Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-01-2011) 02-05-2011, n. 16846

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 24 settembre 2009 la Corte d’Assise d’Appello di Genova, in ciò confermando la decisione assunta dalla Corte d’Assise di Savona, ha riconosciuto I.P. responsabile del delitto di omicidio preterintenzionale ai danni di G.F.; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge (peraltro ridimensionata nella sua entità, malgrado la riconosciuta aggravante dei futili motivi) e al risarcimento dei danni in favore dei congiunti della vittima, costituitisi parti civili.

Secondo la ricostruzione del fatto operata dal giudice di merito l’imputato, irritato per una manovra di guida pericolosa posta in essere dal G. in autostrada, lo aveva aggredito con pugni mentre costui ancora si trovava all’interno della propria vettura; in conseguenza del fatto, e dello shock emotivo derivatone, dopo poche ore la vittima era stata colta da infarto ed era deceduta.

Ha proposto ricorso per cassazione lo I., per il tramite del difensore, affidandolo a cinque motivi.

Col primo motivo il ricorrente deduce la mancata acquisizione di una prova decisiva, che indica nell’espletamento di una perizia medico- legale volta a verificare la sussistenza del nesso causale fra l’episodio avvenuto in autostrada e la morte del G., già sofferente di una grave cardiopatia.

Col secondo motivo impugna il giudizio di sussistenza del predetto nesso causale, espresso dal giudice di merito.

Col terzo motivo contrasta l’esattezza giuridica del principio giurisprudenziale, applicato dalla Corte territoriale, che ricollega l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale alla sola volontà di percuotere o di ledere e non anche alla prevedibilità dell’evento letale, elevando sospetto di illegittimità costituzionale della norma, se così interpretata.

Col quarto motivo nega la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1.

Col quinto motivo si duole della disposta provvisionale in favore delle parti civili, nella dedotta carenza dei presupposti di legge.
Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Il primo motivo si colloca anzi in area di inammissibilità, in quanto estraneo al novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p..

La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha ripetutamente enunciato il principio, che va qui ribadito, a tenore del quale non è sindacabile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), il diniego dell’espletamento di una perizia; trattasi, infatti, di atto istruttorio di carattere "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, che non può dunque farsi rientrare nel concetto di "prova decisiva" (Cass. 22 gennaio 2007 n. 14130; Cass. 5 dicembre 2003 n. 4981/04). Neppure può ipotizzarsi una censurabilità sotto il profilo del vizio di motivazione, avendo la Corte d’Assise d’Appello ben precisato le ragioni per cui riteneva superfluo un accertamento peritale, indicandole nel carattere ripetitivo che tale atto istruttorio avrebbe assunto, essendosi già provveduto alle relative indagini tecniche ad opera dei consulenti del pubblico ministero;

costoro – ha precisato quel collegio – avevano esaminato tutte le risultanze cliniche nel pieno contraddicono col consulente allora incaricato dalla difesa, il quale nulla aveva eccepito in ordine alla correttezza della metodologia seguita: donde l’inutilità degli approfondimenti suggeriti dal consulente attuale della difesa, volti all’espletamento di accertamenti non decisivi – anche a motivo del loro carattere esplorativo – circa lo stile di vita anteatto della vittima dell’evento letale.

Ai limiti dell’ammissibilità si pone il complesso delle censure illustrate col secondo motivo, indirizzate a contrastare – con l’apporto di argomentazioni prevalentemente orientate al merito – il giudizio di adeguatezza causale fra l’aggressione subita dalla vittima ad opera dallo I. e l’infarto seguitone: giudizio formulato dai consulenti del pubblico ministero, fatto proprio dal giudice di primo grado e confermato da quello di appello. Corre l’obbligo, qui, di rimarcare che la prova del nesso eziologico fra l’azione e l’evento, assunta nella sentenza impugnata a presupposto del giudizio di colpevolezza, ha raggiunto nel motivato convincimento dei giudici di merito un così alto grado di probabilità logica, da tradursi in vera e propria certezza.

Il controllo di legittimità attuabile in argomento è quello che attiene alla corretta applicazione dei principi canonizzati negli artt. 40 e 41 c.p.; e sotto tale profilo la sentenza impugnata resiste alle critiche mossele, avendo la Corte territoriale accertato, per un verso, la sussistenza di un adeguato rapporto causale fra l’azione dell’imputato e la morte del soggetto passivo, in virtù dell’intercorso shock emotivo che ha dato innesco all’infarto; e considerato, per altro verso, che la patologia cardiaca di cui già soffriva il G. non è valsa ad escludere il nesso eziologico, in quanto preesistente; mentre il fattore sopravvenuto, costituito dall’insulto cardiaco indotto dallo stato di agitazione e spavento, è derivato direttamente dall’aggressione subita e non ha dunque dato corpo a una serie causale autonoma.

A confutazione del terzo motivo corre l’obbligo di ricordare che, secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte Suprema, ad integrare l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 584 c.p. si richiede soltanto la volontarietà dell’azione di percosse o di lesioni, sicchè per l’affermazione di responsabilità non è richiesta alcuna indagine sulla prevedibilità dell’evento letale (Cass. 8 marzo 2006 n. 13673; v. anche Cass. 16 marzo 2010 n. 16285).

Il sospetto di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice – se così interpretata – adombrato dal ricorrente è manifestamente infondato. Nella motivazione della sentenza n. 13673 in data 8 marzo 2006, or ora citata, è illustrato con estrema chiarezza come la Corte Costituzionale – sulla cui giurisprudenza ambisce a fondarsi la questione sollevata dal ricorrente – abbia affermato nella sentenza n. 364 del 1988 che l’art. 27 Cost., nel propugnare il principio di responsabilità personale, esclude quella per fatto di terzi; mentre nell’ordinanza n. 152 del 1984 è precisato che la norma superprimaria invocata non reca tassativo divieto di responsabilità oggettiva. Quanto alla problematica riguardante nello specifico il delitto di omicidio preterintenzionale, è l’insieme degli elementi costitutivi di ciascun reato a significarne la ragione di incriminazione e il metro di punibilità: onde spetta a questa Corte Suprema, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, affermare che nel caso non entra minimamente in gioco la responsabilità oggettiva, nè la colpa, ma solo il dolo di evento minore, che assorbe la prevedibilità dell’evento omogeneo più grave.

In ordine al quarto motivo corre l’obbligo di richiamarsi alla costante giurisprudenza di legittimità, affermativa del principio secondo cui "la circostanza aggravante dei motivi futili sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravita del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale" (così, da ultimo, Cass. 13 ottobre 2010 n. 39261; v anche Cass. 8 maggio 2009 n. 29377; Cass. 22 maggio 2008 n. 24683). La situazione descritta trova preciso riscontro nel caso di specie, non potendosi ravvisare alcuna proporzionalità fra l’esecuzione di una, sia pur imprudente e pericolosa, manovra veicolare e la violenta aggressione ai danni del conducente antagonista, nella quale si ravvisa piuttosto la manifestazione di una riprovevole propensione a risolvere con lo scontro fisico un insignificante motivo di contrasto.

Inammissibile, infine, è il quinto motivo, facente perno su un vizio non denunciabile in questa sede. In proposito merita di essere richiamato il principio, anch’esso ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (così Cass. 17 gennaio 2007 n. 5001; v. anche la più recente Cass. 23 giugno 2010 n. 34791).

Al rigetto del ricorso, che inevitabilmente s’impone per quanto fin qui esposto, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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