T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 02-05-2011, n. 1109 Energia elettrica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I presenti giudizi, discussi nella pubblica udienza del 16 febbraio 2011, aventi ad oggetto, rispettivamente, la nuova metodologia tariffaria valida per il c.d. terzo periodo di regolazione 20092012 (delibera 159/08, ricorso NRG 254/2009), la determinazione delle c.d. "tariffe obbligatorie" (delibera 79/09, ricorso NRG 2348/2009), la determinazione delle c.d. "tariffe di riferimento" (delibera 197/09, NRG 517/2010), in considerazione della connessione soggettiva ed oggettiva delle questioni ivi trattate, si ritiene opportuno riunire al fine di affrontare organicamente ed ordinatamente l’intero contenzioso.

La complessità della vicenda richiede, necessariamente, una ampia ricostruzione dei fatti.

2. La distribuzione del gas naturale consiste nel trasporto di gas attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti (art. 2, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 164/2000). L’Autorità per l’energia elettrica e il gas (di seguito "l’Autorità") reca tra le sue attribuzioni il potere di definire le condizioni tecnicoeconomiche di accesso e di interconnessione alle reti (art. 2, comma 12, lett. d), legge n. 481/95). Con l’obiettivo di definire un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, l’Autorità stabilisce e aggiorna, in relazione all’andamento del mercato, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale in modo da assicurare la qualità, l’efficienza del servizio e l’adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse di cui al comma 1 dell’articolo 1, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio (art. 1, comma 1 e art. 2, comma 12, lett. e), legge n. 481/95). Il sistema tariffario è informato al metodo del "pricecap", inteso come "limite massimo alla variazione di prezzo vincolata per un periodo pluriennale" (quattro anni) (art. 2, commi 17, 18 e 19, legge n. 481/95). Con specifico riferimento alla determinazione delle tariffe per l’accesso e utilizzo delle reti di distribuzione del gas naturale, l’Autorità è tenuta alla adozione di criteri che assicurino una congrua remunerazione del capitale investito e tengano inoltre conto "della necessità di remunerare iniziative volte ad innalzare l’efficienza di utilizzo dell’energia e a promuovere l’uso delle fonti rinnovabili, la qualità, la ricerca e l’innovazione finalizzata al miglioramento del servizio, di non penalizzare le aree in corso di metanizzazione e quelle con elevati costi unitari" (art. 23, commi 2 e 4, d.lgs. n. 164/2000).

3. La regolazione tariffaria del servizio di distribuzione del gas, nel primo e nel secondo periodo di regolazione (20012008), è stata definita: dalla delibera n. 237/00, per il periodo tra l’anno 2000 e il 30 giugno 2004 (c.d. primo periodo regolatorio); dalla delibera n. 170/04, per il periodo intercorrente tra il 1° ottobre 2004 e il 30 settembre 2008 (c.d. secondo periodo regolatorio).

3.1. Nel corso del primo periodo di regolazione, il sistema tariffario previsto dalla delibera n. 237/00 prevedeva l’elaborazione delle tariffe secondo un duplice strumento: il "metodo parametrico" e quello del "costo storico rivalutato".

Nel primo caso, il vincolo sui ricavi di distribuzione (VRD, che definisce i costi massimi riconosciuti relativi alla gestione, agli ammortamenti e ai costi di capitale relativi all’attività di distribuzione, per la totalità dei clienti allacciati alla rete distributiva) è stato suddiviso in due componenti: CGD, pari al costo di gestione, CCD, pari al costo del capitale comprensivo degli ammortamenti tecnici. Per ciascun servizio, i costi riconosciuti sono stati calcolati sulla base di alcuni parametri, quali: il numero dei siti di prelievo di clienti finali (numero di punti di riconsegna, cioè degli allacciamenti alla rete di distribuzione), la lunghezza delle rete sottostradale, i volumi distribuiti.

Il "metodo del costo storico rivalutato", per contro, utilizza i dati storici relativi ai costi dell’attività di distribuzione per le località rispetto alle quali le imprese disponevano di informazioni economiche e patrimoniali. Si tratta di una procedura di calcolo di tipo individuale, che consente alle imprese (in grado di dimostrare tale costo attraverso adeguata documentazione contabile) di determinare la componente CCD del VRD tenendo conto dei costi effettivamente sostenuti per la realizzazione e l’ammodernamento delle infrastrutture. Il "metodo del costo storico rivalutato", in particolare, è stato introdotto dall’Autorità, con la delibera n. 87/03, al fine di conformarsi alla pronuncia del TAR Lombardia 9 ottobre 2001 n. 6691, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 4448/2002, la quale aveva ritenuto il metodo parametrico di determinazione del costo del capitale investito, adoperato dall’Autorità per il calcolo del "vincolo sui ricavi di distribuzione", non attendibile, in quanto disancorato dai dati concreti delle singole gestioni, ove sussistenti, e ricavato da un campione non significativo di esercenti attraverso l’individuazione, oltre tutto, di coefficienti privi di adeguata giustificazione (il TAR aveva ritenuto, dunque, illegittimi i criteri di determinazione del VDR nella parte in cui essi prevedevano una commisurazione dei costi sostenuti dalle imprese legata solo a parametri presuntivi e forfetari, senza consentire alle società che ne fossero capaci, di dimostrare di aver sostenuto oneri superiori a quelli risultanti dagli standards predefiniti; la disciplina regolatoria veniva parimenti censurata laddove stabiliva che il calcolo dei costi sostenuti da imprese titolari di gestioni associate, comprendenti più comuni, dovesse avvenire applicando il metodo parametrico a ciascuna località servita anziché all’intero ambito territoriale coperto dal servizio unitariamente considerato, trascurando il dato di comune esperienza secondo cui la sommatoria dei costi relativi alle singole località che compongono l’ambito tariffario è inferiore al costo risultante per l’aggregato unitariamente considerato).

3.2. Il metodo di formazione delle tariffe appena descritto non ha subito modifiche nel passaggio dal primo al secondo periodo regolatorio. Difatti, le suddette modalità di determinazione del VRD sono state riproposte nella successiva delibera n. 170/04 con cui l’Autorità ha determinato i criteri tariffari per il secondo periodo di regolazione (1 ottobre 2004 – 30 settembre 2008): tale delibera lasciava ancora alle imprese la facoltà di scegliere fra il metodo parametrico "ordinario" e quello "individuale" basato sui costi effettivamente dimostrati. In sostanza, la determinazione delle tariffe applicabili durante il secondo periodo (anni 20042008) è avvenuta sulla base di quelle approvate nell’ultimo anno (anno termico 20032004) del primo periodo, aggiornate in modo da tener conto del tasso annuale di incremento della produttività e del tasso di remunerazione del capitale investito, stabiliti dalla stessa Autorità.

4. La delibera 159/08, che disciplina il terzo periodo regolatorio (c.d. RTDG), ha modificato il quadro normativo precedente, con l’obiettivo di semplificare i meccanismi tariffari e di superare le incertezze tariffarie dovute alla stratificazione del contenzioso in materia di regolazione tariffaria. Nella specie, l’Autorità ha previsto l’adozione generalizzata del metodo del costo storico rivalutato, basato sui dati concreti desumibili dai libri obbligatori delle società di distribuzione, senza la facoltà di utilizzare in via alternativa il metodo parametrico nel caso in cui l’esercente si trovi nell’oggettiva impossibilità di reperire i dati. In particolare, ai fini della controversia in esame, le principali novità introdotte con la RTDG possono essere così riassunte: – in analogia con quanto previsto nel settore dell’energia elettrica, sono state introdotte le cd. tariffe di riferimento, che riflettono i costi del servizio per le singole imprese distributrici e sono fissate dall’Autorità per ciascun anno, sulla base del numero di punti di riconsegna, ovvero del numero dei clienti atteso (artt. 2225 RTDG); – al fine di garantire maggiore trasparenza, le tariffe di riferimento sono disaggregate per fase della filiera, attraverso l’individuazione di distinte componenti tariffarie per i singoli servizi di distribuzione (TVD), di misura (TVM) e di commercializzazione dei servizi di distribuzione e misura (COT) (artt. 2225 RTDG); – come le tariffe di riferimento anche i vincoli ai ricavi ammessi a copertura dei costi dell’attività di distribuzione e misura sono disaggregati per fase della filiera (artt. 2633 RTDG) e distinti in: vincolo ai ricavi ammessi a copertura del servizio di distribuzione (VRD), vincolo ai ricavi ammessi a copertura del servizio di misura (VRM), vincolo ai ricavi ammessi a copertura del servizio di commercializzazione (VRC); – i vincoli ai ricavi ammessi sono fissati dall’Autorità in base alle tariffe di riferimento e tenendo conto del numero di punti di riconsegna effettivi; – con l’obiettivo di semplificare la disciplina tariffaria e promuovere la concorrenza rimuovendo gli ostacoli allo sviluppo del segmento della vendita del gas naturale, il territorio nazionale è stato suddiviso in sei ambiti tariffari (art. 36, RTDG), ovvero in sei aree geografiche all’interno delle quali le imprese di distribuzione sono tenute ad applicare le medesime tariffe obbligatorie per il servizio di distribuzione e misura (diversamente dalle tariffe di riferimento quelle obbligatorie riflettono i costi medi del servizio all’interno del medesimo ambito tariffario) (artt. 34 e 35 RTDG); – per coprire la differenza tra tariffe obbligatorie e tariffe di riferimento sono stati previsti due meccanismi di perequazione, uno annuale a consuntivo e uno bimestrale d’acconto (artt. 4751 RTDG); – le tariffe obbligatorie sono articolate in quote fisse e quote variabili, prevedendo altresì che le quote fisse, espresse in euro per punto di riconsegna, non siano differenziate e che le quote variabili siano differenziate per scaglioni di consumo.

Occorre ancora sottolineare che, per determinare il vincolo ai ricavi di distribuzione VRD ammessi l’Autorità ha identificato due regimi, quello ordinario e quello individuale (art. 3 RTDG). In base al regime ordinario il VRD comprende: – la remunerazione del capitale investito iniziale riconosciuto ai fini regolatori, distinto in capitale investito centralizzato e capitale investito in località (art. 4 RTDG), il primo calcolato in base a criteri parametrici, il secondo determinato applicando il metodo del costo storico rivalutato, basato sui dati concreti desumibili dai libri contabili obbligatori tenuti dalle singole imprese distributrici; – gli ammortamenti delle immobilizzazioni, che costituiscono una componente del capitale investito e sono anch’esse distinte in immobilizzazioni centralizzate (ad esempio sistemi di telegestione e telecontrollo) e di località (come i fabbricati industriali, gli impianti principali e secondari, le condotte stradali); – i costi operativi, costituiti principalmente dai costi per servizi esterni, dai costi di personale e dagli acquisti di materiali. Tutte le acquisizioni successive all’anno 2003 devono essere valutate al costo di acquisizione del bene, c.d. cespite al momento della sua prima utilizzazione, ovvero il costo di realizzazione interna dello stesso. La determinazione delle componenti tariffarie a copertura dei costi operativi è al lordo dei contributi pubblici e privati, mentre sarà possibile portare in deduzione i medesimi contributi dal capitale investito a partire dall’anno 2009.

