Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-03-2011) 02-05-2011, n. 16797 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 21.7.2010 il Tribunale di Brindisi rigettava l’opposizione proposta nell’interesse del fallimento GEPM avverso il provvedimento del Tribunale che aveva respinto l’istanza di revoca della confisca di bene immobile sito in (OMISSIS), disposta nell’ambito della procedura per l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale a carico di M.T. e Z.C., sul presupposto che l’immobile in questione doveva intendersi – seppur non formalmente- sostanzialmente nella titolarità dei menzionati. Venivano infatti valorizzate le circostanze che i due avevano stipulato atto preliminare di acquisto del bene, ne avevano il possesso, ne avevano la disponibilità materiale, ne avevano pagato l’intero prezzo a rate, l’avevano ceduto in locazione percependone il canone, avevano regolarizzato la situazione urbanistica, chiedendo il condono edilizio.

Veniva pertanto ritenuto che l’immobile confiscato fosse nella disponibilità dei menzionati, nei termini richiesti dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, che impone un’interpretazione sostanzialistica del rapporto tra beni e preposti. Veniva aggiunto che il terzo interessato (curatore del fallimento), titolare formale del bene, in quanto subentrato nei diritti ed obblighi della società fallita, non poteva invocare a suo favore la buona fede, per rendere inefficace il provvedimento di confisca, atteso che la buona fede rileverebbe nei rapporti tra i coniugi menzionati e la fallita GEPM, mentre il fallimento nessun rapporto ebbe con i prevenuti. Il fallimento, terzo istante, avrebbe dovuto provare che la società fallita non trasferì il bene al proposto, ma la realtà è apparsa nel segno contrario.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa della curatela fallimentare per dedurre inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed in particolare della L. n. 575 del 1965, art. 2 bis e segg., in relazione alla L. Fall., art. 72;

difetto, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Secondo la difesa il curatore fallimentare aveva manifestato la volontà di sciogliersi dal preliminare di vendita ai sensi della L. Fall., art. 72, per acquisire l’immobile all’attivo fallimentare nell’interesse della massa dei creditori, con il che aveva richiesto la declaratoria di inefficacia del provvedimento di confisca. Veniva sottolineato che pur tenendo fermo il diritto dello stato di interrompere la relazione con il bene del soggetto indiziato di appartenere ad associazione mafiosa e quindi il diritto di distogliere il bene dal circuito criminale, non possono però essere soppressi i diritti dei terzi che siano estranei all’attività illecita del proposto, a cui sia applicata la misura di prevenzione antimafia, poichè la salvaguardia del prevalente interesse pubblico non può giustificare il sacrificio inflitto al terzo in buona fede.

La confisca poi è esclusa nei confronti di persona estranea al reato, il curatore fallimentare è persona estranea al reato, terzo in buona fede, rivestendo un ruolo pubblico, nell’interesse dei creditori, con il che la difesa sostiene che il sequestro e la successiva confisca del bene avrebbero dovuto essere revocati, a seguito di un pragmatico bilanciamento degli interessi in gioco, supportato da idonea motivazione. Il giudice nel caso di specie si sarebbe sottratto a questo onere motivazionale, mancherebbe una minuziosa ricognizione degli elementi fattuali, anche prognostici, dovendo esser valutati la compressione del diritto del reo e la concorrenza dei diritti dei terzi. Lo scioglimento del contratto preliminare ex L. Fall., art. 72 scongiurerebbe dal pericolo che il bene possa ritornare nelle mani del soggetto sottoposto a misura di prevenzione.

Secondo la difesa poi tutto ruota attorno al comportamento uti dominus tenuto dai coniugi promissari acquirenti, a cui però non venne mai trasferita la titolarità formale del bene, con la conseguenza che il curatore può sciogliersi dal contratto preliminare, in forza di un potere pressochè incondizionato ed insindacabile. Poichè il bene non venne mai trasferito al proposto, essendo rimasto nella titolarità della società fallita, la confisca non può avere ad oggetto un diritto di contenuto diverso da quello che faceva capo al precedente titolare, nè lo stato può legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità. Di qui la richiesta di annullamento del provvedimento in oggetto.

3. Il Procuratore generale ha chiesto di rigettare il ricorso:

l’immobile è stato ritenuto correttamente nella titolarità sostanziale di M. e Z.; a seguito del fallimento la procedura fallimentare non poteva interferire nell’attività dell’amministratore dei beni sottoposti alla procedura di prevenzione patrimoniale che congela i beni, senza consentire che vengano rimessi in circolo, ancorchè a favore dei terzi creditori. Il mancato avviso al curatore fallimentare della pendenza della procedura relativa a misura di prevenzione incidente sui beni patrimoniali rientranti nella disponibilità di persona indiziata di appartenere ad associazione mafiosa non produce alcuna nullità del procedimento.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

E’ principio costantemente affermato da questa Corte quello secondo cui sulla procedura fallimentare deve prevalere la procedura preventiva, sia quando il fallimento sia stato dichiarato prima del sequestro preventivo, sia – a fortiori – quando sia stato dichiarato successivamente alla sottoposizione del bene a vincolo reale (cfr.

Cass. sez. prima 26.5.2006, n. 18955), come è avvenuto nel caso di specie. Tale priorità è ispirata dall’esigenza di privilegiare l’interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia, rispetto all’interesse meramente privatistico della "par condicio creditorum" perseguito dalla normativa fallimentare. Il superiore interesse muove altresì dall’esigenza di evitare che il bene venga rimesso in circolazione e meno che meno ritorni nella disponibilità del presunto mafioso, atteso che se è vero che il fallito perde la amministrazione e la disponibilità del bene, è altrettanto vero che la titolarità rimane in capo suo e che la disponibilità dello stesso può essere riacquistata, una volta che risulti un attivo al termine della procedura concorsuale.

Tale interpretazione muove da un equo bilanciamento degli interessi e dunque non si scontra con i diritti dei terzi, sicuramente compressi ma non "indebitamente" come sostenuto dalla difesa; non vale ad opinare diversamente il richiamo alla L. Fall., art. 72 ed agli arresti giurisprudenziali sul punto, con riguardo al contratto preliminare di compravendita in caso di fallimento del promittente venditore, norma che trova applicazione in contesti in cui – come detto – la procedura fallimentare non interferisce con la procedura di prevenzione ex L. n. 575 del 1965.

Nessuna forzatura del dato normativo è quindi dato di apprezzare nell’operato del Tribunale di Brindisi, nè alcun deficit motivazionale è riscontrabile nel provvedimento impugnato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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