Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-08-2011, n. 17105

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che nel corso di un giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, il Tribunale di Matera, con sentenza non definitiva in data 26 novembre 2002, ha dichiarato aperta la successione per testamento di M.V.M. e di M.M. G. ed ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta da B. e M.D., con cui era stato chiesto di accertare il loro credito nei confronti della massa di entrambi i genitori, quantificato in L. 500.000.000, per avere realizzato a propria cura e spese Il fabbricato costituente la massa da dividere;

che la Corte di Potenza, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 3 giugno 2009, ha dichiarato inammissibile l’appello di M.B. ed ha rigettato l’appello di M.B. e di M.D.;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello M.B. e M.D. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 25 gennaio 2010, sulla base di due motivi;

che l’intimata M.A.R. non ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il primo motivo denuncia violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione al combinato disposto degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per erronea ed illogica valutazione dell’interrogatorio formale reso dalla resistente con verbale del 25 maggio 2009;

che il secondo mezzo è rubricato "violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione all’ammissibilità della prova testimoniale conseguente all’interrogatorio formale";

che i motivi che prospettano violazione o falsa applicazione di norme di legge sono privi del quesito di diritto, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collabo-rando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione;

i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che anche con riguardo alle censure che articolano il vizio di motivazione non è stato osservato l’onere, imposto dal citato art. 366 bis cod. proc. civ., del quesito di sintesi;

che, invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è omessa, insufficiente o contraddittoria, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189;

Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741);

che non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la legge 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che, invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preliggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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