4.1. A seguito di successivi approfondimenti, la delibera ARG/gas 22/09 ha proceduto alla rettifica di errori materiali e ad alcune modifiche del provvedimento (relative, in particolar modo, all’art. 7.6 e 13 della RTDG). La delibera 29/09, inoltre, ha concesso una proroga fino al 30 aprile 2009 del termine per la trasmissione dei dati.

4.2. La delibera ARG/gas 79/09 ha approvato, per il semestre lugliodicembre 2009, le c.d. tariffe obbligatorie, ovvero le tariffe che le società distributrici sono tenute ad applicare alle controparti attuali e potenziali all’interno di ciascun ambito tariffario e che riflettono il livello medio dei costi dei servizi di distribuzione, misura e commercializzazione delle imprese che operano in ciascun ambito tariffario.

Contestualmente, l’Autorità ha avviato un’indagine conoscitiva circa la conformità alla nuova regolazione tariffaria dei dati trasmessi da tutti i distributori, sia di gas naturale che di gas diversi, ai fini della determinazione delle tariffe di riferimento; indagine resa necessaria perché da una prima analisi dei dati trasmessi entro il 30 aprile 2009 era emersa una forte variabilità dei costi unitari medi di capitale da riconoscere alle singole imprese in tariffa, con scostamenti significativi sia da Comune a Comune, sia rispetto ai dati trasmessi nel precedente periodo regolatorio.

In considerazione dell’avvio della indagine conoscitiva, è stata rinviata al 31 dicembre 2009 la pubblicazione delle tariffe di riferimento (art. 10, comma 1, delibera ARG/gas 79/09) e la determinazione degli importi della perequazione in acconto di cui all’art. 50, comma 1 RTDG (art. 10, comma 2, delibera ARG/gas 79/09).

4.3. La delibera ARG/gas 109/09 ha approvato la tariffa di riferimento dell’anno 2009 relativa ad un primo gruppo di imprese; ha stabilito l’ammontare provvisorio della perequazione bimestrale d’acconto, cioè delle somme che le società di distribuzione devono versare o ricevere (a seconda dei casi) per fare in modo che l’importo finale ottenuto sia uguale a quello spettante in base alla tariffa di riferimento (art. 50 RTDG); ha pubblicato una nuova Tabella 3 contenente gli importi provvisori di perequazione bimestrale d’acconto, in modo da correggere gli errori contenuti nella tabella allegata alla delibera 79/09.

4.4. La delibera n. 164/09 ha, innanzitutto, prorogato dal 30 settembre 2009 al 30 novembre 2010 il termine entro il quale le società di distribuzione del gas dovranno riconoscere una quota dei loro ricavi alle società di vendita che svolgono la raccolta e la registrazione dei dati di misura del gas consegnato ai clienti (art. 1, delibera 164/09); ha approvato (art. 2) una disposizione transitoria per determinare il numero dei punti di riconsegna attivi (cioè dei clienti finali) effettivamente serviti dalle società di distribuzione durante l’anno 2009 (la disposizione rappresenta una deroga transitoria rispetto al criterio indicato nell’art. 28.1 della RTDG); ha previsto (art. 3) una disciplina transitoria del calcolo degli importi di perequazione per l’anno 2009 (limitatamente all’anno 2009 si introduce una modifica della formula utilizzata per il calcolo degli importi di perequazione per tenere conto del fatto che, durante il primo semestre 2009, sono state applicate le tariffe approvate dall’Autorità per l’anno termico 20072008, anziché le nuove tariffe obbligatorie); ha stabilito gli importi di perequazione bimestrale d’acconto (art. 4); ha diminuito (art. 5) il valore della componente tariffaria prevista a copertura dei costi operativi per la raccolta, validazione e registrazione dei dati di misura, la quale rappresenta uno dei fattori per il calcolo della tariffa di riferimento per il servizio di misura (cfr. art. 24.1 RTDG).

4.5. La Delibera ARG/gas 184/09 ha per oggetto il Testo unico della regolazione della qualità e delle tariffe dei servizi di trasporto e dispacciamento del gas naturale per il periodo 20102013 (TUTG). L’art. 8 della delibera 184/09 contiene una modifica del Testo unico sulle tariffe di distribuzione, stabilendo che responsabile per l’installazione e la manutenzione dei misuratori nei punti di consegna situati tra la rete di trasporto e quella di distribuzione del gas è la società di distribuzione, anziché quella di trasporto come era previsto prima dal RTDG.

4.6. La delibera 21 dicembre ARG/gas 197/09 ha disposto: – l’approvazione in via definitiva delle proposte tariffarie presentate dalle imprese che nel corso della indagine conoscitiva hanno trasmesso documentazione contabile complessivamente coerente con i dati inviati nella richiesta di determinazione tariffaria ai sensi dell’art. 7 RTDG (imprese riportate alle Tabelle 2, 3 e 4, dell’allegato A, delibera ARG/gas 197/09); – la determinazione d’ufficio in via provvisoria delle tariffe di riferimento per il servizio di distribuzione, precisamente delle componenti a copertura sia della remunerazione del capitale investito e degli ammortamenti relativi alle immobilizzazioni materiali di località, sia dei costi operativi (art. 23, comma 1, lett. b) e c) RTDG) per le imprese che hanno presentato documentazione contabile mancante, lacunosa, incompleta, o che comunque non hanno fornito spiegazioni esaurienti nel corso degli approfondimenti istruttori (imprese riportate alle Tabelle 5, 6, 7, 8 e 9 di cui al menzionato all. A); – la determinazione d’ufficio in via definitiva delle tariffe di riferimento per le imprese che non hanno risposto alle richieste di approfondimento o hanno ammesso che il valore delle immobilizzazioni inizialmente dichiarato non trova riscontro nella documentazione contabile (imprese riportate alle tabelle 12 e 17 dell’all. A).

4.7. La delibera 206/09 ha approvato le tariffe di riferimento per l’anno 2010, aggiornando i valori approvati con riferimento all’anno 2009 dalla precedente delibera 197/09. Le tariffe di riferimento delle imprese inserite nelle tabelle 24 sono state approvate in via definitiva, mentre quelle per le imprese comprese nelle tabelle 59 sono state determinate d’ufficio dall’Autorità in via provvisoria (cfr. art. 1 per il servizio di distribuzione del gas naturale e art. 4 per i gas diversi).

4.8. Da ultimo, la delibera AEEG 30.07.10 ARG/GAS n. 114/10 ha disposto l’approvazione delle tariffe dei servizi di distribuzione misura del gas per l’anno 2009; la delibera AEEG 30.07.10 ARG/GAS n. 115/10 contiene l’aggiornamento delle tariffe dei servizi di distribuzione misura del gas per l’anno 2010; la delibera AEEG 09.11.10 ARG/GAS n. 195/10 reca, invece, la rideterminazione, per errori materiali, le tariffe dei servizi di distribuzione misura del gas per l’anno 2009.

5. Preliminarmente all’esame delle censure, il Collegio prende atto della rinuncia degli istanti al VI motivo di diritto del primo ricorso rubricato al N.R.G. 256/2009, nonché al I motivo di diritto contenuto nel ricorso introduttivo del giudizio rubricato al N.R.G. 2292/2009.

Tanto premesso in fatto, veniamo allo svolgimento del diritto.

I. Con un primo ordine di censure, concernenti l’art. 13 della RTDG, le ricorrenti lamentano l’illegittimità del metodo di determinazione del valore iniziale delle immobilizzazioni di località in quanto, al fine della individuazione del "costo storico rivalutato", non sono messi a disposizione degli operatori i medesimi strumenti ed, anzi, sono stati previsti dei divieti che operano in certe ipotesi ma non in altre, con conseguenti significative disparità di trattamento fra gli operatori stessi.

In particolare, il ricorso a "perizie" (idonee a determinare l’effettivo "valore industriale" dei beni aziendali ed effettuate normalmente in occasione di "aggregazioni societarie", ovvero per apporti, aumento o diminuzione del capitale sociale, divisioni, fallimenti, concordati preventivi), è consentito soltanto nel caso in cui i cespiti siano stati acquisiti all’interno di processi di aggregazione societaria avvenuti fino al 31 dicembre 2003 caratterizzati dalla indisponibilità delle informazioni analitiche per ricostruire i dati storici stratificati. Il non consentire a tutti gli operatori, che abbiano fatto ricorso ad una perizia giurata a qualunque scopo societario, di utilizzare detti valori di perizia dei cespiti per la costruzione del costo storico rivalutato, si rivela arbitrario e discriminatorio, perché limita irragionevolmente la facoltà delle imprese di utilizzare il valore industriale invece di quello contabile.

Sotto altro profilo, l’illegittimità dell’art. 13 della RTDG, deriverebbe dall’indeterminatezza e l’arbitrarietà dei criteri dallo stesso introdotti; a tal fine, vengono esibite talune simulazioni (cfr. doc. 22 all. ric.) che starebbero a dimostrare come sia possibile giungere a conclusioni diverse per quel che riguarda il capitale investito, sia lordo che netto, con ripercussioni sulla tariffa riconosciuta, a fronte di identiche consistenze, a seconda delle tecniche contabili (tutte legittime) di iscrizione nei libri cespiti della azienda oggetto di aggregazione.

Sostanzialmente, per gli stessi motivi, si censura (con i primi motivi aggiunti) la disciplina introdotta dall’art. 13.1 bis che consente di valorizzare i cespiti acquisiti in occasione di procedure di gara facendo ricorso, in assenza dei dati relativi al costo storico stratificato di detti cespiti, "al costo storico originario di prima iscrizione desumibile dalle fonti contabili obbligatorie della medesima impresa distributrice che è subentrata nella gestione del servizio"; dato che, generalmente, esso è frutto di una perizia asseverata (analoghe considerazioni vengono svolte anche in relazione alla disciplina di cui all’art. 13.1 ter relativa al caso di costituzione di aziende speciali).

I.1. L’illegittimità denunciata non sussiste.

