore principale" della C. "di sostanza stupefacente da destinare al successivo smercio"; dalla "dimestichezza palesata dall’imputata rispetto alla attività di narcotraffico"; dalla intraneità alla associazione rivelata dalla donna nella conversazione del (OMISSIS) con P., con riferimento alla solidale percezione dei proventi della rivendita della droga e alla riconosciuta conoscenza delle "dinamiche interne della organizzazione".
2. – Ricorrono per cassazione gli imputati anzidetti.
3. – M. e F., col ministero del difensore di fiducia, avvocato Dell’Orfano Lumeno, mediante atto del 7 ottobre 2008, sviluppa tre motivi.
3.1 – Con il primo motivo il difensore denunzia, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), vizio di motivazione, anche sotto il profilo della formale violazione dell’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione al delitto di acquisto di marijuana dell’ (OMISSIS).
Il ricorrente sostiene: la intercettazione della telefonata del (OMISSIS) tra P. e D.C. è equivoca e non idonea a sorreggere l’accertamento della colpevolezza; gli imputati non sono tra gli interlocutori della conversazione; non è dimostrata con sicurezza la loro identificazione attraverso i diminutivi di (OMISSIS) e di (OMISSIS); D.C. non è al corrente dei particolari della cessione, nè indica la fonte di quanto è a sua conoscenza.
3.2 – Con il secondo motivo il difensore reitera la censura in relazione al capo che concerne il delitto associativo e oppone: manca la prova circa "l’approvvigionamento continuo e duraturo nel tempo" di stupefacenti da parte degli imputati; i contatti con P. si svilupparono in un arco temporale contenutissimo, di circa trenta giorni, tra (OMISSIS), e furono tutti finalizzati all’acquisto di una unica partita di stupefacente, la quale fu poi sequestrata, a Salerno, durante il trasporto a opera del corriere Cofano; difetta, pertanto, il requisito della "stabilità" del supposto accordo criminoso; è, infine, comunque, carente l’elemento psicologico del delitto associativo; gli imputati trattarono l’acquisto esclusivamente con P.; non ebbero contezza che costui fosse il capo di una associazione; nè di detta associazione intesero "farne parte"; l’unicità dell’acquisto non implica "la disponibilità continuativa .. ad acquistare quantitativi di droga?’. 3.3 – Con il terzo motivo il difensore denunzia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), in relazione agli art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), e D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 80, comma 2, l’omessa pronuncia della Corte territoriale sullo specifico motivo di gravame circa la esclusione della aggravante della ingente quantità di stupefacente.
4. – D.C. ricorre personalmente, mediante dichiarazione resa, ai sensi dell’art. 123 c.p.p., al Direttore della Casa circondariale di (OMISSIS), nonchè col ministero del difensore di fiducia avvocato Rella Luigi, mediante atto dell’8 ottobre 2008.
4.1 – L’imputato, col ricorso personalmente redatto, dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), "vizio di legge", "inosservanza o erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p.", mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ritenuta meramente apparente e travisamento del fatto.
In proposito oppone: la motivazione "si risolve nella mera elencazione delle conversazioni oggetto di occulta captazione"; nè giova il rinvio per relationem alla sentenza di primo grado; decisivo è il rilievo che la individuazione della voce di esso imputato, operata di verbalizzanti, non è "tranquillizzante"; in carenza della indagine peritale "non vi è certezza circa la omofonia tra il ricorrente e la persona che, di volta in volta, viene indicata nelle conversazioni intercettate, come p.".
4.2 – L’avvocato Rella sviluppa tre motivi con i quali dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, (primo motivo), in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, (secondo motivo), e in relazione agli artt. 81 e 133 c.p., (terzo motivo), nonchè mancanza o manifesta illogicità della motivazione (con tutti e tre i motivi).
