Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-01-2011) 02-05-2011, n. 16848

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 15 luglio 2009 la Corte d’Appello di Palermo, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Trapani in composizione monocratica, ha riconosciuto A.A. responsabile del furto di una borsa aggravato da destrezza ai danni di B.G. e di due tentativi di furto parimenti aggravato, l’uno ai danni di I.C. e l’altro ai danni di P.G.; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge, determinata tenendo conto della continuazione fra i predetti reati.

Le prove della colpevolezza dell’ A. sono state ravvisate, innanzi tutto, nella flagranza in cui era stato colto, unitamente al coimputato non ricorrente Bo.Vi., del tentativo di estrarre un giubbotto dall’interno dell’autocarro di P.G. parcheggiato in strada; nel riconoscimento operato da I.C. in ordine al tentativo, attuato nei suoi confronti, di estrarre la borsa poggiata su un sedile dell’autovettura da lei condotta;

nell’analogo riconoscimento da parte di B.G., che era stata derubata alcuni giorni prima con le stesse modalità.

Ha proposto ricorso per cassazione l’ A., per il tramite del difensore, affidandolo a un solo motivo. Con esso denuncia carenza motivazionale in ordine alla valutazione delle prove ed, in particolare, alla contestata attendibilità dei riconoscimenti operati dalle persone offese.

Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

Come si è già ricordato in narrativa, l’individuazione dell’ A. quale responsabile del tentativo di furto ai danni di P.G. è derivata dallo stato di flagranza nel quale egli era stato colto, quando le forze dell’ordine lo avevano sorpreso nell’atto di prelevare un giubbotto, con l’aiuto di un complice, dall’abitacolo di un autocarro parcheggiato nella pubblica via. In ordine alla prova così formatasi a suo carico il ricorso è del tutto silente, per cui la contestazione circa la responsabilità si riduce a una generica – e manifestamente infondata – censura di carenza motivazionale.

In ordine alle restanti imputazioni, il ricorso si basa su motivi non consentiti – in quanto volti a sollecitare un riesame del merito – là dove s’indirizza a contestare la capacità dimostrativa delle risultanze probatorie.

La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a riconoscere piena attendibilità alle dichiarazioni rese da I.C.; a tal fine ha rilevato l’esistenza di molteplici riscontri, derivanti non soltanto dalle deposizioni dei testi che avevano assistito alla fase di fuga degli autori del tentato furto a suo danno, ma anche dall’annotazione di servizio dell’appuntato F. e dalla convergenza di numerosi dettagli dell’abbigliamento dell’ A., rispetto a quelli indossati dall’autore dell’illecito; ha osservato, altresì, che l’indubbia responsabilità dell’imputato in ordine a quel reato fungeva da riscontro al narrato di B.G. in ordine al furto da questa subito pochi giorni prima, con le stesse modalità operative e con l’utilizzo di un ciclomotore rispondente alla medesima descrizione; ha rimarcato, infine, che la prova scaturita da tali emergenze ha trovato conforto nei riconoscimenti fotografici, in seguito confermati da formale ricognizione di persona in sede di incidente probatorio.

Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il suo tentativo di screditare le risultanze testè evidenziate, enfatizzandone talune discrasie, si risolve nella prospettazione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Al riguardo non sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. 15 marzo 2006 n. 10951); e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass. 22 marzo 2006 n. 12634).

Il ricorso contiene altresì un generico invito a verificare l’eventuale prescrizione dei reati di cui si tratta. Sotto tale profilo ne va rilevata la manifesta infondatezza, appartenendo tuttora al futuro la scadenza del termine prescrizionale massimo – tenuto conto degli atti interruttivi – di sette anni e sei mesi dall’epoca dei fatti, il più risalente dei quali si colloca al giorno 8 aprile 2005.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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