In forza dell’art. 13 RTDG, per i cespiti acquisiti nell’ambito di processi di aggregazione societaria avvenuti fino al 31 dicembre 2003, il costo del capitale investito riconosciuto ai fini della remunerazione in tariffa è quello che risulta dalla perizia redatta in occasione dell’operazione di acquisizione, fusione o incorporazione. Con delibera ARG/gas 22/09, l’Autorità ha ricompreso nella nozione di aggregazione societaria sia il subentro nella gestione del servizio di distribuzione conseguente ad affidamenti mediante gara ai sensi dell’art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/00, sia la costituzione di aziende speciali ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 (oggi D.lgs.18 agosto 2000 n. 267) e la costituzione di società per azioni ai sensi della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (art. 1, comma 5, che ha inserito i commi 1bis e 1ter all’art. 13 RTDG).

Il Collegio, scrutinando la medesima censura sollevata in analoghi giudizi (cfr. sentenze nn. 691269146915/2010), ha ritenuto tale disposto regolatorio non discriminatorio per i seguenti motivi.

In primo luogo, occorre sottolineare che anche il valore dei cespiti acquisiti nell’ambito di processi di aggregazione societaria avvenuti fino al 2003 è determinato in base ai dati storici stratificati come risultanti dalle fonti contabili obbligatorie dei soggetti che precedentemente gestivano il servizio di distribuzione (art. 13, commi 1, 1bis, 1ter, come modificato e integrato dalla delibera ARG/gas 22/09); soltanto in via sussidiaria, laddove non siano disponibili le informazioni necessarie a determinare il costo storico rivalutato il valore dei cespiti è quello risultante dalle perizie giurate.

Il criterio del costo di primo utilizzo o realizzo iscritto desumibile dalle fonti contabili obbligatorie, in luogo del valore di prima iscrizione contabile successiva all’operazione, nella specie, non è affatto irragionevole in quanto riferito ad un gruppo di ipotesi omogenee caratterizzate dalla indisponibilità delle informazioni analitiche per ricostruire i dati storici stratificati: l’Autorità, poi, ha specificato che l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 13, comma 13.1ter della RTDG è consentita, per analogia con quanto previsto per la costituzione di aziende speciali o società per azioni "in tutti i casi in cui si sia operata o una trasformazione di soggetti giuridici o una costituzione di soggetti giuridici in applicazione di specifiche disposizioni di legge".

Il discrimine temporale fissato al 31 dicembre 2003, per altro verso, è adeguamente giustificato (come evidenziato nella relazione AIR, che contiene le motivazioni tecniche e giuridiche delle scelte regolatorie compiute con la delibera ARG/gas 159/08) dalla circostanza che con la pubblicazione della deliberazione n. 87/03 (che ha, come abbiamo sopra visto, introdotto l’applicazione del criterio del costo storico rivalutato) può presumersi che fosse a tutti nota l’esigenza di disporre di dati storici originari stratificati, cosicché,in occasione delle aggregazioni societarie successive alla pubblicazione della deliberazione n. 87/03, le parti ben avrebbero potuto concordare il trasferimento delle fonti contabili necessarie per una puntuale ricostruzione del valore degli asset a costi storici rivalutati, in coerenza con le disposizioni della medesima deliberazione n. 87/03;tale prassi consente tra l’altro all’impresa acquirente di valutare in modo puntuale il valore ai fini regolatori degli asset acquisiti (par. 21.18).

Da ultimo, per quanto concerne l’asserita indeterminatezza e arbitrarietà dei criteri introdotti dall’art. 13 della RTDG (in quanto, si dice, sarebbe possibile giungere a conclusioni diverse per quel che riguarda il capitale investito, sia lordo che netto, con ripercussioni sulla tariffa riconosciuta, a fronte di identiche consistenze, a seconda delle tecniche contabili tutte legittime di iscrizione nei libri cespiti della azienda oggetto di aggregazione), la censura è inammissibile non avendo le ricorrenti esemplificato concretamente i termini di manifesta illogicità dei criteri introdotti; parimenti, può dirsi con riguardo alla doglianza secondo cui l’algoritmo per il calcolo sarebbe illogico.

I.2. A questo punto, tuttavia, il Collegio deve esaminare le considerazioni che la società ricorrente, nella memoria depositata il 18 gennaio 2011, ha articolato al fine di evidenziare le criticità che, a suo avviso, condizionerebbero le conclusioni cui questa sezione è giunta nell’ambito delle sopra richiamate sentenze (n. 691269146915 del 2010).

In primo luogo, circa la arbitrarietà della "data limite" del 31 dicembre 2003, la società insiste nel rilevare come il richiamo alla disciplina di cui alla delibera AEEG n. 87/2003 sia del tutto illogico incoerente ed inconferente, avendo quest’ultima delibera introdotto una metodologia di calcolo tariffario che, non solo non aveva sostituito il precedente metodo parametrico, ma rappresentava soltanto una alternativa, peraltro destinata solo quei pochi soggetti in possesso di tutti dati storici stratificati relativi ai propri cespiti e di bilanci certificati da almeno un decennio.

Con riguardo invece alla natura discriminatoria del disposto regolatorio, si sottolinea come la possibilità di fare ricorso ai valori di perizia "soltanto in via sussidiaria", non possa certamente far venire meno la disparità di trattamento insita nella nuova metodologia tariffaria visto che in tutti gli altri casi non si potrà mai fare riferimento ai valori di perizia, nemmeno in via sussidiaria.

Sotto altro profilo, si sottolinea inoltre come l’unico elemento che rende omogenee le ipotesi che l’Autorità ha inteso disciplinare in modo diverso è il limite temporale arbitrariamente ed immotivatamente individuato al 31 dicembre 2003; che la disparità di trattamento generato dal disposto regolatorio non sarebbe venuta meno con la delibera AEEG n. 22/09 che ha introdotto le ulteriori ipotesi di cui ai nuovi commi 13.1 bis e 13.1 ter, i quali se letti in combinato disposto con l’articolo 14.2, sempre con riferimento al termine del 31 dicembre 2003, consentono solo ad alcuni soggetti e solo in determinate circostanze di derogare al criterio ordinario del costo storico stratificato.

In via istruttoria, l’istante chiede di ordinare all’Autorità di esibire l’elenco completo degli operatori che hanno avuto la facoltà di avvalersi della disciplina di cui all’articolo 13 nonché l’elenco completo delle località relativamente alle quali la tariffa di riferimento è stata determinata in forza alla disciplina del medesimo articolo; ciò al fine di appurare con chiarezza l’entità della discriminazione generata dall’articolo 13 ed i soggetti che da tale discriminazione hanno tratto beneficio.

I.3. Orbene, ritiene il Collegio che anche tali argomenti e precisazioni non siano idonei a revocare in dubbio la legittimità del disposto regolatorio in esame.

Occorre prendere le mosse dal principio secondo cui la discrezionalità di cui l’Autorità sicuramente gode nell’individuazione delle fattispecie sottratte ratione temporis alla applicazione del sopravvenuto quadro regolatorio incontra il solo limite della irragionevolezza, della discriminatorietà e dell’affidamento ingenerato. Nessuna lesione del principio di eguaglianza può ravvisarsi per il solo fatto che fattispecie di uguale natura ed oggetto siano assoggettate o meno alle nuove prescrizioni regolatorie a seconda di collocarsi a monte o valle della data "fatale". Come statuito dalla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale (ovviamente, con riferimento alla successione delle leggi nel tempo), il fluire del tempo costituisce idoneo elemento di differenziazione delle situazioni soggettive, cosicché non sussiste alcuna ingiustificata disparità di trattamento per il solo fatto che situazioni pur identiche siano soggette a diversa disciplina ratione temporis (cfr. sentenze n. 409/1998 e n. 18/1994).

Ciò premesso, il descritto limite non può certo dirsi superato nella specie.

La finalità perseguita dall’Autorità è circoscrivere le incertezze derivanti dagli inevitabili "soggettivismi" che le perizie giurate "veicolerebbero" nel sistema di rilevazione degli investimenti ai fini tariffari, ove consentite con carattere di generalità. Abbiamo già accennato nella premessa in fatto della presente sentenza, con riguardo alla progressiva introduzione del "metodo del costo storico rivalutato", alla delibera n. 87/03 (con la quale l’AEEG aveva inteso conformarsi alla pronuncia del TAR Lombardia 9 ottobre 2001 n. 6691, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 4448/2002, la quale aveva ritenuto il metodo parametrico di determinazione del costo del capitale investito, adoperato dall’Autorità per il calcolo del "vincolo sui ricavi di distribuzione", non attendibile, in quanto disancorato dai dati concreti delle singole gestioni, ove sussistenti, e ricavato da un campione non significativo di esercenti attraverso l’individuazione, oltre tutto, di coefficienti privi di adeguata giustificazione). In particolare, la delibera n. 87/2003 ha ritenuto che fosse "necessario, in ottemperanza alla sentenza n. 171/03, apportare le modifiche al sistema tariffario delineato nella deliberazione n. 237/00 prevedendo, in esecuzione del giudicato formatosi sulle sentenze n. 6694/01, n. 6695/01 e n. 6698/01, la facoltà per gli esercenti il servizio di distribuzione, che dispongano di bilanci certificati a partire dall’esercizio che si conclude anteriormente all’1 gennaio 1991, di calcolare il capitale investito attraverso il metodo del costo storico rivalutato; – che fosse opportuno riconoscere la facoltà di cui al precedente alinea anche agli esercenti che, disponendo di bilanci certificati per un periodo inferiore, sono in grado di produrre dati verificabili e idonei a definire in modo certo il processo di formazione del capitale investito per un corrispondente periodo di tempo.

Orbene, la circostanza per cui la delibera AEEG n. 87/2003 non ebbe (ancora) a superare completamente il precedente metodo parametrico (l’adozione generalizzata del metodo del costo storico rivalutato seguirà soltanto alla delibera AEEG n. 158/2009), non rende né arbitraria né inconferente la "data limite" del 31 dicembre 2003, ancorandosi quest’ultima all’introduzione quanto meno della possibilità (sotto forma di onere), per le imprese che non volessero sottostare alla commisurazione dei costi sostenuti legata solo a parametri presuntivi e forfetari, di dimostrare di aver sostenuto oneri superiori a quelli risultanti dagli standards predefiniti, ciò (per l’appunto) sulla scorta dei dati concreti desumibili dai libri obbligatori delle società di distribuzione. Anteriormente a tale data, gli operatori non potevano certo rappresentarsi l’utilità di disporre di dati storici originari stratificati, ragion per cui è ragionevole riconoscersi ad essi la possibilità del ricorso alle perizie; per motivi speculari, con riguardo alle aggregazioni societarie successive alla data "fatale" (di pubblicazione della deliberazione n. 87/03), non è esorbitante addossare agli operatori l’onere di concordare il trasferimento delle fonti contabili necessarie per una puntuale ricostruzione del valore degli asset a costi storici rivalutati.

