Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-03-2011) 02-05-2011, n. 16770 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 8 luglio 2010, ha confermato la sentenza 14 aprile 2008 del Tribunale della medesima Città, sez. dist. di Rho, che aveva condannato V.A. alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (detenzione a fini di spaccio di gr. 37,7 di eroina, reato commesso in (OMISSIS)) in concorso con altre due persone (una a nome G.G. mentre l’altra era rimasta sconosciuta).

I fatti oggetto del presente processo sono stati così ricostruiti dai giudici di merito. Il (OMISSIS) appartenenti alla polizia giudiziaria effettuavano un appostamento e fermavano un’autovettura a bordo della quale si trovavano tre persone: alla guida del veicolo si trovava G.G.; a fianco del conducente si trovava altra persona mentre l’odierno imputato era seduto nel sedile posteriore.

L’autovettura si fermava e uno degli operanti apriva lo sportello anteriore destro; la persona che si trovava seduta a fianco del conducente scendeva dal veicolo e – dopo aver svuotato le tasche (nelle quali custodiva anche la somma di Euro 1.300,00) rimettendovi poi il contenuto – colpiva l’operante con uno spintone, scavalcava il guard rail e fuggiva per i campi.

Sottoposta l’autovettura a perquisizione si rinveniva, sotto il tappetino anteriore destro, la sostanza stupefacente già indicata.

2) Il giudice di primo grado ha affermato la partecipazione di V. all’illecita detenzione non avendo ritenuto attendibili le dichiarazioni dell’imputato sulle ragioni della sua presenza a bordo dell’auto, sui suoi rapporti con G. e sulle ragioni per le quali la terza persona, poi fuggita, si trovava a bordo dell’auto.

Irrilevante, secondo il primo giudice, era la circostanza che l’odierno imputato non fosse fuggito essendone impedito trattandosi di auto priva di sportelli posteriori. E dunque, secondo il primo giudice "deve ritenersi che sia stata raggiunta con certezza la prova della condivisione da parte dell’odierno imputato delle sostanze stupefacenti rinvenute all’interno del veicolo".

La Corte d’Appello ha confermato la valutazione del primo giudice ribadendo come le giustificazioni dell’imputato sulla sua presenza a bordo del veicolo fossero vaghe e generiche e come l’imputato non avesse dato conto del possesso della somma di danaro da parte del terzo nè della ragioni della fuga oltre che della presenza dello stupefacente all’interno del veicolo. Per concludere che gli elementi acquisiti "non consentono in nessun modo di ritenere che l’appellante fosse ignaro ed inconsapevole in relazione alla sostanza stupefacente rinvenuta". 3) Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del suo difensore il quale ha dedotto, come primo motivo di censura, il vizio di motivazione per avere, la sentenza impugnata fondato l’affermazione di responsabilità sulla sola presenza fisica dell’imputato all’interno dell’autovettura e senza che egli avesse partecipato al tentativo di fuga posto in essere da un altro occupante del veicolo. La sentenza di condanna sarebbe dunque fondata "su mere congetture di dubbia univocità".

Con gli altri motivi di ricorso si deduce la mancata applicazione della pena oggetto della richiesta di patteggiamento, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la mancata determinazione della pena inflitta nel minimo di legge.

3) Il primo motivo di ricorso – seppur argomentato in modo non particolarmente perspicuo e con numerose incursioni nel fatto – deve peraltro ritenersi fondato. L’atto di impugnazione censura innanzitutto la sentenza impugnata deducendo in buona sostanza la violazione delle regole di valutazione della prova previste dall’art. 192 c.p.p. in quanto gli elementi indiziari utilizzati ai fini della condanna non avrebbero carattere di gravità, precisione e concordanza.

Va premesso che i fatti descritti nelle sentenze di merito devono ritenersi ormai incensurabilmente accertati e comunque si tratta di fatti che neppure il ricorrente pone in discussione. Il problema che si pone al giudice di legittimità è invece quello di verificare se i giudici di merito abbiano logicamente giustificato la loro valutazione sulla sufficienza degli elementi di natura indiziaria acquisiti al processo al fine di pervenire all’affermazione del concorso del ricorrente nella illecita detenzione.

E’ ancora da premettere che il vizio dedotto dal ricorrente non è riconducibile al c.d. "travisamento del fatto" perchè l’oggetto del sindacato di legittimità è costituito, nel nostro caso, dall’individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l’idoneità indiziaria dei fatti accertati e l’efficacia probatoria di questi indizi nonchè la loro capacità individualizzante.

Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro probatorio ormai "fotografato" con la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito. Compito del giudice di legittimità non è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da quanto compiuto dal giudice di merito ma di sindacare la correttezza del ragionamento di questi sul valore indiziario e probatorio dei fatti accertati.

Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l’utilizzazione di criteri di inferenza non illogici è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili. E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su sillogismi logicamente ineccepibili).

In particolare, sul tema della valutazione della gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria, i limiti dello scrutinio di legittimità attengono alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio compiuto dal giudice di merito che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità o compiuta su base meramente congetturale e priva di riferimenti individualizzanti ovvero con riferimenti di questo tipo palesemente inadeguati.

Si tratta, come appare del tutto ovvio, di una zona posta al confine tra il merito e la legittimità con il concreto rischio, per la Corte di cassazione, di sconfinare nella "zona proibita" della valutazione del complesso probatorio. Ma l’esercizio di queste funzioni è reso obbligato dalla natura del controllo di legittimità sul contenuto della decisione; l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) preclude al giudice di legittimità di rivalutare prove e indizi; non di verificare se questa valutazione sia avvenuta secondo criteri logici, se cioè i criteri di inferenza usati dal giudice di merito possano essere ritenuti plausibili o se ne siano consentiti di diversi, idonei a fondare soluzioni diverse, parimenti plausibili.

Questo compito era attribuito al giudice di legittimità anche prima delle modificazioni introdotte, all’art. 606 c.p.p., lett. E), già ricordato, dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b, che ha ricondotto il vizio di travisamento della prova nell’alveo del vizio di motivazione senza intaccare l’ambito del sindacato di legittimità sui criteri utilizzati dal giudice di merito per la valutazione della prova consentendo però alla Corte di cassazione un limitato accesso agli atti quando il loro contenuto – senza necessità di una loro valutazione ma per la loro stessa valenza esplicativa – siano idonei a porre nel nulla, da soli, le conclusioni del giudice di merito.

E’ chiaro che, alla fine, la Corte di cassazione esprime un giudizio di valore come quando ritiene "debole" la regola di inferenza utilizzata dal giudice di merito ma ciò rientra nel controllo di legittimità previsto dalla norma indicata perchè una regola di inferenza "debole", su cui sia fondata la decisione, incrina irrimediabilmente la logicità della decisione.

4) Passando all’esame del caso oggetto del presente giudizio va intanto rilevato che appare manifestamente illogica la valutazione dei giudici di merito che hanno attribuito un carattere di gravità agli elementi indiziari presi in considerazione solo perchè le giustificazioni della presenza del ricorrente a bordo del veicolo sono state ritenute "vaghe e generiche".

Va infatti precisato che le giustificazioni dell’imputato, se ritenute non credibili, possono essere utilizzate per la ricostruzione di un fatto a lui attribuibile in base ad un serio quadro indiziario. Ma quando il quadro indiziario sia assolutamente insufficiente – come nel caso in esame nel quale neppure può ritenersi provata la connivenza – non può valere a renderlo idoneo (nel senso di consentire di ritenere gli indizi gravi precisi e concordanti) un giudizio di inattendibilità delle giustificazioni fornite, per es., sulla presenza sul luogo del reato quando questa presenza non sia di per sè esplicativa dell’attribuzione della condotta all’imputato.

Si aggiunga che la gravità indiziaria va valutata, in particolare, con riferimento alla possibilità di ipotizzare soluzioni alternative parimenti plausibili rispetto a quella accolta. Un elemento indiziario debole può essere reso maggiormente significativo solo in presenza di ulteriori elementi che valgano a confermare l’ipotesi di accusa e dalla natura del tutto congetturale delle ipotesi alternative.

Siamo infatti in presenza, in questo caso, non di un’ipotesi che la dottrina qualifica "semplice" ma di un’ipotesi che ne ammette di contrarie o di diverse (in particolare non solo quella che V. non fosse a conoscenza della presenza sull’autovettura della sostanza ma altresì quella che, pur essendone a conoscenza – ma sin qui sì è in presenza della sola connivenza – non fosse partecipe dell’illecita detenzione).

Ciò comporta che il giudice di merito, in presenza di altre ricostruzioni plausibili del fatto, non possa omettere di valutarle per stabilire un giudizio di equiprobabilità (che non consente la condanna dell’imputato) ovvero di maggiore, ma elevata, probabilità dell’ipotesi di accusa che consenta di pervenire all’affermazione di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.