4.2.1 – Con il primo motivo il difensore impugna l’accertamento della colpevolezza in ordine ai capi sub B/12, B/13, B/16 e B/17 che concernono altrettanti delitti di acquisto di marijuana e, al riguardo, obietta: le sole emergenze delle intercettazioni, in difetto di ulteriori mezzi di prova, non sono idonee a dimostrare le ipotesi di accusa; nelle conversazioni del (OMISSIS), non è contenuto alcun espresso riferimento a sostanze stupefacenti; nè, comunque, è dimostrato che le consegne ebbero effettivamente luogo;
le ultime due conversazioni potrebbero concernere lo stesso oggetto;
è "impossibile" la fornitura dell’ultima conversazione, dopo "pochi giorni dalla precedente; non è provata la quantità dello stupefacente; doveva, pertanto, essere ritenuta l’ipotesi della lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, in applicazione del principio del favor rei, anche in considerazione della "breve durata" delle condotte e della circostanza "che l’attività di spaccio del ricorrente era essenzialmente funzionale al soddisfacimento del proprio bisogno di sostanza stupefacente".
4.2.2 – Col secondo motivo, relativo al capo concernente il delitto associativo, il difensore oppone: non sussistono gli estremi della associazione; P. ha dichiarato di non conoscere l’imputato;
desta "grandi perplessita" l’identificazione nella persona di D. C. dell’interlocutore telefonico di P.; le conversazioni intercettate contrastano l’ipotesi di accusa; i contati sono circoscritti in arco temporale limitato all'(OMISSIS); non emerge dalle conversazioni l’attribuzione di alcun ruolo o attività in seno alla supposta associazione; difetta la stabilità della relazione, necessaria per configurare la iporesi criminosa della partecipazione; assolutamente carente è, poi, l’elemento psicologico del reato, sotto il profilo della volontà di apportare un contributo alla associazione e di partecipare stabilmente alla vita della stessa.
4.2.3 – Con il terzo motivo il difensore si duole, in via gradata, del trattamento sanzionatorie, e deduce: la pena è eccessiva; il ruolo dell’ imputato nella compartecipazione delittuosa è marginale;
i precedenti penali sono "di poco conto"; D.C. è "privo di particolare capacità criminale e pericolosità sociale".
5. – S.A., ricorre personalmente, mediante atto recante la data del 5 novembre 2008, col quale sviluppa tre motivi.
5.1 – Col primo motivo il ricorrente dichiara di denunziare ai sensi dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. "b)" – recte: c) -, inosservanza dell’art. 546 c.p.p., comma 3, ed erronea applicazione dell’art. 130 c.p.p., eccependo la nullità (o, pure, alternativamente la inesistenza) della sentenza impugnata per la mancanza del dispositivo per la parte che riguarda esso imputato, affatto pretermesso nel dispositivo letto alla udienza, allegato agli atti e, infine, riprodotto nella sentenza depositata.
Il ricorrente aggiunge che il vizio non è emendabile col rito della correzione degli errori materiali, come "inopinatamente ritenuto" dalla Corte territoriale la quale ha fissato udienza ai sensi dell’art. 127 c.p.p..
5.2 – Con il secondo motivo l’imputato denunzia, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza della motivazione, in ordine al delitto associativo.
Il ricorrente oppone: le comunicazioni telefoniche intercettate che lo riguardano sono poche; a dispetto della supposizione di una associazione dedita al traffico di stupefacenti e al favoreggiamento della immigrazione clandestina con relazioni anche internazionali, esso S. non risulta coinvolto "nelle ulteriori attività" nè emergono relazioni con gli altri sodali; i contatti con P. e la collaborazione offerta a costui "in alcune occasioni" trovano giustificazione nel rapporto di affinità; non è dimostrata la illazione che la droga sequestrata il 22 novembre 1997 ai corrieri che, in precedenza avevano sostato presso la casa del giudicabile in (OMISSIS), fosse stata colà prelevata e che l’abitazione fossa adibita a deposito della organizzazione.
5.3 – Con il terzo motivo l’imputato formula analoga denunzia in relazione all’accertamento della colpevolezza in relazione alla detenzione e alla custodia della partita di stupefacente, successivamente esportata in (OMISSIS) da P., e, in proposito, deduce: l’esistenza della sostanza non ha formato oggetto di positivo accertamento; i riferimenti al riguardo contenuti nelle conversazioni telefoniche sono "di dubbio senso"; mancano indizi gravi, precisi e concordanti; la condotta è, tutt’al più, qualificabile in termini di mera connivenza, per aver passivamente lasciato "libera disponibilità dei propri locali".
6. – C.I., col ministero del difensore di fiducia, avvocato Petrelli Marcello, mediante atto recante la data del 24 novembre 2008, sviluppa due motivi, con i quali dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea applicazione della legge penale, in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, (primo motivo) e in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (secondo motivo), nonchè mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione (con entrambi i mezzi).
