Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-05-2011, n. 2618 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 4638 del 2004, il Comune di Terlizzi propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione terza, n. 900 del 26 febbraio 2004 con la quale è stato respinto il ricorso proposto dallo stesso Comune contro M. S. per l’accertamento del diritto del Comune di Terlizzi a vedersi corrispondere dal sig. M. S. i contributi di urbanizzazione relativi alla concessione edilizia n. 44/75, rilasciata dallo stesso Comune in data 23.5.80, nonché per la condanna del resistente al pagamento in favore del Comune di Terlizzi dei predetti contributi di urbanizzazione e degli interessi maturati fino al 28.2.03, pari alla complessiva somma di Euro 60.204,86.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, il Comune ricorrente aveva premesso di aver rilasciato, nel maggio del 1980, al sig. S. la concessione edilizia n.44/75 per la realizzazione di una palazzina destinata a civile abitazione, prevedendo, alle scadenze del 30.11.80, 30.5.81 e 30.11.81, il pagamento rispettivamente della 2°, 3° e 4° rata dei contributi per opere di urbanizzazione primaria, opere di urbanizzazione secondaria e costo di costruzione, nonché il versamento (70%) costo aree secondarie prima del rilascio del certificato di abitabilità; nel medesimo atto era previsto che "se entro i termini stabiliti non sarà provveduto ai versamenti sopra citati, si applicheranno le sanzioni amministrative previste dall’art. 15 della L. 10/77, nonché alla revoca della concessione".

A seguito del mancato versamento delle somme citate il Comune con nota prot. n. 2 del 3.1.84 applicava al sig. S. la sanzione amministrativa ex art. 15 L.10/77 e calcolava analiticamente il debito maturato dallo stesso.

Detta nota veniva impugnata avanti a questo Tribunale che con sentenza n. 694/95 dichiarava perento il ricorso.

Con provvedimento n. 7562 reg. dell’11.4.85 notificato il 2.5.85 il Comune ingiungeva ai sensi dell’art. 15 L. 10/77 e dell’art. 2 del R. D. 639/1910 allo S. "il pagamento dell’importo di Lire55.273.478 nel termine di trenta giorni dalla data di notifica della presente ingiunzione sotto pena degli atti esecutivi previsti dalla legge. La presente ingiunzione vistata dal pretore costituisce titolo esecutivo"; avvisava inoltre che "l’esercizio dell’azione dinanzi all’Autorità Giudiziaria non sospende la esecuzione forzata, salvo che l’Autorità Giudiziaria stessa disponga diversamente".

Avverso detto atto lo S. proponeva citazione in opposizione avanti al Tribunale Civile di Trani notificata l’1.6.85, decisa con sentenza del 3.3.92 con cui il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 16 della L.10/77; decisione confermata in appello con sentenza depositata il 14.3.96.

Successivamente con atto notificato il 28.5.97 il Comune di Terlizzi conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Trani il sig. S. per la condanna al pagamento della somma complessiva di Lire105.284.617 oltre agli ulteriori interessi; il Tribunale con sentenza depositata il 3.4.2002 dichiarava nuovamente il proprio difetto di giurisdizione.

Quindi con ricorso notificato l’1.4.03 e depositato il 29.4.03 il Comune proponeva davanti a questo Tribunale domanda di accertamento e di condanna al pagamento dei contributi di urbanizzazione oltre agli interessi nei confronti del sig. S..

Con ricorso incidentale e atto di costituzione notificato il 20.5.03 e depositato il 28.5.03 si costituiva in giudizio il sig. S., il quale in via preliminare eccepiva l’irricevibilità, l’improcedibilità e l’inammissibilità della domanda per l’avvenuto decorso del termine prescrizionale e per contrarietà al principio del ne bis in idem; nel merito deduceva l’infondatezza del ricorso in quanto le somme richieste sono non dovute perché il Comune avrebbe dovuto rideterminarle in base alle disposizioni di cui agli articoli 20 e 21 della L. R. 6/79 come modificati dalla L. R. 66/79; in via riconvenzionale, premesso di avere sostenuto i costi di opere di elettrificazione a carico del Comune per Lire29.915.000, chiedeva il rimborso della somma versata in eccedenza rispetto a quella dovuta, da determinarsi a mezzo C. T. U..

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondata la preliminare eccezione di prescrizione, respingendo il ricorso.

Contestando le statuizioni del primo giudice, il Comune appellante evidenzia l’erroneità della sentenza, sottolineando come la ricostruzione operata sia in fatto ed in diritto non condivisibile.

Nel giudizio di appello, si è costituito M. S., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso, e proponendo ricorso incidentale.