La formula del ragionevole dubbio – normativamente introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 5 che ha modificato l’art. 533, comma 1 ma già ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di legittimità – consente infatti che possa essere affermata la responsabilità dell’imputato a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente ipotizzabili, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benchè minimo riscontro ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose; insomma il dubbio, per poter essere superato, non deve essere ragionevole e l’ipotesi alternativa, pur ipotizzabile, deve essere del tutto congetturale (v. in questo senso, Cass., sez. 1, 3 marzo 2010 n. 17921, Giampà, rv. 247449;

sez. 4, 12 novembre 2009 n. 48320, Durante, rv. 245879; sez. 1, 8 maggio 2009 n. 23813, Manickam, rv. 243801; sez. 1, 21 maggio 2008 n. 31456, Franzoni, rv. 240763).

Insomma, nel caso in cui coesistano più ipotesi ricostruttive contrastanti il giudice deve verificare il grado di conferma (in senso qualitativo, non quantitativo) di ciascuna di esse dopo aver acquisito tutte le informazioni rilevanti; e se ciò è impossibile non potrà convalidare una delle ipotesi plausibili solo perchè la ritiene più convincente di altre. A maggior ragione nei casi in cui la prova è indiretta per cui è necessario individuare una regola di inferenza "forte" per ricollegare il fatto accertato a quello da provare.

Nel caso in esame le ipotesi alternative, certamente possibili, sono state escluse in modo apodittico e congetturale dai giudici d’appello i quali hanno ritenuto che la condotta dell’imputato fosse idonea a dimostrare la sua partecipazione all’illecita detenzione. Anzi la sentenza d’appello incorre anche in un errore di diritto perchè conferma la sentenza di condanna ma, nella motivazione, ritiene sostanzialmente provata solo la connivenza.

Sono stati infatti gli stessi giudici di merito (dopo aver riferito che la droga non era stata trovata nè sulla sua persona nè sul luogo dove era seduto) a precisare che V. non ha posto in essere alcuna delle condotte – che avrebbero potuto confermare non solo la sua consapevolezza della presenza della droga nel veicolo e la sua partecipazione all’illecita detenzione – a differenza di quanto è avvenuto per l’altro occupante del veicolo che invece ha posto in essere una condotta significativa della consapevolezza della presenza dello stupefacente, tra l’altro nascosto nel luogo dove era seduto, e della sua partecipazione all’illecita detenzione.

Come è agevole verificare la motivazione sulla fondatezza della ipotesi accolta è meramente apparente perchè alcuno degli elementi di conferma dell’ipotesi di accusa indicati è astrattamente idoneo a provare qualche cosa di più della mera connivenza (e forse neppure questa) nella consumazione del reato da parte di terzi. A parte l’illogica pretesa – da parte della Corte di merito – che l’imputato fornisse giustificazione del possesso di danaro e della fuga del terzo rimasto sconosciuto.

In definitiva: l’unico fatto significativo accertato dai giudici di merito è costituito dalla circostanza che il ricorrente è stato trovato all’interno di un’autovettura nella quale è stata rinvenuta, in luogo diverso da quello da lui occupato, una confezione contenente sostanza stupefacente della quale non è stato però dimostrato che egli avesse la disponibilità mentre le condotte dirette a sottrarsi agli accertamenti non sono a lui addebitabili.

La sentenza impugnata è dunque fondata su una massima di esperienza illogica: che chi si trovi, insieme ad altre persone, a bordo di un’autovettura sulla quale venga rinvenuta sostanza stupefacente custodita in luogo diverso da quello da lui occupato automaticamente risponde della detenzione anche se le condotte confermative della partecipazione all’illecita detenzione siano riferibili solo ad altri occupanti del veicolo.

In conclusione deve osservarsi che alcuna delle ragioni indicate nella sentenza impugnata vale a sminuire la credibilità dell’ipotesi alternativa formulata dal ricorrente: ci si trova in presenza di due ipotesi ugualmente plausibili che dunque non valgono a far ritenere superata la soglia del ragionevole dubbio anche per la manifesta illogicità degli argomenti posti, dai giudici di merito, a fondamento della condivisione di una delle ipotesi alternative.

5) Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere accolto; la sentenza impugnata va conseguentemente annullata senza rinvio per non avere l’imputato commesso il fatto non essendo ipotizzabili ulteriori accertamenti idonei a confermare l’ipotesi di accusa.

Gli altri motivi di ricorso sono, ovviamente, da ritenere assorbiti,
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, annulla la sentenza impugnata senza rinvio per non avere, l’imputato, commesso il fatto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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