Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-05-2011, n. 2641 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

vv. Saverio Sticchi Damiani;
Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 6411 del 2010, L. A. e P. A. propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione prima, n. 4 del 14 gennaio 2010 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Atri per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione delle opere abusive rese resa dal Comune di Atri settore IV Urbanistica ed Ambiente n. 28 del 21.7.08 notificata al ricorrente con nota prot. 11528 del 24.7.08, con la quale l’amministrazione ordinava al proprietario dell’immobile, al Direttore dei lavori ed all’impresa edile di procedere alla demolizione entro 90 giorni dal suo ricevimento, "della sopraelevazione eseguita ed al ripristino dello stato originario alla rimozione degli infissi in alluminio ed eventualmente alla loro sostituzione con altri in legno, alla copertura del terrazzino abusivamente realizzati con solaio in latero cemento similmente al restante tetto".

Dinanzi al giudice di prime cure, P. A. aveva premesso di essere proprietario, unitamente al sig. L. A., di un fabbricato sito in Atri, via De Litio, distinto al NCEU del detto comune foglio 67, particella 639; aveva altresì dedotto di aver dovuto effettuare opere di ristrutturazione interne e modifiche esterne su detto fabbricato, dopo aver presentato al Comune di Atri in data 6.2.2007 una prima DIA per cambio di destinazione d’uso, opere interne e modifiche esterne, nonché una seconda DIA in variante in data 31.19.2007 per rifacimento copertura, corredata dalla relazione del tecnico e direttore dei lavori.

Aveva altresì riferito il ricorrente che nel corso delle attività denunciate si sarebbe manifestata l’esigenza di rimuovere e ricostruire l’intera struttura portante del tetto senza modificare in modo sostanziale la sagoma dell’edificio, atteso il grave stato di precarietà del tetto medesimo (che avrebbe reso vano e/o antieconomico qualsiasi consolidamento o puntellatura).

Con il ricorso in primo grado, egli impugnava l’ordinanza di demolizione del 21.7.08 con la quale (dopo sopralluoghi di tecnici comunali ed un provvedimento di sospensione lavori) veniva ordinato ad uno solo dei proprietari dell’immobile, al direttore dei lavori ed all’impresa edile di procedere alla demolizione entro 90 giorni dall’avvenuta ricezione, "della sopraelevazione eseguita ed al ripristino dello stato originario, alla rimozione degli infissi in alluminio ed eventualmente alla loro sostituzione con altri in legno, alla copertura del terrazzino abusivamente realizzato con solaio in latero cemento similmente al restante tetto".

Le censure a sostegno del gravame possono così riassumersi:

il provvedimento sarebbe stato illegittimamente notificato solo ad uno dei due proprietari dell’immobile;

il terrazzo delle dimensioni di mt. 2,25 x 2,54 prospiciente la via Mandocchi sarebbe stato immediatamente ricoperto con un tetto di legno avente le stesse caratteristiche di quello già realizzato, come ampiamente dedotto nelle memorie difensive;

l’asserita difformità riguarderebbe solo l’altezza dell’edificio (con un modesto aumento di soli 60 cm.), e risulterebbe unicamente determinata dall’apposizione del cordolo necessario per la staticità dell’edificio, come imposto dalla normativa antisismica;

sussisterebbe un evidente vizio di sproporzione determinato dall’adozione della misura demolitoria in luogo della sanzione economica, senza che il modesto aumento di altezza possa giammai integrare la fattispecie della totale difformità dell’opera, anche con riguardo alla funzione antisismica del (doveroso) intervento ritenuto abusivo;

l’ordine di rimuovere gli infissi in alluminio sarebbe motivato in modo insufficiente dal divieto di cui all’articolo 40 del piano particolareggiato del centro storico, sia perché la differenza con le persiane in legno sarebbe percettibile solo ad una distanza ravvicinata, sia perché la norma di piano sarebbe a sua volta illegittima nel prevedere ingiuste deroghe per i soli edifici di proprietà del comune.

Costituitosi il Comune di Atri, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le doglianze, evidenziando la correttezza del comportamento amministrativo.

Contestando le statuizioni del primo giudice, gli appellanti evidenziano l’erronea ricostruzione in fatto ed in diritto contenuta in sentenza, riproponendo le proprie doglianze.

All’udienza del 16 novembre 2010, la Sezione, in accoglimento di istanza di parte, disponeva integrarsi il contraddittorio processuale, con ordinanza n. 412/2010.

Alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
Motivi della decisione

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con il primo motivo di diritto, viene censurata la sentenza in relazione alla mancata considerazione del vizio procedimentale di omessa notifica dell’ordinanza impugnata a L. A., in qualità di comproprietario del fabbricato e committente delle opere.

In particolare, viene dedotto come nella d.i.a. precedentemente presentata in data 6 febbraio 2007, comparisse anche il nominativo di L. A., circostanza questa idonea a rendere conoscibile alla pubblica amministrazione l’esistenza della situazione di comproprietà dello stabile e quindi ad imporre la notifica ad entrambi i legittimati.

2.1. – La doglianza non può essere accolta.

È, infatti, sicuramente vero che in data antecedente, con atto relativo ad una fattispecie procedimentale distinta ed autonoma, l’appellante L. A. aveva reso la pubblica amministrazione edotta del suo status proprietario, ma è altresì vero che, come bene evidenzia il giudice di prime cure, che nella vicenda sottoposta a scrutinio, ossia quella derivante dalla presentazione della successiva d.i.a. del 31 ottobre 2007, tale elemento non compariva affatto.

