Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-01-2011) 02-05-2011, n. 16857 Falsità ideologica in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26 novembre 2009 la Corte d’Appello di Venezia, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Padova, ha riconosciuto T.M.S. responsabile dei delitti di occultamento di atto vero, falsità materiale e ideologica in due atti pubblici, unificati dal vincolo della continuazione; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge.

Secondo l’ipotesi accusatola, recepita dal giudice di merito, a seguito di un intervento chirurgico che era stato erroneamente eseguito sull’occhio sano anzichè sull’occhio malato del paziente E.S., la T. aveva tolto dalla cartella clinica il foglio di obiettività compilato dalla specializzanda Dott.ssa M., sostituendolo con un altro recante data falsa e annotazioni in parte diverse da quelle originariamente apposte;

inoltre aveva alterato il cartellino ambulatoriale di una propria precedente visita, apponendovi aggiunte, correzioni e sovrascritture.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite del difensore, deducendo censure riconducibili a due motivi.

Col primo motivo la ricorrente contesta che al medico specializzando possa essere riconosciuta la qualità di pubblico ufficiale: con ogni conseguenza ai fini della – contestata – qualificazione come atto pubblico del foglio di obiettività redatto dalla Dott.sa M.;

a confutazione della linea argomentativa addotta al riguardo dalla Corte di merito, osserva non essere richiamata a proposito la giurisprudenza formatasi in tema di responsabilità professionale, assumendo invece rilievo in materia di falso soltanto la qualità soggettiva della persona autrice dell’atto, che nel caso di specie era nulla più che una studentessa. Sotto altro profilo nega la configurabilità della condotta di occultamento, avendo poi la stessa T. spontaneamente esibito il documento al pubblico ministero.

Col secondo motivo la ricorrente invoca a propria discolpa l’applicazione di una prassi consolidata nella struttura sanitaria di appartenenza, secondo la quale era possibile modificare, anche a distanza di giorni, il cartellino ambulatoriale o il foglio di obiettività ai fini di una migliore rappresentazione della realtà.

Relativamente al cartellino ambulatoriale, inoltre, insiste nel negare la sua qualità di atto pubblico, trattandosi di atto meramente interno alla struttura amministrativa.
Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Il primo motivo di gravame mostra di non tener conto del fatto che l’attribuzione del carattere di atto pubblico al foglio di obiettività redatto dalla Dott.ssa M., quale conseguenza della qualità di pubblico ufficiale di costei, nella motivazione della sentenza impugnata si è fondata su due autonome rationes decidendi: con la prima di esse la Corte di merito ha rilevato essere il medico specializzando non un mero spettatore esterno, estraneo alla comunità ospedaliera, godendo egli di un’autonomia vincolata nell’esercizio delle attività teoriche e pratiche previste dagli ordinamenti e regolamenti didattici: con la conseguenza per cui, svolgendosi la sua attività sotto la guida e le direttive di un tutore, l’atto medico da esso compiuto e il documento amministrativo che lo attesta devono considerarsi come il portato di una partecipazione congiunta del medico in formazione e del tutor, che attribuisce al documento il carattere dell’atto pubblico; con la seconda ratio decidendi ha poi considerato che, anche se non si accedesse a quell’assunto, la qualità di pubblico ufficiale sarebbe da riconoscere alla M. per la posizione di "funzionario di fatto" da essa assunta in virtù dell’autonomia consentitale nell’esecuzione degli atti medici (ed in particolare di quello cui l’imputazione si riferisce).

Le censure mosse dalla ricorrente s’indirizzano a contrastare soltanto la prima ratio decidendi, mentre in nessun modo contraddicono la seconda.

Orbene, è principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che va qui ribadito, quello per cui, quando un provvedimento sia sorretto da una pluralità di ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggerne la legittimità anche una sola di esse: per cui l’impugnativa portata ad una sola di tali ragioni si rende inammissibile per difetto di interesse, posto che da una pronuncia favorevole sulla stessa non potrebbe derivare all’impugnante quella modificazione della sua situazione processuale, che costituisce il contenuto dell’interesse ad impugnare (Cass. 12 novembre 1993 n. 4834; v. anche la più recente Cass. 20 agosto 2009 n. 35116, in motivazione).