II. Con ulteriore ordine di motivi, si censura l’art. 15 della RTDG in quanto basato sul presupposto (errato) che per ogni località tariffaria e per ogni categoria di cespite sia disponibile anno per anno, e così a ritroso per molti anni, la c.d. "stratificazione temporale dei cespiti", ovverosia il costo storico degli stessi, senza nulla stabilire nel caso di mancanza della "stratificazione temporale" parziale o totale, e ciò a prescindere dal fatto che l’indisponibilità di detti dati sia imputabile o meno agli operatori. L’art. 15 è stato censurato anche nella parte in cui non appresta idonei strumenti e rimedi all’operatore che sia impossibilitato a fornire i dati richiesti a fini tariffari a causa di responsabilità di terzi soggetti. Ed invero l’art. 11.1 della RTDG, ai fini della determinazione del valore delle immobilizzazioni materiali nette relative alla attività di distribuzione, prevede l’utilizzazione di dati che potrebbero non essere acquisibili da parte del distributore, in quanto, facendo riferimento ai cespiti presenti nel bilancio dell’impresa, non contempla l’ipotesi più che verosimile che le reti siano di proprietà di un soggetto terzo il quale, per qualsiasi motivo, non fornisca i relativi dati.

II.1. Anche tale motivo non può essere accolto.

L’Autorità ha espressamente riconosciuto che, nei casi di indisponibilità da parte delle imprese delle informazioni relative al costo storico delle immobilizzazioni distinte per tipologia di cespite e per località, a causa di una non corretta tenuta delle scritture contabili, opera una "clausola di salvaguardia". L’art. 15 dispone, infatti, che qualora le scritture contabili e di inventario obbligatorie non siano in grado di rappresentare la totalità o una parte delle categorie di cespiti che compongono le immobilizzazioni di località, il valore di tali immobilizzazioni è determinato secondo criteri di ragionevolezza ovvero: – individuando il valore aggregato riconoscibile a fini regolatori; – procedendo ad una ripartizione per località sulla base della consistenza fisica dei beni presenti nelle diverse località, nel caso in cui il dato stratificato non sia ascrivibile a una determinata località; oppure, nel caso di immobilizzazioni non distinte per tipologie, procedendo ad una ripartizione "sulla base di criteri di ragionevolezza, coerenza con le informazioni deducibili dalle fonti contabili obbligatorie e con le consistenze fisiche". Anche nel corso dell’udienza pubblica, è emerso come, tra i casi in cui è possibile ricostruire i dati facendo ricorso a "criteri di ragionevolezza e coerenza con le informazioni deducibili dalle fonti contabili obbligatorie e con le consistenze fisiche", debbano considerarsi non solo quelli in cui manchi il dato relativo alla ripartizione per località o per cespite, ma anche le ipotesi di impossibilità a ricostruire "verticalmente", cioè anno per anno, la "stratificazione temporale" dei cespiti.

II.2. Osserva il Collegio come, in relazione a quanto dedotto dalla società ricorrente nella memoria depositata il 18 gennaio 2011 con riguardo alle sentenze nn. 691269146915/2010, il periodo "nella relazionale AIR….. stratificazione storica" con cui si conclude il punto II.1 della motivazione, come si evince dalla piana e consecutiva lettura della specifica parte della motivazione, è un mero refuso (originariamente destinato alla parte "descrittiva" del motivo di ricorso e poi, erroneamente confluito al termine delle valutazioni compiute dal Collegio in sede di scrutinio del motivo medesimo).

III. Con ulteriore censura, le ricorrenti lamentano che il metodo tariffario, pur non mettendo gli operatori in condizione di procedere comunque alla ricostruzione dei dati a fini tariffari, ciò non di meno prevede una vera e propria "sanzione" (art. 7.6) con applicazione di una decurtazione del 10% sulla tariffa stessa spettante all’operatore per coloro che non forniscano tutti i dati richiesti. Una simile previsione è da ritenersi illegittima in quanto: i) punisce l’operatore anche nel caso in cui non abbia i dati per motivi ad esso non imputabili; ii) viene comminata in assenza di qualsiasi presupposto "oggettivo" e "soggettivo", così in violazione della legge n. 481/1995, della legge n. 689 del 24.11.1981 e dell’art. 22 della Costituzione e, in ultima analisi, del principio di legalità; iii) favorisce gli operatori che, avendo aderito, nel precedente periodo tariffario, alla metodologia di cui alla delibera n. 87/03, oggi hanno certamente a disposizione tutti i dati richiesti dall’Aeeg; iv) introduce una decurtazione del tutto estranea al meccanismo di determinazione delle tariffe previsto dal Legislatore; v) appare sproporzionata se, come sembra, detta decurtazione debba applicarsi all’intera tariffa e non già alla sola componente mancante; inoltre, l’Aeeg ha inteso punire con la decurtazione del 10% anche in caso di un semplice (e certo non infrequente) errore "materiale", dall’altro lato non ha previsto nemmeno la possibilità di "integrare" – anche a richiesta, previa eventuale attribuzione di un congruo termine propulsivo – i dati eventualmente errati ovvero mancanti.

Si censurano anche le modifiche apportate all’art. 7.6 della RTDG, modifiche in forza delle quali la sanzione/decurtazione del 10 % sul valore della tariffa di riferimento avrebbe un’efficacia limitata nel tempo in quanto verrebbe mantenuta solo "…fino all’esercizio in cui saranno resi disponibili i dati relativi ai costi sostenuti per lo svolgimento del servizio"; si deduce, sul punto, che il "rimedio" della temporaneità della decurtazione del 10% da ultimo introdotto con la delibera n. ARG/gas 22/09 non potrà mai operare in tutti quei casi in cui gli operatori non abbiano, anche per ragioni ad essi non imputabili, la disponibilità "strutturale", e non solo temporanea, dei dati richiesti dall’Autorità, essendo così costretti a subire sia la determinazione d’ufficio delle proprie tariffe, sia l’abbattimento del valore delle tariffe così determinate di un ulteriore 10 %.

Sotto gli stessi profili, ci si duole della previsione di cui all’art. 2.5 della delibera 197/09, norma in virtù della quale l’AEEG ha ritenuto di procedere all’approvazione in via definitiva delle tariffe d’ufficio già determinate, seppur in via provvisoria, in tutti i casi in cui dovesse riscontrare "mancate risposte o risposte inadeguate ovvero nei casi di impossibilità di riconciliare i dati riportati nei questionari con i dati presenti nelle fonti contabili obbligatorie".

III.1. La censura è fondata.

Il disposto regolatorio impugnato prevede che l’Autorità procede alla determinazione d’ufficio della tariffa di riferimento, nel caso in cui: a) non venga presentata la richiesta tariffaria; b) non sia stato sottoscritto il modulo di richiesta da parte del legale rappresentante; c) non sia stata trasmessa la dichiarazione di veridicità dei dati trasmessi e di corrispondenza con i valori desumibili dalla documentazione contabile dell’impresa, sottoscritta dal legale rappresentante; d) non siano forniti, in tutto o in parte, i dati necessari per la determinazione delle componenti tariffarie a copertura dei costi di capitale centralizzato; e) non siano stati forniti, in tutto o in parte, i dati necessari per la determinazione delle componenti a copertura dei costi di capitale di località, completi della dichiarazione sulla conformità dei valori con i dati di bilancio e sulla corrispondenza delle quantità fisiche riportate con quelle effettive (art. 46.4). In ciascuno dei casi suddetti, l’Autorità determina d’ufficio la tariffa limitatamente alle componenti per le quali non si dispone della documentazione completa, sulla base del valore della quota parte del vincolo sui ricavi (VRD) calcolato per l’anno termico 20072008 a copertura dei costi di capitale, corretto per le variazioni relative all’anno 2007. Infine, sul risultato così ottenuto l’Autorità effettua una decurtazione a forfait pari al 10% (art. 7, comma 6, come modificato dall’art. 1, comma 3, delibera ARG/gas 197/08).

Come già osservato dalla Sezione (ordinanza cautelare n. 63/2010), la circostanza dell’omessa trasmissione dei dati necessari per la determinazione del valore del capitale investito da parte delle imprese distributrici, non può intaccare in alcun modo l’obbligo dell’Autorità di pervenire comunque ad un valore di tariffa aderente alla realtà economica del contesto operativo in cui l’impresa inadempiente svolge la propria attività, attivando tutti i poteri istruttori di cui essa dispone. Nella determinazione delle tariffe per l’accesso e utilizzo delle reti di distribuzione del gas naturale, l’Autorità è tenuta sempre alla adozione di criteri che assicurino una congrua remunerazione del capitale investito (art. 23, commi 2 e 4, d.lgs. n. 164/2000). La previsione della decurtazione del 10% applicata sul valore determinato d’ufficio dell’Autorità, non può, dunque, trova fondamento nel potere di regolazione tariffaria.

A questa stregua, la previsione in parola, lungi dal configurarsi come mero adeguamento forfetario ai nuovi criteri di determinazione del capitale investito netto, si atteggia a sanzione surrettizia volta a colpire il comportamento inadempiente della ricorrente, senza che la sua comminazione sia assistita dalle apposite garanzie procedimentali (art. 2, comma 20, lett. c della legge n. 481/95; DPR 9 maggio 2001, n. 244, contenente il Regolamento di disciplina delle procedure istruttorie dell’Autorità) e senza, peraltro, alcuna considerazione circa la imputabilità del comportamento sanzionato (in taluni casi la mancata disponibilità dei dati può, ad esempio, dipendere dai soggetti proprietari della rete e degli impianti che non hanno conservato le scritture contabili dei periodi di costruzione o acquisizione delle infrastrutture ovvero dal fatto che la normativa civilistica e fiscale impone all’esercente l’obbligo di conservare i dati contabili soltanto per un periodo di 10 anni).