Trattandosi quindi di fattispecie del tutto distinte, appare condivisibile la lettura data dal T.A.R., che ha affermato come in tutto l’iter procedimentale fosse emersa la sola presenza dell’appellante P. A., il quale non aveva comunicato l’esistenza di un diverso ed ulteriore proprietario del bene in causa. L’esistenza di un’unicità di posizioni soggettive viene peraltro suffragata da ulteriori riscontri, evidenziati in sentenza, quale la presenza del solo P. A. agli atti di accesso e l’inesistenza di contestazioni, da parte dell’altro comproprietario, sulla responsabilità degli abusi contestati o sulla indisponibilità del bene.

Deve quindi confermarsi la correttezza dell’azione amministrativa, non potendosi fare gravare in capo al Comune oneri istruttori ulteriori in relazione all’accertamento della situazione proprietaria dell’immobile.

3. – Con il secondo motivo di diritto, si censura la sentenza sotto il profilo della mancata considerazione della compatibilità della sopraelevazione in relazione alla normativa antisismica. In dettaglio, fondandosi sulla relazione tecnica di parte allegata, si evidenzia come l’utilizzo di materiale latero – cementizio in fase di ricostruzione avrebbe determinato un notevole inconveniente statico, per cui appariva corretta, sotto il profilo antisismico, la scelta ricostruttiva adottata.

3.1. – La doglianza va respinta.

Premesso che implicitamente anche il ricorrente riconosce l’esistenza di un abuso, avendo richiesto una variante in sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. 380 del 2001, va condivisa l’argomentazione del Comune, fatta propria anche dal giudice di prime cure, che sottolinea come l’abuso realizzato non avrebbe potuto essere sanato. Infatti, quello che sarebbe stato possibile realizzare era unicamente un "nuovo tetto strutturalmente conforme alle norme vigenti, alla stessa quota di quello previgente e quindi senza incremento di altezza e di volume". Pertanto, essendosi determinato un incremento dell’altezza esterna, pari a circa 65 cm., questo dava vita ad un aumento complessivo di circa l’8% della preesistente altezza del fabbricato, aumento non irrilevante in quanto maggiore del 3% fissato come limite di tolleranza dall’art. 7 della legge regionale Abruzzo n. 52 del 1989.

Appare quindi corretto il comportamento del Comune che, evidenziata la non sanabilità dell’abuso, ha operato consequenzialmente, anche evidenziando come, in un eventuale contrasto tra disposizioni normative a diverso fine, anche sopravvenute, l’eventuale predominanza di uno o dell’altro aspetto può essere valutata solo in fase di rilascio del provvedimento abilitativo, e non nei più ristretti limiti dell’accertamento in sanatoria.

4. – Con il terzo motivo di diritto, viene dedotta la mancata valutazione della necessità di ricorrere alla copertura utilizzata in relazione ad esigenze di prevenzione di fenomeni di infiltrazione ed in rapporto alla staticità dell’immobile stesso.

4.1. – La censura va respinta.

Anche in questo caso, possono richiamarsi le valutazioni appena svolte in merito alla tipologia di costruzioni ammissibili, a cui si aggiunge la considerazione del Comune sulla possibilità che l’impiego di diverso materiale da costruzione avrebbe consentito successive violazioni ed alterazioni.

5. – Con il quarto motivo di appello, si lamenta la mancata considerazione della possibilità di introdurre modificazioni all’assetto esterno dell’edificio (in particolare in relazione all’utilizzo di diverse tipologie di infissi), in quanto espressamente consentite dall’art. 40 del piano particolareggiato del centro storico del Comune di Atri.

5.1. – L’assunto va respinto.

Occorre rilevare come il citato articolo 40 del piano particolareggiato del centro storico si riferisca esplicitamente ad edifici di proprietà del Comune, di enti territoriali ed enti morali, qualora destinati ad attività di interesse collettivo. La norma non è quindi applicabile alla fattispecie in esame, anche qualora, come è effettivamente accaduto, esistano destinazioni difformi nell’ambito dello stesso fabbricato, dovendosi privilegiare la valutazione funzionale della norma de qua.

Come quindi correttamente ha evidenziato il T.A.R. abruzzese, la supposta disparità di trattamento lamentata avrebbe dovuto essere azionata tramite la formale impugnazione della norma di piano, sebbene non possa tacersi che tale differenziazione appaia ragionevole in rapporto ad esigenze di sicurezza e funzionalità connesse all’attività di interesse pubblico svolta all’interno dei predetti uffici.

6. – Con il quinto motivo di appello, si lamenta la mancata considerazione della sproporzione tra le violazioni realizzate e la misura demolitoria prevista nell’ordinanza gravata. Si evidenzia come tali violazioni non possano essere sussunte nell’ambito delle variazioni essenziali, non dando vita così al sostrato normativo per un tale intervento autoritativo.

6.1. – La censura non può essere condivisa.

Sulla base della ricostruzione operata, non può essere condivisa la minimizzazione del valore intrinseco delle violazioni poste in essere, atteso che le stesse non hanno certamente natura marginale, come sopra evidenziato e come previsto dalla normativa regionale applicabile. Correttamente, la motivazione del provvedimento insiste sia sull’entità dell’intervento abusivo, sia anche sul particolare rilievo che queste assumono nell’ambito del centro storico, giustificando così un intervento sanzionatorio più massiccio, operato tramite un ordine di demolizione.

7. – L’appello va quindi respinto. Nulla per le spese, stante la mancata costituzione in grado di appello del Comune di Atri.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 6411 del 2010;

2. Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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