Alla pubblica udienza del giorno 1 febbraio 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
Motivi della decisione

1. – L’appello, nella parte relativa all’eccepita avvenuta prescrizione del diritto, è fondato e merita accoglimento.

2. – Occorre, infatti, evidenziare, che l’interruzione del fatto prescrizionale, e la successiva sospensione per tutta la durata del processo, opera anche in relazione a domande rivolte ad autorità giudiziaria in concreto priva di giurisdizione. Infatti, per l’interruzione della prescrizione (ed ai fini della sospensione del corso della stessa per tutta la durata del processo) rileva esclusivamente che la parte abbia inteso chiedere tutela del proprio diritto, mentre è del tutto ininfluente che il giudice adito in prima battuta difetti del potere di apprestargliela (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 2004, n. 7537; nella giurisprudenza civile, Cass. civ., 28 maggio 1975, n. 2182; id. 30 marzo 1987, n. 2781; id., 14 novembre 2002, n. 16032).

Pertanto, nella fattispecie in esame, nel computo del calcolo prescrizionale deve essere tenuta in conto anche la durata dei diversi processi incardinati davanti al giudice civile. In relazione a questi, va precisato che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, deve considerarsi idoneo ad interrompere il termine prescrizionale anche il giudizio in opposizione proposto dal debitore, iniziato in data 1 giugno 1985 e concluso con la sentenza definitiva in grado di appello depositata il 14 marzo 1996.

Infatti, deve ricordarsi che il precetto, siccome atto non diretto all’instaurazione di un giudizio né del processo esecutivo, interrompe la prescrizione senza effetti permanenti, ed il carattere solo istantaneo dell’efficacia interruttiva sussiste anche nel caso in cui, dopo la sua notificazione, l’intimato abbia proposto opposizione. Tuttavia, se il creditore opposto si costituisce formulando una domanda comunque tendente all’affermazione del proprio diritto di procedere all’esecuzione (ed in tale categoria va compresa certamente anche la mera richiesta di rigetto dell’opposizione) compie un’attività processuale rientrante nella fattispecie astratta prevista dal comma 2 dell’art. 2943 c.c., sicché, ai sensi del comma 2 dell’art. 2945 c.c., la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (Cassazione civile, sez. III, 29 marzo 2007, n. 7737).

Pertanto, la prescrizione decennale del diritto a conseguire il pagamento del contributo commisurato al costo di costruzione, insieme agli oneri di urbanizzazione, decorrente dal giorno del rilascio della concessione e avente un termine prescrizionale decennale (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, 13 giugno 2003, n. 3332; Consiglio di Stato, sez. IV, 16 gennaio 2009, n. 216), risulta essere stato interrotto e sospeso sia in relazione alla sopracitata iniziativa del debitore (per un totale di giorni 3939), sia successivamente per merito dell’azione proposta dal Comune (per un totale di giorni 1771). Lo spirare del termine prescrizionale veniva quindi spostato al 9 gennaio 2006, data in cui risulta già incardinato il presente giudizio.

La prescrizione del diritto non può quindi ritenersi compiuta ed in questo senso deve essere accolto l’appello proposto dal Comune di Terlizzi.

3. – Valutata l’erroneità della sentenza di primo grado in merito all’esistenza del fatto estintivo del diritto, la Sezione ritiene di dover privilegiare, nella disamina delle questioni ulteriori, la censura preliminare, contenuta nell’appello incidentale, di inammissibilità della domanda proposta in prime cure. Afferma l’appellato che l’azione si caratterizza per la sua sostanziale inutilità, essendo tesa a conseguire un titolo esecutivo, dato dalla sentenza, per avendo il Comune già conseguito un tale strumento giuridico, tramite l’ordinanza ed ingiunzione di pagamento n. 7562, vidimata dal pretore e resa esecutiva in data 13 aprile 1985.

3.1. – La doglianza va condivisa.

La fattispecie qui in esame presenta una singolarità, data dalla circostanza che il Comune, al fine di conseguire il risultato utile del pagamento, ha la possibilità di attingere a moduli procedimentali autoritativi, e conseguire l’incasso delle somme dovute, senza necessariamente avvalersi della tutela giurisdizionale. Si verte in una situazione in cui è possibile l’esercizio in via di autotutela delle proprie ragioni, ossia attraverso i meccanismi di riscossione coattiva per i contributi dovuti per oneri di urbanizzazione. In particolare, il Comune ha anche fatto uso della procedura tramite mezzo di ingiunzione, di cui al R.D. 14 aprile 1910 n. 639 "Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato", ritenuta pacificamente applicabile anche alla riscossione degli oneri di urbanizzazione (in termini, Consiglio di Stato, sez. V, 28 gennaio 1997 n. 79), salvo poi decidersi per l’azione di accertamento in sede giurisdizionale (si noti che, ratione temporis, non è applicabile alla fattispecie la sopravvenuta disciplina di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 380 del 2001, che in modo limpido prevede che "I contributi, le sanzioni e le spese di cui ai titoli II e IV della parte I del presente testo unico sono riscossi secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate dell’ente procedente").