A quanto riferito si aggiunge il carattere del tutto sproporzionato del dispositivo nella misura un cui consente che, a fronte di un’indagine avente ad oggetto i dati relativi ad alcune soltanto delle località in cui gli operatori esercitano il pubblico servizio di distribuzione del gas naturale, qualora le risposte fornite anche per una sola località non vengano ritenute soddisfacenti, l’AEEG possa approvare in via definitiva la tariffa d’ufficio per tutte le località servite dall’esercente. Per tale via, si arriva ad estendere il meccanismo anche a quelle località per le quali non è stata invece effettuata alcuna verifica e per le quali si adduce, in forza di una presunzione disancorata da parametri concretamente raffrontabili, la sussistenza di errori di rilevazione ed incongruenze. Giova a questo punto ricordare che, nell’ambito del diritto pubblico, il principio di proporzionalità investe lo stesso fondamento dei provvedimenti limitativi delle sfere giuridiche del cittadino ed assume nell’ordinamento interno lo stesso significato che ha nell’ordinamento comunitario alla luce della clausola di formale recezione ex art. 1 comma 1, l. n. 241 del 1990, come novellato dalla l. n. 15 del 2005, articolandosi in tre distinti profili: a) idoneità del mezzo impiegato rispetto all’obiettivo perseguito; b) necessarietà, ovvero assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo che comporti il minor sacrificio al privato; c) adeguatezza dell’esercizio del potere rispetto agli interessi in gioco.

IV. Viene censurato l’art. 14.3 della RTDG nella parte in cui prevede che "le imprese cessionarie sono tenute ad acquisire i dati rilevanti come desumibili dalle fonti contabili obbligatorie delle imprese cedenti e le imprese cedenti sono tenute a rendere disponibili i dati rilevanti desumibili dalle proprie fonti contabili obbligatorie".

IV.1. Il motivo è fondato in forza delle medesime considerazioni svolte al punto della motivazione che precede. La previsione è illegittima nella misura in cui, per l’impresa cessionaria, la possibilità di addivenire ad una corretta definizione della propria tariffa di riferimento viene di fatto subordinata ad un adempimento altrui, pena la decurtazione del 10 %, prescindendo del tutto dal comportamento della impresa cedente che, senza colpa della cessionaria, potrebbe non rendere disponibili i dati rilevanti desumibili dalle proprie fonti contabili obbligatorie.

V. Ai sensi dell’art. 16, ai fini della determinazione dei livelli iniziali del capitale investito, le imprese sono tenute a conteggiare in detrazione i contributi pubblici e privati percepiti fino al 2007 secondo una modalità differenziata in considerazione della loro natura privata o pubblica. Per il quinquennio 1993 – 1997 i contributi pubblici da conteggiare in detrazione non sono tutti quelli percepiti ma solo la metà di quelli percepiti. L’Autorità ha, infatti, introdotto criteri di degrado dei contributi pubblici differenziati a seconda dell’anno di percezione, per allineare il trattamento dei contributi a fini tariffari al trattamento degli stessi previsto dalla disciplina fiscale (T.U. delle Imposte sui Redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917). Come illustrato in dettaglio nella relazione Air (paragrafi 21.66 – 21.68): i contributi percepiti fino all’anno 1992 non sono stati degradati in quanto la disciplina fiscale fino a quella data ammetteva la non imponibilità dei contributi qualora i medesimi fossero contabilizzati come parte integrante del patrimonio netto e anche la disciplina contenuta nel principio contabile nazionale n. 16 ammetteva l’impiego di tale metodo di contabilizzazione; i contributi percepiti dall’anno 1993 all’anno 1997 sono stati degradati nei limiti del 50%; i contributi percepiti dopo l’anno 1998 non sono più assoggettati a trattamento fiscale agevolato. I contributi nella generalità dei casi sono considerati, sul piano contabile, come un ricavo che si manifesta in via anticipata e che deve affluire gradatamente al conto economico in relazione alla vita utile dei cespiti.

Tanto premesso, le società ricorrenti (con il motivo IX del ricorso principale) denunciano "la logica che l’AEEG parrebbe aver perseguito nel dettare la disciplina relativa all’aggiornamento annuale delle componenti della tariffa di riferimento ed in specie delle componenti a copertura dei costi di capitale centralizzati e dei costi di capitale di località (cfr. art. 43 e 44 della RTDG)". Secondo le ricorrenti, la nuova metodologia introdotta dall’Autorità per l’aggiornamento agli anni successivi al 2009 delle componenti a copertura del capitale investito, se per un verso impone che detto aggiornamento avvenga anche in funzione del tasso di variazione dei contributi pubblici percepiti (che dovranno essere detratti dal capitale investito netto, cioè degradato in funzione della vita utile del cespite trascorsa, rivalutato in applicazione del deflattore degli investimenti fissi lordi), escluderebbe la possibilità che esso abbia luogo anche in funzione del tasso di variazione dei nuovi contributi pubblici percepiti.

V.1. La censura è inammissibile poiché non è intelligibile né il vizio di legittimità denunciato che non può consistere nella mera variazione del nuovo quadro regolatorio. L’Autorità, infatti, modula i suoi poteri regolatori anche attraverso modifiche di indirizzi in precedenza assunti, quante volte ritenga opportuno migliorare effetti e risultati di una precedente regolazione non soddisfacente, e ciò attraverso espressioni di discrezionalità valutativa sindacabili in sede di legittimità solo per evidenti vizi logici. Non si ravvisano ostacoli connessi all’affidamento che alcune imprese di settore avrebbero maturato sotto precedenti regimi deliberativi di maggior favore, quando si tratta di determinazioni nuove per periodi temporali ancora privi di regolazione (Tar Lombardia, sez. IV, sentenza 23 aprile 2007, n. 1930).

VI. Al fine di evitare che l’applicazione delle nuove regole di determinazione del valore del capitale investito determini un repentino e consistente mutamento nei ricavi delle imprese distributrici, l’Autorità ha introdotto un meccanismo di gradualità nell’applicazione di tali regole (art. 17, RTDG). Ad avviso delle ricorrenti detto meccanismo non sarebbe in grado di assicurare una effettiva e reale gradualità nella variazione dei ricavi, sia perché esso è destinato ad operare solo se il capitale investito netto aggregato a livello nazionale subisca una variazione, positiva o negativa, del 5%, sia perché la sua durata (4 anni) e le aliquote previste non sarebbero idonee a garantire una efficace protezione contro il rischio di forte contrazione delle tariffe.

La delibera ARG/gas 79/09 è stata anch’essa censurata nella misura in cui, "a partita ormai iniziata", è intervenuta sul testo della RTDG introducendo a carico degli operatori correttivi fortemente penalizzanti, in assenza di ogni e qualsiasi consultazione ed in palese violazione del principio di trasparenza sancito in via generale dalla l. n. 241/1990 e dalla l. n. 481/1995; in particolare, l’Autorità, in sede di determinazione della tariffa obbligatoria, ha ritenuto che il meccanismo di gradualità di cui all’art. 17 della RTDG debba ritenersi applicabile non solo ai costi di capitale ma anche agli ammortamenti.

In ordine alla medesima questione, si deduce che l’AEEG, con successive deliberazioni (ARG/gas 197/09 e ARG/gas 206/09), ha apportato, al di fuori di ogni contraddittorio con gli operatori, una modifica all’operatività del meccanismo di gradualità, modifica consistente nel compensare il minor ammortamento riconosciuto in tariffa attraverso un non meglio precisato allungamento della vita utile del cespite ai fini regolatori, circostanza, questa, che parrebbe condurre ad un risultato esattamente opposto rispetto a quello perseguito dagli operatori.

VI.1. Il motivo può essere accolto solo in parte.

Del tutto comprensibilmente, l’Autorità, in relazione alla modifica nelle regole di determinazione del valore del capitale investito netto, al fine di mitigarne l’effetto su clienti finali e imprese, ha ritenuto opportuna l’introduzione di un apposito meccanismo di gradualità che ne diluisca l’impatto nel tempo. All’uopo, è stato fissato un periodo della durata di quattro anni, durante il quale i nuovi criteri di valorizzazione del capitale investito netto possano trovare graduale applicazione. Qualora si verifichi tale eventualità, il valore del capitale investito netto viene corretto per i primi tre anni del terzo periodo in misura pari al 75%, 50% e 25% della differenza, rispettivamente, per l’anno 2009, 2010 e 2011, con coefficiente decrescente che raggiunge il valore 0 nell’anno 2012, con l’effetto di rinviare a tale anno il riconoscimento integrale dell’incremento di remunerazione del capitale investito.

La condizione per l’attivazione del meccanismo di gradualità appare, tuttavia, affetta da manifesta irragionevolezza nella misura in cui la sua attivazione è dipesa dalla variazione, positiva o negativa, del valore (valutato secondo i nuovi criteri definiti nella RTDG) del capitale investito netto aggregato a livello nazionale per tutte le imprese distributrici di gas naturale, superiore al 5% del valore riconosciuto alle medesime imprese con riferimento all’anno termico 20072008 (corretto applicando la variazione relativa del deflatore per gli investimenti fissi lordi e per tenere conto delle variazioni del capitale investito netto intervenute nell’anno 2007). A questa stregua, infatti, anche se la determinazione degli importi di gradualità è calcolata con riguardo alla singola impresa distributrice, può verificarsi l’ipotesi che una determinata impresa di distribuzione, pur registrando una sensibile diminuzione del capitale investito (ammettiamo di molto superiore al 5%), qualora la variazione, riferita a livello aggregato nazionale a tutte le società fosse inferiore alla soglia del 5%, non possa giovarsi del meccanismo in questione (anche se ciò comportasse gravi ripercussioni sull’ammontare delle tariffe).

Deve, per contro, dichiararsi inammissibile il rilievo secondo cui la durata del meccanismo (solo 3 anni) e le aliquote previste, non sarebbero idonee ad assicurare una efficace protezione contro il rischio di una forte contrazione delle tariffe, con tutti i relativi effetti sul piano dell’equilibrio economico finanziario delle imprese di settore: la censura è, infatti, apodittica e non argomentata.

VI.2. Fermo restando le conclusioni appena svolte, il meccanismo di gradualità concernente gli ammortamenti è, per contro, immune dalle censure svolte.

In via pregiudiziale, alcuna violazione del principio del contraddittorio può invocarsi, in relazione alla estensione del meccanismo in questione agli ammortamenti, dal momento che questi ultimi concorrono a determinare il valore del capitale. Non si tratta, dunque, di una nuova scelta regolatoria, bensì dell’attuazione di una regolazione già adottata e sottoposta a consultazione con riferimento all’applicazione del meccanismo di gradualità (in generale) ai costi di capitale.

Nel merito, si osserva che, con la delibera ARG/gas 197/09, l’Autorità ha parzialmente accolto le istanze presentate dalle principali associazioni di categoria dirette ad ottenere "l’introduzione di un meccanismo che recuperi entro il 2012 il mancato ricavo connesso al meccanismo di gradualità introdotto per il riconoscimento degli ammortamenti", disponendo "che il minor ammortamento riconosciuto in tariffa si sostanzi in un allungamento della vita utile del cespite ai fini regolatori". Venendo allungata la vita utile del bene, l’impresa è in grado di ammortizzare l’intero valore del bene, senza perdere nulla nel valore del capitale, risultando scongiurato qualunque pregiudizio economico.