Quanto alla tesi difensiva, anch’essa sviluppata nel primo motivo, secondo cui non sarebbe configurabile l’occultamento di atto vero in quanto la T. ebbe poi ad esibire spontaneamente al pubblico ministero il foglio di obiettività redatto dalla Dott.ssa M., va ricordato il principio giurisprudenziale a tenore del quale ricorre l’ipotesi criminosa di cui all’art. 490 c.p. anche quando la condotta dell’agente abbia dato luogo ad una irreperibilità soltanto temporanea del documento (Cass. 16 luglio 2009 n. 38356; Cass. 9 febbraio 2006 n. 9611; Cass. 22 dicembre 1998 n. 2907/99). Nel caso di specie la Corte di merito ha accertato in punto di fatto, in esito a valutazione del materiale probatorio non sindacabile in questa sede, che la T. trattenne a sue mani il foglio di obiettività originariamente compilato dalla M., disponendone la sostituzione nella cartella clinica con un altro, diverso, fatto appositamente compilare dalla stessa M.; in tale comportamento è consistita la consumazione del reato di occultamento di atto vero, nei confronti del quale la successiva consegna al pubblico ministero ha costituito un post factum inidoneo ad escludere la punibilità.

L’infondatezza del secondo motivo di ricorso discende dall’ulteriore regula iuris in base alla quale non è dato all’autore del falso invocare a propria discolpa una pretesa prassi d’ufficio, ove difforme da legge, neppure sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato (v. Cass. 17 novembre 1998 n. 2487/99; Cass. 12 dicembre 2000 n. 6900/01): ciò in quanto, nei reati di falso, ai fini del dolo generico è sufficiente la sola coscienza e volontà dell’alterazione del vero, indipendentemente dallo scopo che l’agente si sia proposto.

Carente di pregio è anche la considerazione conclusiva, con cui la ricorrente sostiene la rilevanza meramente interna dell’atto costituito dal cartellino ambulatoriale. Trattasi, invero, di atto finalizzato a documentare l’attività svolta dal medico ospedaliero – come tale pubblico ufficiale – e ad attestare fatti caduti sotto la sua percezione: donde la sua qualità di atto pubblico, non contraddetta dall’inserimento in una più complessa sequenza procedimentale.

Da ultimo corre l’obbligo di dar conto dell’infondatezza dell’eccezione di prescrizione, sollevata dal difensore nel corso della discussione orale.

La data della sentenza di primo grado (25 novembre 2008) rende applicabile alla fattispecie, giusta la norma transitoria di cui alla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, la disciplina più favorevole all’imputato fra quella preesistente alla modifica legislativa e quella introdotta dallo ius superveniens. Avuto riguardo alla pena edittale massima di sei anni di reclusione, prevista per tutti i reati ascritti, tale disciplina va individuata in quella dettata dall’art. 157 c.p. nella sua nuova formulazione: in virtù della quale il termine prescrizionale ordinario è di sei anni, prorogabile fino ad un massimo di sette anni e sei mesi in considerazione degli atti interruttivi succedutisi nel corso del processo; ne deriva che, fissata la decorrenza alla data più risalente di consumazione dei reati, cioè al 21 gennaio 2003, e tenuto conto delle cause di sospensione verificatesi durante il giudizio di merito, l’evento estintivo sarebbe dovuto maturare alla data del 20 novembre 2010. Tuttavia, all’udienza davanti a questa Corte Suprema del 4 novembre 2010 è stato chiesto, e concesso, un rinvio per impedimento professionale del difensore comportante – come e-spressamente statuito, fra l’altro, nell’ordinanza emessa in udienza – un’ulteriore sospensione del termine di prescrizione; tale sospensione è durata fino alla data odierna e va computata fino al limite massimo di giorni 60: con la conseguenza per cui il termine finale si è spostato alla data del 19 gennaio 2011, tuttora appartenente al futuro.

Al rigetto del ricorso, che inevitabilmente s’impone per quanto fin qui esposto, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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