T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 02-05-2011, n. 3723 Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Premetteva la Ditta ricorrente che il Comune di Roma, con bando di concorso del dicembre 2009, aveva avviato una selezione per assegnare la concessione in diritto di superficie di tre lotti artigianali posti all’interno del comprensorio industriale e artigianale sito nella località di AciliaDragona.

Riferiva parte ricorrente che il bando, in particolare, recava una clausola per effetto della quale sarebbero state "escluse dalla partecipazione alla (…) procedura concorsuale le aziendi presenti e/o già assegnatarie di lotti nel comprensorio di AciliaDragona che:

– siano state oggetto di decadenza della concessione di lotti precedentemente assegnati;

– abbiano in corso contenziosi con l’Amministrazione per inosservanza delle prescrizioni contenute nella convenzione sottoscritta" (così, testualmente nel bando e a pag. 3 del ricorso introduttivo del presente giudizio).

Le due prescrizioni contenute nella clausola avrebbero poi fatto oggetto di specifica dichiarazione sostitutiva, sotto la responsabilità del dichiarante, ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445.

Soggiungeva parte ricorrente che alla clausola sopra riprodotta se ne aggiungeva un’altra, nel corpo del medesimo bando, attraverso la quale era fatto obbligo ai partecipanti "Limitatamente alle aziende già operanti nel comprensorio, (di presentare una, n.d.r.) certificazione rilasciata dal Consorzio Dragona dalla quale risulti che l’azienda istante è in regola con gli obblighi consortili".

Tenuto conto che espressamente il bando disponeva l’esclusione dei partecipanti che non avessero prodotto correttamente le allegazioni e le dichiarazioni richieste, l’odierna parte ricorrente si duole dell’illegittimità delle clausole sopra riproposte, in quanto assertive di un divieto a partecipare alla selezione per tutti coloro che abbiano in corso un contenzioso con il Consorzio Dragona, situazione nella quale versa la Ditta F. che ha in corso un contenzioso nei confronti del suddetto consorzio. Tali prescrizioni, appalesandosi apertamente illegittime e contrastanti con i dettami costituzionali di cui agli artt. 24 e 113 Cost., condurrebbero ad avviso della ricorrente alla dichiarazione giudiziale di illegittimità del bando.

2. – Si è costituito in giudizio il Comune di Roma riferendo che la Ditta R. F. di Eredi aveva partecipato ad un precedente bando ed aveva ottenuto in concessione due lotti (precisamente il n. 21 e il 29) facenti parte del comprensorio di AciliaDragona, ma rispetto a tali concessioni, con determinazioni nn. 1781 e 1782 del 15 luglio 2009, l’Amministrazione ne ha dichiarato la decadenza per essere spirato, con riferimento ad entrambe le concessioni, il termine di un anno dal rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione di un capannone artigianale senza che i lavori fossero stati effettivamente iniziati. Fermo quanto sopra e confermato che nei confronti di tali provvedimenti l’odierna ricorrente ebbe a proporre ricorso al TAR del Lazio che si trova nella fase cautelare di appello dinanzi al Consiglio di Stato, correttamente l’Amministrazione ha imposto le clausole ora ingiustamente avversate.

Ad ogni buon conto, sostiene la difesa del Comune intimato, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per aver proposto la parte ricorrente gravame nei confronti del bando senza avere partecipato alla selezione, come è dimostrato dalla nota del competente ufficio comunale del 19 marzo 2010 prodotta in atti.

3. – Ha proposto intervento ad opponendum il Consorzio Dragona, contestando la fondatezza delle prospettazioni fatte proprie dalla ricorrente e chiedendo la reiezione del ricorso proposto.

Le parti producevano in atti ulteriori memorie con le quali, nella sostanza e mantenendo le opposte posizioni, reiteravano le già affermate conclusioni.

Trattenuta riservata la decisione nell’udienza di merito del 27 ottobre 2010 la riserva è stata sciolta nella Camere di consiglio del 14 luglio 2010 e del 17 dicembre 2010.

4. – Va anzitutto esaminata l’eccezione di inammissibilità – e di improcedibilità, avendo dimostrato il Comune lo spirare dei termini per la presentazione delle domande alla selezione – del ricorso sollevata dalla difesa dell’Amministrazione resistente per avere parte ricorrente proposto la domanda di annullamento del bando senza avere presentato la domanda di partecipazione alla selezione.

L’eccezione non può condividersi e va quindi respinta.