VII. Con ulteriore motivo si lamenta l’illegittimità degli art. 8 e 9 RTDG con riguardo alla metodologia dagli stessi recata per la remunerazione di taluni costi (nella specie quelli connessi alla gestione di immobili e fabbricati non industriali, ad esempio la sede, e di altre immobilizzazioni materiali e immateriali, ad esempio i software) che vengono remunerati in tariffa a forfait, ovvero mediante il riconoscimento di un importo fisso per ogni cliente finale servito dal distributore. Le ricorrenti, si legge in ricorso, non hanno inteso censurare tout court né la metodologia prescelta dall’AEEG né tanto meno il valore preso a riferimento quale importo fisso da riconoscere ai distributori, ponendo invece l’attenzione sull’illegittimità della delibera nella parte in cui non considera che i valori riconosciuti a copertura di detti costi, ove riferiti a quelle aziende che, collocandosi in una classe dimensionale mediopiccola, beneficiano in misura ridotta del c.d. effetto scala, sono del tutto insufficienti a coprire i costi realmente sostenuti dalle stesse per fornire il servizio di distribuzione. È opportuno ribadire, infatti, che il riconoscere in modo fisso, in termini di remunerazione espressa in euro/PDR, la copertura di costi che per loro natura sono soggetti a economie di scala, rappresenta un indebito vantaggio per gli operatori di grandi dimensioni; e per di più tale "linearità" di remunerazione manifesta i propri effetti distorcenti a favore delle imprese di grandi dimensioni, al crescere delle dimensioni di queste ultime. È infatti evidente come i costi sostenuti da una impresa di un milione di PDR per immobili e fabbricati non industriali e per altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali, nonché per le attività di commercializzazione, siano ben inferiori a dieci volte i medesimi costi sostenuti da un’impresa di centomila PDR. L’unico modo per mitigare gli effetti della sopra descritta distorsione appare quindi quello di ridefinire i parametri a base del calcolo della remunerazione di tali voci tariffarie in modo tale da far sì che, a livello di remunerazione unitaria per PDR, le imprese di piccole e medie dimensioni (come definite nella tabella 4 dell’RTDG) abbiano una remunerazione superiore a quella delle imprese di grandi dimensioni. E ciò, per esempio, garantendo che per le imprese di piccole e medie dimensioni la remunerazione sia percentualmente più alta di quella riconosciuta alla imprese di grandi dimensioni di almeno la stessa percentuale di maggiorazione di cui alla tabella 4 dell’RTDG (13% di incremento per le imprese medie sulle grandi; 22% di incremento per le imprese piccole sulle grandi).

Specifiche puntualizzazioni, relative al medesimo vizio, sono contenute nella memoria del 18 gennaio 2011. Ivi, la società ricorrente deduce che oggetto di censura non è tanto il criterio forfettario prescelto dall’Autorità, quanto piuttosto la mancata integrazione di detto criterio con il riferimento alla classe dimensionale dell’azienda, ovvero con un parametro capace di mitigarne la linearità ed evitare così che per effetto di economie di scala cui detti costi sono soggetti, operatori di grosse dimensioni e operatori di medie e piccole dimensioni vengano a crearsi ingiustificati divari, tanto più pericolosi e lesivi della piena concorrenza del mercato ora che si avvicina il termine di scadenza di numerosissime concessioni che dovranno essere riassegnate mediante procedura ad evidenza pubblica (potendo, infatti, le distorsioni della metodologia tariffaria incidere negativamente sulle concrete possibilità di operatori medio piccoli di formulare offerte realmente competitivi nell’ambito delle gare cui prenderanno parte). Laddove detti costi venissero riconosciuti con un andamento esclusivamente lineare rispetto al numero dei PDR gestiti (ovvero dei clienti finali serviti dal distributore), ciò sarebbe fonte di oggettive distorsioni che colpirebbero in modo arbitrario gli operatori di classi dimensionali inferiori a tutto vantaggio degli operatori di classe dimensionale maggiore. In altri termini, una simile metodologia di calcolo genererebbe un gettito tariffario enorme per le imprese di prima grandezza poste in condizioni di incassare molto di più di quanto spendono relativamente le voci di costo così remunerate dall’Autorità.

VII.1. Le ricorrenti, in sostanza, contestano la scelta di remunerare a forfait i costi indicati agli artt. 8 e 9 RTDG, invece di considerare la classe dimensionale dell’azienda come è stato disposto in relazione ad altri costi operativi (v. ad esempio l’art. 23).

La censura è infondata.

La difesa erariale ha bene messo in luce come i costi di cui agli artt. 8 e 9 non sono costi operativi, ovvero di erogazione del servizio di distribuzione, ma sono costi di investimento che a differenza dei primi non sono soggetti ad un percorso di efficentamento e quindi sono sottratti dall’ambito di applicazione dell’Xfactor (art. 41, comma 2, RTDG). Pertanto, non è affatto arbitrario assumere per i costi di capitale valori forfetari efficienti (individuati, nella specie, nei costi medi di settore).

E" opportuno dimostrare più esaurientemente tale assunto. Occorre premettere che, come si evince agevolmente dalla relazione AIR, la valutazione del capitale investito delle imprese distributrici è stata distinta in due categorie: il capitale investito di località (sono considerati immobilizzazioni di località relative al servizio di distribuzione i cespiti appartenenti alle seguenti tipologie: terreni sui quali insistono fabbricati industriali; fabbricati industriali; impianti principali e secondari; condotte stradali; impianti di derivazione, allacciamenti; sono, invece, considerati immobilizzazioni di località relative al servizio di misura i seguenti cespiti: gruppi di misura convenzionali; gruppi di misura elettronici); ed il capitale investito centralizzato (ai fini regolatori le immobilizzazioni centralizzate si distinguono in: immobili e fabbricati non industriali; altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali, quali ad esempio sistemi di telegestione e telecontrollo, attrezzature, automezzi, sistemi informatici, mobili e arredi, licenze software).

Si discute, ai fini del presente motivo di ricorso, della determinazione del valore iniziale delle immobilizzazioni centralizzate con specifico riferimento agli immobili e fabbricati non industriali (art. 8) e alle altre immobilizzazioni materiali e immateriali (art. 9), il cui valore è determinato sulla base di criteri parametrici. L’Autorità, in particolare, nel secondo documento per la consultazione aveva prospettato due ipotesi: la valutazione sulla base del costo storico; la valutazione a costi standard. Nel terzo documento per la consultazione l’Autorità aveva poi proposto l’adozione del criterio di valutazione a costi standard limitatamente alla valutazione degli immobili dei fabbricati non industriali, mentre per la valutazione delle altre immobilizzazioni centralizzate aveva optato per una valutazione basata sui dati di bilancio. La procedura per la determinazione a costi standard del valore degli immobili e fabbricati non industriali, come prospettata nel terzo documento per la consultazione avrebbe comportato un certo onere amministrativo sia in sede di compilazione, sia in sede di controllo, per la necessità di individuare correttamente i valori unitari da applicare nella banca dati "Agenzia del Territorio – OMI". Peraltro il principale vantaggio di tale approccio (fornire incentivi alle imprese per una gestione efficiente) è proprio anche di un approccio basato sui costi medi di settore, che risulta, per contro, meno oneroso sotto il profilo della gestione amministrativa. L’Autorità, sulla base di tali considerazioni, ha ritenuto preferibile uniformare i criteri per la valutazione dei costi unitari di capitale da riconoscere alle imprese e ha disposto l’adozione del costo medio di bilancio anche per la valutazione di immobili e fabbricati non industriali (cfr. relazione AIR).

Venendo nello specifico, i valori di riferimento per l’anno 2006 sono stati determinati sulla base di un’analisi puntuale dei dati relativi a un campione di 82 imprese distributrici. Tale campione rappresenta circa il 27% delle imprese distributrici, a cui corrisponde un grado di copertura, in termini di punti di riconsegna serviti, pari a circa l’87%. Il valore medio unitario di immobili e fabbricati non industriali è risultato pari, con riferimento all’anno 2006, a 24,00 euro per punto di riconsegna servito, mentre il valore netto relativo alle altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali dell’impresa distributrice esistenti al 31 dicembre 2006 è stato fissato pari a 22,00 euro per punto di riconsegna (cfr. relazione AIR).

Orbene, avendo l’Autorità preso in considerazione il valore medio unitario dei cespiti in questione, a parere del Collegio, si pone la seguente alternativa: – o si assume che il valore medio non è corretto e che quindi il parametro non offre adeguata copertura del costo che vuole rappresentare (circostanza che non ricorre nel caso che ci occupa, avendo la società ricorrente più volte sottolineato non essere oggetto di censura il criterio forfetario prescelto dall’Autorità); – oppure, se il metodo non viene in contestazione quanto a correttezza del procedimento applicativo, ne consegue indefettibilmente che il carattere "medio" del valore reca in sé la correlazione tra numero dei punti di riconsegna e dimensione dell’impresa distributrice (e non si comprende come possa determinare l’esito, paventato dalla società ricorrente, per cui i costi sostenuti da una impresa di un milione di PDR per immobili e fabbricati non industriali e per altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali, possano risultare ben inferiori a dieci volte i medesimi costi sostenuti da un’impresa di centomila PDR).

Inoltre, la stessa Autorità, per quanto riguarda gli immobili e fabbricati non industriali, ai fini della variazione del valore delle immobilizzazioni nette per l’anno 2007, ha ritenuto che la funzione che lega il costo al numero di punti di riconsegna serviti non sia del tutto lineare. A tal fine, ha disposto che solo qualora la variazione del numero dei punti di riconsegna superi una certa soglia, il costo relativo a immobili e fabbricati non industriali possa variare. Tale soglia è stata fissata al 10% (per quanto riguarda le altre immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali, la variazione relativa all’anno 2007 è determinata come variazione media per punto di riconsegna, riferita all’insieme delle imprese distributrici operanti sul territorio nazionale).

VIII. Le ricorrenti si dolgono degli artt. 6 e 58 della RTDG poiché, per il tramite del concetto di "franchigia", sarebbe stata introdotta una ingiusta ed ingiustificata discriminazione tra soggetti che si trovano in situazioni del tutto identiche tra loro: si fa il caso in cui i valori per i quali è prevista la franchigia del 10% dovessero variare del 9,9% piuttosto che del 10,1%.

VIII.1. La censura non può essere accolta.