6.1 – Con il primo motivo, dopo aver richiamato i principi di diritto fissati da questa Corte, in ordine alla fattispecie associativa in questione, e dopo aver riportato testualmente le deduzioni formulate con l’appello circa la carenza della dimostrazione della partecipazione della imputata alla associazione, in quanto i contatti intercorsi con P., per la loro sporadicità e per la durata ridottissima del relativo arco temporale non rappresentavano alcun "coinvolgimelo sistematico" nella supposta consorteria, nè importavano l’"impegno permanente e continuativo" richiesto dalla norma incriminatrice, il difensore lamenta che la Corte territoriale non ha dato conto delle specifiche censure, avendo fatto mero riferimento alla pluralità delle occasioni in cui la giudicabile aveva fornito a terzi sostanze stupefacenti; alla ulteriore circostanza che la C., in tali occasioni, trattò con P. "il quale capeggiava il sodalizio" e alla (meramente ipotizzata) partecipazione della giudicabile alla divisione dei proventi; siffatto assunto è manifestamente illogico; dalle conversazioni risulta che la C. si proponeva a P. non già come "possibile coadiutrice", bensì quale "controparte contrattuale", in tal senso depongono i riferimenti al regolamento finanziario degli acquisti che escludono l’esistenza della "cassa comune"; l’interpretazione della Corte territoriale della particella pronominale "ci", usata dalla donna, a proposito degli incassi previsti, è inficiata da "evidente errore logico" alla stregua della considerazione delle "forme linguistiche" della C., rese palesi dalla successiva conversazione con Pa.Gi., estraneo alla associazione, che la giudicabile accomuna a sè in contrapposizione agli associati; la contestazione non assegna alla imputata alcun ruolo nella associazione e delimita temporalmente la partecipazione fino al (OMISSIS); epperò, a fronte dei "tre momenti" di contatto con P., contenuti nell’arco di soli venti giorni, tra (OMISSIS), manca la prova che, all’epoca, l’associazione fosse stata già costituita; mentre la permanenza del sodalizio si ipotizza protratta (quanto agli altri sodali) fino al giugno dell’anno successivo.
6.2 – Con il secondo motivo il difensore censura l’accertamento della colpevolezza in ordine ai delitti di detenzione e offerta di stupefacente di cui ai capi sub B/1, B/2 e B/3, assumendo che le intercettazioni non offrono la dimostrazione della effettiva disponibilità della sostanza da parte della imputata; in particolare, quanto al capo B/1, non risulta provato che il trafficante B. avesse effettivamente rifornito la C. della droga, inizialmente commissionata da L. alla giudicabile e da costei successivamente offerta a Pa.; la assicurazione della imputata di disporre della droga non vale a provare la veridicità dell’assunto; soccorre in proposito l’arresto di legittimità del 7 aprile 1995, n. 7943, circa la necessità del requisito della "serietà" della offerta; quanto al capo B/2, la imputata millantava con l’acquirente ( Pa.) che si fosse procurata la droga da P., non essendo stata definita la cessione tra costoro; quanto al capo B/3, è illogica l’inferenza che il mero appuntamento, concordato col supposto cessionario (ancora Pa.), implicasse la acquisita disponibilità dello stupefacente e la successiva, effettiva transazione.
7. – Fondato – e assorbente delle censure formulate in implicito subordine con gli altri due mezzi di impugnazione – è il primo motivo del ricorso di S..
Il dispositivo deliberato dalla Corte territoriale, sottoscritto dal presidente, letto alla udienza e allegato al fascicolo processuale (peraltro testualmente e fedelmente riprodotto nella sentenza impugnata), non reca alcuna menzione del gravame dell’imputato, nè contiene citazione onomastica di sorta di S..
Pertanto la residuale statuizione di conferma "nel resto" della sentenza appellata e la condanna alle spese processuali si riferiscono inevitabilmente ed esclusivamente ai soli appellanti indicati nel dispositivo.
Risulta, così, perfettamente integrata la specifica ipotesi di nullità contemplata dall’art. 546 c.p.p., comma 3, della mancanza (radicale) del dispositivo in relazione all’imputato S..