E’ infatti ormai noto che:

A) sotto un primo fondamentale profilo, in merito alla sussistenza dell’onere di immediata impugnazione del bando o della lettera d’invito, il Collegio non può che richiamare l’ormai consolidata giurisprudenza, a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2003, per la quale, ricollegandosi l’onere di impugnazione ad una lesione immediata, diretta ed attuale e non solo potenziale dell’atto, esso sussiste solo allorquando il bando contenga clausole impeditive dell’ammissione dell’interessato alla selezione. Di conseguenza, le clausole di un bando che onerano l’interessato ad una immediata impugnazione sono quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alla selezione, in riferimento sia a requisiti soggettivi che a situazioni di fatto, la carenza dei quali determina immediatamente l’effetto escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 15 ottobre 2010 n. 7515);

B) sotto il secondo profilo, decisivo per il caso in esame e secondo l’orientamento attualmente prevalente, qualora la lex specialis contenga clausole discriminatorie e, comunque, ostative alla partecipazione alla selezione tali che la presentazione della relativa domanda si risolverebbe in un adempimento formale inevitabilmente seguito da un atto di esclusione, l’interesse a impugnare il bando sussiste a prescindere dalla mancata presentazione della domanda (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. V, 9 aprile 2010 n. 1999, 19 marzo 2009 n. 1624 e Sez. IV, 30 maggio 2005 n. 2804 nonché T.A.R. Umbria, 14 ottobre 2010 n. 489).

E’ sicuramente vero che tale orientamento, ormai fermo in giurisprudenza, si rivolge di consueto alle gare per l’affidamento di appalti pubblici e che la radice di esso va ricercata nel noto arresto provocato dalla decisione della Corte di Giustizia C.E. del 12 febbraio 2004, nella causa C7230/02, allorquando quella Corte ebbe modo di affermare che nell’ipotesi in cui un’impresa non abbia presentato un’offerta a causa della presenza di specifiche ritenute discriminatorie nei documenti relativi al bando di gara o nel disciplinare – e che in caso di partecipazione alla procedura selettiva le avrebbero impedito di fornire l’insieme delle prestazioni richieste – essa ha, comunque, il diritto di presentare un ricorso direttamente avverso tali clausole, in quanto sarebbe eccessivo esigere che un’impresa, prima di poter utilizzare le procedure di ricorso previste, presenti un’offerta nell’ambito del procedimento di aggiudicazione dell’appalto, quando persino le probabilità che le venga aggiudicato tale appalto sarebbero nulle a causa dell’esistenza delle dette specifiche.

Nondimeno ben può ritenersi che tale formulazione sia assertiva di un principio generale che trova applicazione in tutte le occasioni in cui venga bandita una procedura selettiva, anche al di fuori del settore degli appalti pubblici e la relativa disciplina di partecipazione contenga clausole che la impediscono nei confronti di alcuni aspiranti concorrenti: in tal caso costoro possono chiedere l’esame giudiziale di tali clausole ad excludendum indipendentemente dalla, verosimilmente, inutile formale partecipazione alla selezione.

Deve, dunque, ritenersi infondata l’eccezione di inammissibilità (come – e a maggior ragione – quella di improcedibilità) del ricorso proposto.

5. – Passando all’esame del merito relativo al contenzioso qui in discussione, deve rilevarsi come il ricorso fondi, sostanzialmente, sulla contestazione circa la legittimità della presenza in un bando per assegnare in concessione il diritto di superficie su alcune aree di un consorzio industriale artigianale di proprietà del Comune di Roma (tre lotti nella specie) di clausole volte ad escludere dalla partecipazione alla selezione tra aspiranti concessionari coloro che abbiano avviato contenziosi nei confronti del Consorzio.

La clausola appare affetta da evidente illegittimità ed il ricorso merita, quindi, di essere accolto.

6. – E’ ben vero che il nostro ordinamento contiene ancora – in vigore ed efficace – la disposizione contenuta nell’articolo 68, comma 2, del Regio Decreto 23 maggio 1924 n. 827 per effetto della quale, ferma la possibilità di escludere dalla proponibilità di fare offerte le persone o ditte che nell’eseguire altra impresa si siano rese colpevoli di negligenza e malafede (comma 1) "l’amministrazione ha piena ed insindacabile facoltà di escludere dall’asta qualsiasi concorrente senza che l’escluso possa reclamare indennità di sorta, né pretendere che gli siano rese note le ragioni dell’esclusione".

Tuttavia tale disposizione deve essere interpretata e conseguentemente applicata nel rispetto del quadro ordinamentale vigente (come sul punto ha convincentemente affermato il T.A.R. Basilicata, Sez. I, con la sentenza 28 maggio 2010 n. 325) ed in particolare con riferimento al principio di proporzionalità nella introduzione di clausole nei bandi che, recepito nel tessuto degli artt. 73 e 74 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 per gli appalti pubblici, per le ragioni più sopra già rappresentate ben può esportarsi in qualsiasi selezione pubblica, costituendo un principio generale della correttezza dell’azione amministrativa proprio dell’impostazione discendente dall’art. 97 Cost..

