Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-08-2011, n. 17041

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Svolgimento del processo

A.M. vedova M. ed i figli L. ed M. E. quali eredi di M.R. hanno chiesto al Tribunale di Padova di dichiararli proprietari dei certificati di deposito al portatore emessi nell’importo di L. 800.000.000 dalla Cassa di risparmio di Padova e Rovigo in cui il de cuius aveva investito proprie personali risorse, che si trovavano in possesso di M.E. e S.L., genitori di quest’ultimo che se ne erano dichiarati proprietari sull’assunto che i titoli rappresentavano forma d’investimento dei loro risparmi, della cui esecuzione avevano incaricato il figlio, al quale, in forza di rapporto fiduciario, avevano demandato l’amministrazione delle loro disponibilità finanziarie. Il Tribunale ha accolto la domanda e la decisione è stata impugnata dai soccombenti innanzi alla Corte d’appello di Venezia che, con sentenza n. 1022 depositata il 23 giugno 2006, ne ha disposto la conferma.

Accertato in fatto l’incontroverso possesso dei titoli in contestazione da parte dei genitori del defunto notaio R. M., ha ritenuto assolto da parte degli attori l’onere, su di essi gravante, della dimostrazione della titolarità effettiva del credito del loro dante causa, desumendola dal notorio acquisito alla comune esperienza, rappresentato dalla redditizia attività professionale esercitata dal defunto notaio M. e dal prelievo, coevo all’investimento, di denaro depositato su conto bancario personale a lui intestato. Avverso questa statuizione E. M. e S.L. hanno proposto ricorso per cassazione in base a due mezzi resistiti da tutti gli intimati con controricorso.
Motivi della decisione

Col primo motivo 1 ricorrenti denunciano il vizio d’omessa o contraddittoria motivazione. La denunciata carenza atterrebbe all’immotivato diniego d’ammissione delle prove articolate, tese a dimostrare l’asserito rapporto fiduciario col figlio, indi deceduto, ma soprattuto al ritenuto assolvimento da parte degli attori dell’onere della prova circa la proprietà dei titoli in capo al loro dante causa, trasmessa a loro favore jure hereditatis.

La Corte territoriale ha valorizzato:

l’affermata redditizia attività professionale del notaio M., rappresentandola quale fatto notorio laddove trattasi di mero luogo comune;

il prelievo dal conto di quest’ultimo delle somme investite nei titoli controversi, fatto contestato, non dimostrato attraverso distinta bancaria, unico valido elemento di prova mai acquisito, ma sostenuto sulla base di fatti non passati al vaglio istruttorio.

Si dolgono inoltre dell’omessa ammissione delle loro prove orali erroneamente dichiarate dal tribunale inammissibili.

Col secondo motivo deducono che la Corte del merito avrebbe erroneamente applicato il limite posto dall’art. 2721 alla prova da essi articolata per dimostrare il rapporto fiduciario intervenuto con figlio.

I resistenti deducono l’infondatezza del ricorso che deve invece essere dichiarato inammissibile.

I motivi non contengono la necessaria formulazione dei conseguenti quesiti di diritto, la cui enunciazione è prescritta dall’art. 366 bis c.p.c. secondo cui l’illustrazione di ciascun motivo deve concludersi a pena di inammissibilità con la formulazione di un quesito di diritto. Denunciano infatti violazione di legge processuale e sostanziale e si diffondono nella trattazione delle relative questioni di diritto, senza però esplicitare, sotto alcun profilo, il quesito di diritto che si intende sottoporre a questa Corte.

Ne discende la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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