Nulla rileva che la Corte territoriale nella sentenza, successivamente depositata, abbia trattato la posizione del ricorrente e, nella parte motiva, abbia argomentato per la conferma nei suoi confronti della condanna di prime cure.
Invero, secondo la sequenza del rito dibattimentale, il dispositivo "costituisce il mezzo con il quale è immediatamente estrinsecata la volontà del giudice" (Cass., Sez. 6^, 4 giugno 1997, n. 6753, Finocchi, massima n. 211005), mentre la motivazione "adempie una finalità permanente strumentale ed è improduttiva di conseguenze giuridiche se non trova la sua conclusione nel dispositivo" (Sez. I, 28 aprile 1995, n. 8277, Pagliardi, massima n. 202119).
In tal senso è consolidato l’orientamento di questa Corte nella affermazione del tradizionale principio di diritto della "logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo" (Sez. 4^, 6 dicembre 2007, n. 2996/2008, Kadri, massima n. 238672; Sez. 6^, 27 aprile 2007, n. 35802, Manzi, massima n. 237422; Sez. 2^, 9 giugno 2005, n. 23489, Gasparrini, massima n. 231886; Sez. 6^, 10 luglio 2003, n. 37392, Gullì, massima n. 226915; Sez. 5^, 18 ottobre 1999, n. 4973/2000, Cucinotta, massima n. 215769; e Sez. 3^, 22 giugno 1999, n. 11353, Procopio, massima n. 214799).
E, proprio in termini, soccorre lo specifico arresto di questa Corte in relazione ad analoga ipotesi di nullità della sentenza, à sensi dell’art. 546 c.p.p., comma 3, per la pretermissione onomastica dell’imputato nel dispositivo letto alla udienza e allegato agli atti (Sez. 5^, 12 febbraio 1999, n. 745, Cutino, massima n. 212770), con la conseguente esclusione della possibilità dell’esperimento del procedimento di correzione degli errori materiali (Cass., Sez. 6^, 18 maggio 1993, n. 8677, Leonardi, massima n. 195995; Sez. 6^, 8 ottobre 1993, n. 2760/1994, Negro, massima n. 197718 e Sez. 5^, 18 ottobre 1999, n. 4973, cit.).
Il tempestivo e rituale esperimento del ricorso per cassazione da parte dell’imputato rende superfluo l’approfondimento della ulteriore questione, se la rilevata patologia integri il vizio più radicale della inesistenza della decisione, configurabile alla stregua del principio di diritto secondo il quale "nei casi di assoluta mancanza del dispositivo, la sentenza deve considerarsi come inesistente, perchè insuscettibile di passare in giudicato", restando, così, impregiudicata la possibilità di accertamento della "lacuna decisoria" pure "in assenza di impugnazione delle parti" (Cass., Sez. 6^, 18 maggio 1993, n. 8677, cit.).
Conseguono l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di S.A. e il rinvio, per nuovo giudizio, alla Sezione distaccata di Taranto della Corte di appello di Lecce.
8. – I ricorsi di M.D., di D.C.P. R., di C.I. e di F.S., sono manifestamente infondati.
8.1 – Deve in limine rilevarsi che affatto fuori luogo e priva di aggancio al contesto processuale è la doglianza dei ricorrenti M. e F. per la mancata esclusione della aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2.
La aggravante in parola non figura, infatti, contestata ai suddetti ricorrenti, alla stregua delle imputazioni loro ascritte nella epigrafe della impugnata sentenza, nè tampoco è mai stata ritenuta a loro carico dal giudice di prime cure.
Nella redazione dei capi di imputazione compresi da B/1 a B/19 – il terzultimo e il penultimo sono ascritti a M. e a F. – il Pubblico Ministero, al fine evidente di evitare inutili ripetizioni, ha usato l’accorgimento di porre in evidenza in un preambolo generale, contraddistinto dalla lettera B, i riferimenti normativi, in gran parte coincidenti, relativi alle singole imputazioni nonchè la enunciazione delle tipologie delle condotte, successivamente specificate nei capi appresso scanditi con riferimento a ciascun imputato.
E, con particolare riferimento alla aggravante de qua, il Procuratore della Repubblica ha curato di precisare che la contestazione della medesima era operata, là dove era espressamente indicato che si trattava di "quantitativi ingenti".
Orbene, siffatta indicazione non è contenuta nei capi B/17 e B/18 ascritti a M. e a F..