In base al meccanismo della franchigia (previsto dall’art. 6, comma 1, lett. e, sull’aggiornamento all’anno 2009; dall’art. 43, comma 1, lett. c, sull’aggiornamento delle componenti tariffarie a copertura dei costi di capitale centralizzati; sull’art. 58, comma 3, lett. b, sull’aggiornamento della tariffa di riferimento nel caso di cambiamento di gestore in una località), la fluttuazione di alcune variabili che concorrono all’aggiornamento delle tariffe (ad esempio punti di riconsegna serviti a seguito del passaggio di titolarità di una concessione da un gestore ad un altro) è determinata applicando una franchigia pari a +/10%. Tale meccanismo si applica ai fini della remunerazione dei cespiti centralizzati, in particolare dei fabbricati. Sulla base delle disposizioni contenute nella delibera, il vincolo ai ricavi a copertura dei costi centralizzati dipende dal numero di punti di riconsegna serviti. Poiché il costo sostenuto da un’impresa per la disponibilità degli immobili destinati a ospitare le sedi centrali non è legato in modo lineare al numero di punti di riconsegna serviti, ma è piuttosto correlato a questi con dei margini di tolleranza, che valgono sia in eccesso che in difetto, l’Autorità ha fissato una regola pratica, che impone di tener conto di tale oscillazione, sia in eccesso che in difetto, nella determinazione della variazione delle variabili rilevanti, in questo caso quella dei punti di riconsegna serviti.

Osserva il Collegio come la delibera non esclude affatto che, nelle ipotesi limite prefigurate dalle ricorrenti, la franchigia non possa dall’Autorità essere applicata secondo canoni di razionalità che valgano ad escludere l’irragionevole differenziazione, ai fini tariffari, tra situazioni sostanzialmente coincidenti.

IX. Con ulteriore motivo, le ricorrenti si lamentano del fatto che nel disciplinare le modalità di fissazione delle voci di costo da coprire in tariffa e di aggiornamento delle componenti tariffarie, l’Autorità avrebbe omesso di indicare le formule e gli algoritmi matematici, con la conseguenza che esse non sarebbero in grado di elaborare in modo autonomo le proprie proposte tariffarie. Si assume, in particolare, l’illegittimità della disciplina di cui all’art. 6 il quale, nel recare i criteri per procedere alla determinazione delle tariffe di riferimento per l’anno 2009, non esplicita le formule e gli algoritmi matematici in applicazione dei quali l’Autorità procederà alla definizione delle voci di costo. La mera elencazione dei criteri, si dice, sarebbe del tutto inutile mentre la disciplina dettata dall’art. 6 sarebbe incompleta nella misura in cui, in violazione di quanto prescritto dall’art. 1, comma 1, della l. n. 481/95, non consente agli esercenti il servizio di distribuzione di elaborare, in modo autonomo e diretto, la propria proposta tariffaria. Tale censura, peraltro, non avrebbe perso di significato nemmeno in seguito alla determinazione delle tariffe di riferimento approvate con la delibera ARG/gas 197/09 in quanto, ad oggi, l’AEEG non ha ancora ufficialmente reso pubbliche le formule e gli algoritmi utilizzati per procedere al calcolo delle tariffe.

IX.1. La censura è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, poiché nell’ambito della relazione AIR sono state rese note le formule di determinazione e aggiornamento delle tariffe (v. par. 21.4521.61 e 28).

IX.2. Nella memoria del 18 gennaio 2011, la ricorrente deduce la persistenza del suo interesse ad una pronuncia su tale censura in quanto, anche dopo la pubblicazione della relazione AIR, la società avrebbe riscontrato che, facendo applicazione le formule ivi contenute, si giungerebbe sempre a risultati e a valori diversi rispetto a quelli poi indicati dall’Autorità nelle delibere tariffarie. Le formule messe a disposizione dall’Autorità, in definitiva, sarebbero parziali ed incomplete, non consentendo agli operatori di riprodurre puntualmente i vari passaggi compiuti dal regolatore per giungere alla definizione delle tariffe. Che le società di distribuzione siano ancora all’oscuro delle formule concretamente utilizzate dall’Autorità per calcolare le loro tariffe sarebbe ulteriormente testimoniato dal fatto che proprio quest’ultima, nell’ambito di una recente delibera (n. 195/2010, impugnata con motivi aggiunti), avrebbe sostenuto che "la nuova procedura di determinazione delle tariffe ha richiesto l’invio di un’ingente mole di dati e l’elaborazione di un complesso sistema di algoritmi per tener in considerazione le diverse tipologie e tipicità presenti nell’ambito nazionale della distribuzione del gas"; tale complesso di algoritmi via via affinato dall’Autorità, tuttavia, non sarebbe mai stato condiviso con gli operatori.

IX.3. Osserva il Collegio che le appena riportate precisazioni, secondo cui le formule matematiche utilizzate sarebbero erronee, restano prive di qualsivoglia esemplificazione e riscontro, pur essendo onere del ricorrente introdurre nel processo l’allegazione dei fatti posti a fondamento delle censure (come si ricava dall’art. 63 c.p.a.). L’apoditticità delle argomentazioni ne comporta anche sotto questo aspetto l’inammissibilità.

X. La delibera n. 170/04 prevedeva un meccanismo di bilanciamento per recuperare negli anni successivi la quota parte dei costi operativi che non erano stati interamente coperti in un determinato anno a causa dell’andamento climatico sfavorevole per le imprese di distribuzione. L’andamento dei ricavi dell’attività di distribuzione aveva come parametro di riferimento il volume di gas distribuito dall’operatore due anni prima: se il volume era uguale, l’ammontare dei ricavi della distribuzione rimaneva in linea (fatte salve le altre variabili applicabili); se il volume era maggiore o inferiore, l’entità dei ricavi variava nella stessa misura.

Orbene, le ricorrenti denunciano l’operato dell’AEEG nella misura in cui la stessa ha impedito, in modo retroattivo, ai distributori di riscuotere quanto già maturato negli ultimi due anni del II periodo tariffario a causa dell’andamento climatico sfavorevole (c.d. "effetto volume").

X.1. Il disposto regolatorio è illegittimo.

Il dovere della p.a. di operare in modo chiaro e lineare e di rispettare le situazioni consolidate di legittimo affidamento costituisce principio dell’azione amministrativa le cui radici si fanno sempre più robuste. Nel diritto pubblico la teorizzazione dei limiti del potere amministrativo in funzione protettiva dell’affidamento del cittadino ha tutt’altro fondamento che non quello che, nel diritto civile, si vuole originato dalla apparenza del diritto. Una assai autorevole dottrina, sin dagli anni 70, assumeva la possibilità per il cittadino, nel rapporto con l’amministrazione, di invocare una pretesa fondata sull’affidamento. Il richiamo alle ragioni dell’affidamento comparirà di lì a poco anche in giurisprudenza quale fattore di bilanciamento tra l’intensità dell’interesse pubblico e quella dell’interesse privato meritevole di considerazione per il fatto di trarre scaturigine da un precedente atto dell’amministrazione. Si tratta di statuizioni queste che si collocano specificatamente sul terreno dell’annullamento d’ufficio, in cui cioè il principio di buona fede diviene operante in correlazione con l’affidamento suscitato nel cittadino dal comportamento dell’amministrazione che, avendo emanato un provvedimento illegittimo, non lo ritira tempestivamente.

La rilevanza sinora attribuita all’interesse del destinatario del provvedimento favorevole discende, dunque, dalla configurazione del potere di autotutela come potere di amministrazione attiva in cui l’interesse del cittadino riceve una tutela "oggettiva" risultante dal corretto uso del potere discrezionale. La tutela pubblicistica dell’affidamento, tuttavia, ben può realizzarsi anche al di fuori della valutazione che si compie in ordine all’annullamento d’ufficio, ovvero quale posizione soggettiva autonoma dotata di diretta protezione da parte dell’ordinamento. L’affidamento suscettibile di applicazione anche nel diritto pubblico, in questo senso, è quello che si collega all’obbligo di buona fede oggettiva quale regola di condotta che, seppure riconosciuta espressamente nelle sole disposizioni del codice civile, conforma senza dubbio l’assiologia dell’ordinamento generale. L’affidamento è qui l’aspettativa di coerenza dell’amministrazione con il proprio precedente comportamento, la quale è fonte di un obbligo, per l’amministrazione, di comportarsi secondo buona fede tenendo in adeguata considerazione l’interesse dell’amministrato, la cui protezione non si presenta come il prodotto, accessorio, della cura dell’interesse pubblico, ma come l’oggetto di un’autonoma pretesa, contrapposta all’interesse dell’amministrazione. La verifica giurisdizionale dell’osservanza del principio di buona fede non coincide con quella svolta in termini di eccesso di potere in quanto l’indagine non avviene secondo il paradigma della logicità e ragionevolezza bensì attiene all’osservanza di una norma (quella di buona fede e correttezza) che si rivolge all’amministrazione nel rapporto (o meglio nella relazione) con il cittadino.

Tale impostazione ben si raccorda con le istituzioni giuridiche dell’ordinamento sovranazionale in cui risulta oramai costituzionalizzato il "diritto alla buona amministrazione" tra i diritti connessi alla posizione fondamentale di cittadinanza (art. 41 della Carta europea dei diritti; art. II101 del Trattato per la Costituzione europea). Il pregnante contenuto valoriale della norma, quale sintesi di equità e giustizia sostanziale (di cui sono derivazione anche il principio di proporzionalità e di precauzione), riveste una indubbia funzione di integrazione e interpretazione delle norme vigenti, imponendo di prendere in rinnovata considerazione la formulazione delle regole che presiedono all’esercizio del potere; in particolare, consente di ricondurre la buona fede tra gli obblighi di comportamento dell’amministrazione esigibili dal privato, la cui pretesa a non veder frustrata l’aspettativa suscitata dall’altrui comportamento non va, tuttavia, disgiunta dalla buona fede di chi fa valere tale pretesa.

Non si intende con ciò negare il potere dell’Autorità di modificare le proprie determinazioni al fine di migliorare gli effetti di una precedente regolazione rivelatasi non del tutto soddisfacente, ma solo sottolineare che l’esercizio del potere regolatorio deve tenere conto delle situazioni maturate e concluse nel periodo temporale governato della previgente disciplina senza poter incidere su di esse.

X.2. Nel secondo periodo di regolazione, la tariffa era determinata spalmando il ricavo previsto nell’anno VRD sui volumi effettivamente passati in rete, la cui riduzione in casi di clima mite veniva compensata tramite aumento delle tariffe; ciò attraverso un conguaglio con cadenza biennale. L’esercente aveva la possibilità di recuperare la minore copertura dei costi verificatasi nell’anno con minor consumi, poiché i ricavi dell’anno +2 (cioè di due anni dopo) avrebbero preso come parametro di riferimento l’anno con consumi ridotti.