Qui dunque la pubblica amministrazione ha la possibilità di valersi, da un lato, di strumenti specifici attribuiti in virtù della potestà pubblica, e dall’altro, degli stessi sistemi di tutela del privato, che transitano necessariamente attraverso la verifica giurisdizionale della pretesa. E’ necessario quindi procedere ad una valutazione del rapporto esistente tra le due opzioni operative, verificando quali siano i limiti di fungibilità tra le diverse procedure e se le eventuali diversità riverberino sul potere cognitivo del giudice adito.

Rileva la Sezione che non possa sostenersi una generale alternatività dei mezzi a disposizione della pubblica amministrazione.

In primo luogo, occorre evidenziare in generale la maggiore incisività dello scrutinio del giudice amministrativo nei casi di esercizio del potere, rispetto ai rapporti connotati da profili di pariteticità, quanto meno sotto il profilo della valutazione dell’effettiva funzionalizzazione dell’attività, che implica, tra l’altro, anche la considerazione dei motivi che spingono l’azione della Pubblica amministrazione. Il che permette di ritenere che l’eventuale preferenza per il modulo di tutela contro l’attività autoritativa risponda anche ad esigenze di tutela di maggiore incisività. La funzionalizzazione dell’attività pubblica permette la valorizzazione dei motivi del comportamento della Pubblica amministrazione ed il sindacato esterno sulla globalità dell’intervento, con uno schema di maggiore penetrazione nelle dinamiche decisionali dell’ente pubblico, venendo quindi a svolgere un compito che non necessariamente importa una diminuzione di tutela del privato. L’eventuale attribuzione di un doppio ordine di garanzie in favore della pubblica amministrazione, la quale potrebbe avvalersi dell’uno o dell’altro sistema in base ad una propria arbitraria decisione, non aumenterebbe quindi le garanzie del soggetto amministrato ma le diminuirebbe, permettendo alla parte pubblica di scegliere il modulo in relazione alla propria convenienza ed evitando eventualmente profili di illegittimità o, come potrebbero emergere nel caso, di decadenza connessi al canale pubblicistico.

In secondo luogo, va considerato il valore cogente della normativa. In particolare, va sottolineato come, ove il legislatore abbia esplicitamente previsto l’utilizzo di un determinato procedimento, evidenziandone le garanzie connaturate, l’impiego di strumenti alternativi determini la messa in ombra della scelta medesima. Ciò appare in contrasto con le regole generali di interpretazione, atteso che la procedura di carattere speciale non appare eludibile in favore di quella generale, stante l’ordinario rapporto tra lex generalis e lex specialis di cui all’art. 15 delle disposizioni preliminari al Codice civile. L’attribuzione di un determinato potere alla parte pubblica e la contemporanea attribuzione di correlative posizioni soggettive ai privati non è senza esito, ma ne impone l’utilizzo in quanto, opinando diversamente, si renderebbe vana la predisposizione del modulo procedimentale da parte del legislatore.

Dalla serie di motivi sopra tratteggiati, emerge come non possa essere consentito alla pubblica amministrazione, in presenza di un potere pubblicistico, di agire anche ed indifferentemente alla stregua dell’operatore di diritto privato, quando ciò possa portare all’elisione di ulteriori garanzie procedimentali e pubblicistiche. In questo senso, la presenza di una potestà per il raggiungimento di un determinato risultato impone alla parte pubblica l’utilizzo del modulo autoritativo attribuitole e renda impossibile il ricorso alle ordinarie facoltà riservate ai privati (in merito all’inesistenza di un potere di azione né in via principale, né in via riconvenzionale, per l’accertamento di propri diritti nei confronti del pubblico dipendente, in presenza di poteri autoritativi di realizzazione dei propri interessi sia in via provvedimentale, sia di autotutela, Consiglio di Stato, sez. VI, 10 gennaio 2005, n. 8; sul principio enunciato, Consiglio di Stato, sez. VI, 23 dicembre 1987 n. 991; in termini, T.A.R. Lecce, 8 maggio 2003 n. 2984).

Va quindi accolta la censura contenuta nell’appello incidentale in merito all’inammissibilità del ricorso di primo grado.

4. – Entrambi gli appelli, nei limiti di quanto indicato, vanno accolti. La reciproca soccombenza impone la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie l’appello principale nel ricorso n. 4638 del 2004 e l’appello incidentale contestualmente proposto, nei limiti di quanto indicato in motivazione;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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