7. – Ed infatti, pur non potendosi negare che l’Amministrazione sia titolare di un ampio potere discrezionale di inserire in un bando di gara tutte le disposizioni ritenute più opportune, più idonee e adeguate per l’effettivo raggiungimento dello scopo avuto di mira con la selezione ad evidenza pubblica indetta, il concreto esercizio di tale potere discrezionale deve essere, però, logicamente coerente con l’interesse pubblico perseguito, nel senso che le predette disposizioni discrezionali non devono essere né apparire illogiche, arbitrarie, inutili o superflue (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 25 agosto 2003 n. 4787).

Va poi aggiunto che, come ricordato dalla più recente giurisprudenza che ne ha trattato in particolare con riguardo alle procedure di gara per l’affidamento di appalti pubblici, la discrezionalità dell’Amministrazione in sede di predisposizione dei requisiti di ammissione delle imprese alle gare d’appalto soggiace al triplice limite della necessità, idoneità ed adeguatezza, nei quali si compendia la nozione di proporzionalità della previsione rispetto allo scopo (selettivo) perseguito. In particolare, la necessaria libertà valutativa di cui dispone la P.A. appaltante nell’ambito dell’esercizio della discrezionalità tecnica che alla stessa compete in sede di predisposizione della lex specialis della gara, deve pur sempre ritenersi limitata da riferimenti logici e giuridici che derivano dalla garanzia di rispetto di principi fondamentali altrettanto necessari nell’espletamento delle procedure di gara, quali quelli della più ampia partecipazione e del buon andamento dell’azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1 ottobre 2003 n. 5684).

Ciò in quanto il potere discrezionale della P.A. di integrare, tramite il bando di gara, per gli aspetti non oggetto di specifica ed esaustiva regolamentazione, i requisiti di ammissione alle procedure di evidenza pubblica, deve in ogni caso raccordarsi con carattere di proporzionalità ed adeguatezza alla tipologia ed all’oggetto della prestazione per la quale è stata indetta la gara e non deve, inoltre, tradursi in un’indebita limitazione dell’accesso delle imprese interessate presenti sul mercato (così T.A.R. Lazio, Sez. I, 1 marzo 2002 n. 1577).

8. – Alla luce delle superiori osservazioni in diritto, esportabili pianamente ad una qualsiasi selezione rispetto alla quale si confrontino tra di loro operatori di un determinato settore di mercato (per le ragioni che si sono più sopra specificate), si presenta del tutto arbitraria ed irragionevole la previsione della clausola impugnata, in quanto essa restringe la facoltà di esercizio del diritto d’impresa e riduce l’effettiva concorrenza fra i concorrenti operanti in un determinato settore, senza che a ciò faccia riscontro la – infungibile – tutela di un interesse pubblico, atteso che:

a) in primo luogo, la semplice esistenza di un contenzioso in atto non è di per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni);

b) sotto altro profilo è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti il fatto che la clausola in esame non circoscriva il tipo di lite – cercando in tal modo di concentrare ragionevolmente i presupposti dell’esclusione a contenziosi particolarmente rilevanti per il Consorzio e, quindi, per l’oggetto della procedura, individuando invece come fatti ostativi ogni tipo di lite in corso nei confronti del Consorzio;

c) una siffatta previsione non ha alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’Amministrazione), di cui all’art. 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo rispetto al rilascio delle concessioni da parte dell’Amministrazione intimata (rectius, del Consorzio), anche in relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti.

La circostanza che poi dagli atti prodotti dalla difesa comunale e redatti dagli uffici che hanno condotto la procedura emerge che potrebbero esservi ragioni utili a giustificare il rigore di tali clausole rappresenta elemento non utile ai fini della presente decisione, in quanto costituisce una motivazione "postuma" contenuta in documenti difensivi piuttosto che, come avrebbe dovuto fare l’Amministrazione, qualificare opportunamente la scelta dell’Amministrazione in sede di redazione della lex specialis della selezione (cfr., da ultimo tra le tante, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 1 luglio 2010 n. 2691).

9. – In ragione delle suesposte osservazioni i motivi di impugnazione proposti con il ricorso si rivelano fondati di talché va accolta la domanda di annullamento della richiamata clausola del bando.

Le spese, ai sensi degli artt. 26, comma 1 c.p.a. e 92 c.p.c., seguono la soccombenza e coinvolgono anche il Consorzio intervenuto in ragione del comportamento processuale da questi tenuto che, quale contraddittore ad opponendum della parte ricorrente, resta coinvolto nella soccombenza processuale. Esse si liquidano nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (euro tremila/00), come da dispositivo.
P.Q.M.

pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna il Comune di Roma in persona del Sindaco pro tempore e il Consorzio DragonaConsorzio industriale artigianale per il comprensorio di Acilia, in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese di giudizio alla Ditta R. F. di Eredi, in persona del rappresentante legale pro tempore, che liquida nella misura di Euro 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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