Orbene, se nel nuovo sistema di determinazione del vincolo dei ricavi può ritenersi superato il meccanismo dell’effetto volume (la delibera 159 non contempla più il meccanismo per il terzo periodo), non si giustifica, per il periodo in cui quel sistema non ha trovato applicazione, l’aver voluto negare agli esercenti i conguagli che ad essi spettavano in applicazione della precedente delibera 170, in relazione ai volumi trattati nel biennio 20072008 (tra l’altro, l’anno termico 2006/2007, che avrebbe dovuto essere bilanciato con l’anno termico 2008/2009 se fosse rimasto in vigore il precedente meccanismo, avrebbe avuto, a dire delle ricorrenti, un andamento climatico assai anomalo con consumi di gas molto più bassi delle medie degli ultimi anni). Il fatto che, nel terzo periodo regolatorio, l’Autorità abbia tenuto conto del "rischio climatico", dimensionando il tasso di remunerazione del capitale investito in modo adeguato per coprire anche tale rischio, non vale a scongiurare gli effetti dell’andamento climatico anomalo registrato nel precedente periodo di regolazione. Per questa via, impedendo la remunerazione dei costi investiti dagli operatori per l’esercizio dell’attività di distribuzione, l’esclusione della facoltà di recupero si pone in contrasto con la normativa di riferimento (art. 23 d.lgs. 164/00 e art. 1 l. 481/95).

Per tali motivi sono illegittime le delibere n. 79/2009 e 197/2009 che hanno definito le tariffe obbligatorie e di riferimento per il primo anno del nuovo periodo.

XI. L’art. 41 RTDG stabilisce che l’aggiornamento annuale della componente tariffaria prevista a copertura dei costi operativi del servizio di distribuzione è disposto dall’Autorità, entro il 15 dicembre dell’anno precedente a quello di efficacia, applicando una serie di tassi di variazione tra i quali il tasso di riduzione annuale dei costi unitari riconosciuti (comma 1, lett. b). Il tasso di riduzione annuale dei costi unitari riconosciuti è fissato in maniera costante, per tutta la durata del terzo periodo di regolazione (20092012), nelle seguenti percentuali: – 5,4% per le imprese distributrici appartenenti alla classe dimensionale fino a 50.000 punti di riconsegna serviti; – 4,6% per le imprese distributrici appartenenti alla classe dimensionale oltre 50.000 e fino a 300.000 punti di riconsegna serviti; – 3,2% per le imprese distributrici appartenenti alla classe dimensionale oltre 300.000 punti di riconsegna serviti. Il tasso di riduzione annuale dei costi riconosciuti corrisponde a quello che, nel secondo periodo di regolazione, era definito coefficiente di recupero della produttività. Si tratta di un meccanismo che riduce, anno dopo anno, l’entità dei costi riconosciuti agli operatori ai fini della formazione delle tariffe allo scopo di stimolarne l’efficienza.

Le ricorrenti lamentano l’illegittimità di tutte quelle previsioni in cui il coefficiente di recupero della produttività (il c.d. Xfactor) rimane inalterato e costante per tutto il periodo di regolazione.

XI.1. Il motivo è fondato.

In via preliminare, si osserva che non sussiste violazione del giudicato, dal momento che ciascun periodo quadriennale di regolazione tariffaria costituisce un autonomo segmento temporale di azione amministrativa (Tar Lombardia n. 1930/2007), all’interno del quale l’Autorità compie le proprie scelte senza vincoli di giudicato e quindi optando per nuove soluzioni regolatorie oppure riproponendo quelle che, nel precedente periodo regolatorio e quindi in un quadro normativo e tecnologico diverso, erano state annullate in sede giurisdizionale per ragioni specifiche che non valgono per il successivo periodo regolatorio.

Ritiene, invece, il Collegio che sia dirimente rilevare il profilo di illogicità consistente nel determinare una percentuale di recupero di produttività costante per l’intera durata del periodo regolatorio, determinando esso un valore numerico progressivo non conciliabile con il fisiologico contrarsi dei livelli di efficienza man mano che il recupero di produttività raggiunge un punto di equilibrio in cui non c’è più spazio per significativi miglioramenti. Come già stabilito in un precedente del Tribunale, l’Autorità avrebbe dovuto stabilire livelli di efficienza in progressiva riduzione da raggiungere nel periodo in questione, e parametrare a questi il recupero di produttività obbligatorio per gli operatori (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 24 marzo 2005 n. 665; cfr. anche TAR Milano 11 marzo 2005, n. 531; Cons. St., sentenza 29 maggio 2006 n. 3274 secondo cui "costituisce fatto notorio la circostanza che i risparmi derivanti dal miglioramento di efficienza vanno diminuendo con gli anni fino addirittura ad esaurirsi, in assenza ad esempio di nuove tecnologie o di nuovi processi produttivi, come avviene negli Stati Uniti dove il recupero di produttività nel comparto gas, elettricità e acqua è ormai prossimo allo zero).

Anche nel caso che ci occupa, nonostante il margine di produttività decresca notoriamente di anno in anno, il tasso di recupero dei costi operativi è addirittura maggiore rispetto a quello vigente a chiusura del precedente periodo tariffario e il tasso di recupero, poi, è costante per tutto il quadriennio di riferimento, senza una motivazione a supporto. L’Autorità avrebbe, quindi, dovuto stabilire livelli di efficienza in progressiva riduzione da raggiungere nel periodo in questione, e parametrare a questi il recupero di produttività obbligatorio per gli operatori. Nell’impugnato provvedimento e negli atti istruttori non vi è invece alcuna traccia di una indagine mirata ad accertare il corretto livello di progressiva diminuzione del recupero di produttività in relazione ai decrescenti margini di recupero di efficienza.

Depone nel senso della illogicità anche la circostanza che, se durante il secondo periodo regolatorio (20042008), la delibera n. 170/04 aveva imposto agli esercenti un tasso annuale di recupero di produttività dei costi dell’attività di distribuzione, diminuito anno dopo anno per effetto dell’applicazione delle sentenze del giudice amministrativo, coerentemente, il tasso di riduzione dei costi avrebbe dovuto avere un andamento decrescente, anno dopo anno, anche durante il terzo periodo di regolazione.

XII. Con ulteriore motivo, si censura l’interpretazione fornita in relazione AIR con riferimento alle formule contenute nell’art. 23 della RTDG. Ed infatti, con riferimento al fondamentale parametro relativo al "numero di punti di riconsegna atteso per l’anno t", nell’art. 23 si legge che, relativamente a tale fattore, si assume il dato relativo all’anno t2. Il che significa che, in considerazione del fatto che il nuovo metodo tariffario è destinato a disciplinare le tariffe a far data dal 1.1.2009, l’anno t2 non può che essere il 2007. Nella Relazione AIR, al contrario, si legge che "il numero di punti di riconsegna atteso per l’anno t è assunto pari al dato relativo al 31 dicembre dell’anno 2008".

XII.1. Il motivo è infondato. Come correttamente rilevato dalla difesa erariale, l’Autorità (con la delibera ARG/gas 109/09), lungi dall’introdurre una nuova disposizione, si è limitata a dare applicazione all’art. 6, comma 1, lett. e), RTDG, che, nel derogare solo per l’anno 2009 alla regola del t2, stabilisce che per la determinazione delle tariffe di riferimento per l’anno in questione i valori delle voci di costo sono "aggiornati per tenere conto delle variazioni delle variabili di scala intervenute tra il 31 dicembre 2006 e il 31 dicembre 2008".

Le ricorrenti avrebbero, al più, dovuto impugnare tempestivamente la disposizione in parola e non l’atto applicativo della stessa.

XIII. Viene censurata la formula per il calcolo dell’ammortamento nella misura in cui, a detta dell’AEEG, "già nel primo anno si applica una quota di degrado". In altri termini, il processo di ammortamento inizia a decorrere dal momento in cui l’immobilizzazione è disponibile, con conseguente obbligo per gli operatori di portare in detrazione dal capitale investito l’intera quota annua di ammortamento, già nel primo esercizio. Le ricorrenti ritengono che una siffatta previsione debba ritenersi illegittima, costituendo espressione di una scelta arbitraria dell’AEEG, che mal si concilia, sia con la tradizionale disciplina che sul punto caratterizzava le precedenti metodologie tariffarie, sia con i fondamentali principi civilistici e fiscali in tema di ammortamento.

XIII.1. Il vizio non sussiste.

Il fatto che, nei precedenti periodi di regolazione, le formule di calcolo del degrado delle immobilizzazioni erano nel senso che la procedura di ammortamento di un dato cespite avrebbe avuto decorrenza dall’anno successivo a quello della relativa messa in esercizio, non comporta di per sé illegittimità. Come già sopra ricordato, l’Autorità, infatti, modula i suoi poteri regolatori anche attraverso modifiche di indirizzi in precedenza assunti, quante volte ritenga opportuno migliorare effetti e risultati di una precedente regolazione non soddisfacente, e ciò attraverso espressioni di discrezionalità valutativa sindacabili in sede di legittimità solo per evidenti vizi logici. Non si ravvisano ostacoli connessi all’affidamento che alcune imprese di settore avrebbero maturato sotto precedenti regimi deliberativi di maggior favore, quando si tratta di determinazioni nuove per periodi temporali ancora privi di regolazione (Tar Lombardia, sez. IV, sentenza 23 aprile 2007, n. 1930).

XIII.2. Le ricorrenti affermano anche che, in un’ottica di corretta rappresentazione dei fenomeni economici l’ammortamento di un bene nel primo anno di utilizzo dovrebbe essere proporzionale al periodo dell’anno in cui esso ha contribuito alla produzione di effetti economici. Su quest’ultimo punto, deve replicarsi, in primo luogo, che non è sufficiente evidenziare il carattere penalizzante del correttivo alla precedente regolazione ma occorre esemplificare il vizio di legittimità. Inoltre, nulla esclude che la determinazione della quota annuale di ammortamento delle immobilizzazioni materiali possa avvenire in misura ridotta in rapporto al periodo di effettiva utilizzazione (circostanza quest’ultima da dimostrare adeguatamente), in modo che l’importo determinato corrisponda al reale deperimento e consumo dei beni.

XIV. Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese di lite tra le parti, attesa la difficoltà della materia.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RIUNISCE i ricorsi in epigrafe;

ACCOGLIE in parte i ricorsi e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nei termini specificati in motivazione.

COMPENSA interamente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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