Sicchè è fuori questione che gli imputati in parola non rispondono – nè hanno riportato condanna – per la aggravante, della cui mancata esclusione incongruamente e ingiustificatamente si dolgono.
8.2 – Non ricorre – alla evidenza – il vizio della violazione di legge, sotto variamente dedotto dai ricorrenti:
– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);
– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo Corte di appello esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.
In relazione a tale, ultimo profilo, è appena il caso di aggiungere che l’invocato arresto di legittimità dalla ricorrente C. (col secondo motivo) non conforta la tesi della ricorrente in ordine alla necessità dell’indispensabile concorso di ulteriori elementi probatori a supporto della assicurazione, offerta dall’imputato nel corso di conversazioni (intercettate) con i contraenti, circa la effettiva disponibilità della sostanza stupefacente, promessa in vendita: nel particolare caso scrutinato era, infatti, risultato che si trattava di mere vanterie dell’imputato, il quale, a dispetto degli impegni assunti con l’acquirente, si era reiteratamente reso inadempiente, così dimostrando l’assoluto difetto di "serietà" della proposta (v. in exstenso: Sez. 6^, 7 aprile 1995, n. 7943, Franzone).
8.3 – In relazione alle questioni controverse in punto di fatto, circa la identificazione degli imputati, circa la interpretazione delle conversazioni intercettate, circa il concorso dei giudicabili nella perpetrazione dei reati – fine, circa la sussistenza della associazione, circa la compartecipazione dei ricorrenti alla consorteria criminale, nonchè in ordine al trattamento sanzionatorio la Corte territoriale ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte:
Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.
Gli è che nel tessuto motivazionale della ordinanza impugnata questa Corte non rileva:
– nè il vizio della contraddittorietà della motivazione che consiste nel concorso (dialetticamente irrisolto) di proposizioni (testuali ovvero extra testuali, contenute in atti del procedimento specificamente indicati dal ricorrente), concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente e univocamente la negazione dell’altra e viceversa;
– nè il vizio della illogicità manifesta che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale e/o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p., ovvero alla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione.
Epperò le censure difensive – per quanto è dato apprezzare e sindacare nella sede del presente scrutinio di legittimità – non travolgono l’impianto del costrutto argomentativo che sorregge la decisione impugnata, così da disarticolarne la struttura portante e da obliterarne in radice la valenza dimostrativa; postulano, bensì, la alternativa ricostruzione e valutazione, ritenuta più adeguata, delle risultanze processuali.
Sicchè i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dai ricorrenti, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, non possono essere presi in considerazione, in quanto, sviluppandosi nell’orbita delle censure di merito, consistono in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge -a pena di inammissibilità, à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3, – con il ricorso per cassazione.
8.4 – Residua la richiesta di proscioglimento, per estinzione del reato, formulata nel corso della discussione alla odierna udienza dal difensore di M. e di F., sul presupposto della maturazione della prescrizione dei delitti di cui ai capi sub B/17 e sub B/18.
Il rilievo che la inammissibilità della impugnazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Cass., Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, massima n. 217266, cui adde: Sez. Un., 22 marzo 2005, n. 23428, Bracale, massima n. 231164), dispensa dalla considerazione della patente infondatezza della richiesta, genericamente e immotivatamente avanzata: premesso, infatti, che, in virtù della disposizione di diritto intertemporale di cui alla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, trova applicazione la disciplina di cui agli art. 157 c.p., comma 1, n. 3, e art. 160 c.p., nel testo in vigore prima della novella, basta aver riguardo al titolo dei reati (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, testo originario), all’epoca della commissione ((OMISSIS)) e all’effetto interruttivo della condanna di primo grado, utilmente pronunciata il 24 ottobre 2005, per constatare che il termine massimo della prescrizione (anni quindici) non è ancora scaduto.
8.5 – Conseguono la declaratoria della inammissibilità dei ricorsi, proposti da M.D., da D.C.P.R., da C.I. e da F.S., e la condanna dei ricorrenti anzidetti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto dei rispettivi motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – di ciascuno di essi al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.A. e rinvia, per nuovo giudizio, alla Sezione distaccata di Taranto della Corte di appello di Lecce.
Dichiara inammissibili i ricorsi di M.D., di D. C.P.R., di C.I. e di F. S., che condanna, in solido, al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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