Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-04-2011) 03-05-2011, n. 17047 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 11/3/2008 il G.U.P. del Tribunale di Torino dichiarava M.G. colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1-2-3 (capo 1) e art. 81 cpv c.p. e art. 73, comma 1 D.P.R. cit. (capo 10) e lo condannava alla pena di anni dieci di reclusione, oltre le pene accessorie di legge.

Si contestava all’imputato di far parte di un sodalizio criminoso, composto da persone in numero superiore a dieci, dediti all’uso di sostanze stupefacenti, al fine di commettere una pluralità di reati, riferibili all’acquisto, al trasporto, alla detenzione e al commercio di quantitativi di cocaina, nel quale aveva assunto il ruolo di fornitore dello stupefacente, sia direttamente consegnando lo stupefacente ai correi, sia mettendo in contatto i correi ed in particolare M.P., suo zio, e T.W., con persone in grado di procurare la droga, nonchè di avere con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso procurato al T. quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente del tipo cocaina sia consegnandoli direttamente, sia facendo da tramite con i fornitori di stanza in Milano e in Novi Ligure, sia mettendo in contatto il T. con il fornitore R.B., in modo che il primo ricevesse dal secondo quantitativi rilevanti della stessa sostanza in sei occasioni, ed inoltre procurato a M.P. cocaina in notevole quantità tramite la sua intermediazione in due occasioni.

Il giudizio faceva seguito all’annullamento con trasmissione degli atti al primo giudice della sentenza pronunciata dal G.U.P. in data 7/10/2004 limitatamente alla posizione dell’attuale imputato per un vizio procedurale, mentre la medesima sentenza, relativamente al reato associativo e ai reati satelliti, proseguiva il suo corso, venendo integralmente confermata con sentenza in data 21/12/05 della Corte di Appello di Torino, divenuta irrevocabile a seguito del rigetto dei ricorsi da parte della Corte di Cassazione.

A seguito di gravame dell’imputato, la Corte di appello di Torino in parziale riforma della sentenza impugnata, esclusa l’aggravante di cui al D.P.R. cit., art. 74, comma 3, seconda parte rideterminava la pena in anni nove di reclusione, confermando nel resto.

Contro tale decisione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale a sostegno della richiesta di annullamento articola vari motivi. Con il primo motivo denuncia la violazione della legge penale in riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e sostiene che i giudici di merito, nel ritenere integrata la fattispecie associativa, non avevano affrontato e risolto il problema della sussistenza del requisito dell’organizzazione, anche solo rudimentale, che pure costituisce un elemento costitutivo del reato in esame, ed avevano anzi ritenuto non realizzata la circostanza fattuale di una predisposizione di mezzi, risorse o strutture particolari finalizzata alla realizzazione del programma criminoso.

Con il secondo motivo deduce il difetto di motivazione in riferimento alla conferma del giudizio di responsabilità per il reato satellite di cui al capo 10), concernente il concorso dell’imputato con il T. negli acquisti di cocaina per complessivi kg. 4,5, prelevati materialmente da quest’ultimo ad Inveruno da R. B. in sei occasioni, e sostiene la illogicità del percorso argomentativo della sentenza impugnata, che non aveva offerto la prova sia della consapevolezza in capo all’imputato del perfezionarsi di ogni specifico accordo di fornitura successiva alla prima avvenuta nel giugno 2001, sia del contributo causale del predetto alla conclusione degli accordi ulteriori e successivi al primo, tenuto conto che l’imputato era stato detenuto dal 22/5 al 23/11/2001.

Con il terzo motivo lamenta la violazione della legge penale in riferimento all’art. 133 c.p. e la carenza di motivazione sulla determinazione della pena in ordine ai reati dedotti in continuazione e sostiene che mentre per le almeno nove ipotesi di reato fine contestato al capo 10) era stato operato un aumento complessivo di anni due e mesi dieci di reclusione, per l’unica fattispecie di reato, giudicato a parte con sentenza della medesima corte di appello in data 10/10/03, entrato anch’esso in continuazione, nonostante l’omogeneità per natura e contesto fattuale e gravità con quelli di cui al capo 10) era stato operato un aumento di ben anni uno e mesi dieci di reclusione.

La censura di cui al primo motivo di ricorso, al limite dell’ammissibilità, non ha fondamento e va pertanto rigettato. Ed invero il ricorrente si è limitato a reiterare la doglianza già posta a sostegno dell’appello, sulla quale ha già risposto il giudice del gravame, laddove, nel ritenere integrato il reato associativo, ha richiamato la continuità dei contatti reciproci tra gli associati, la loro intesa, prolungatasi per un periodo di tempo non breve, la presenza di un impianto operativo autonomo del gruppo degli associati rispetto al nucleo familiare del M., la presenza di una precisa ripartizione di ruoli tra gli associati, nonchè la ricorrenza del requisito dell’"affectio societatis", dedotta da una serie di elementi ritenuti concludenti e dettagliatamente indicati, tra i quali in primo piano il contenuto delle numerose intercettazioni telefoniche e ambientali e le ammissioni di alcuni correi, adeguandosi ai principi e ai canoni interpretativi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia.

Quanto al requisito dell’organizzazione e della predisposizione di mezzi specifici alla realizzazione dei fini criminosi, non ha mancato la corte territoriale di rispondere alla censura mossa al riguardo, osservando come fosse irrilevante a tal fine che il gruppo M. non avesse destinato beni di uso comune, quali abitazioni, autovetture o utenze telefoniche, al programma criminoso, ritenendo sufficiente il ricorso ai propri beni anche per gli scopi dell’organizzazione e correttamente richiamando l’orientamento di questa Corte a mente del quale a qualificare il reato associativo non è necessaria una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche e di imponenti strumenti operativi, ma è sufficiente anche l’esistenza di una struttura rudimentale (ex multis Cass. sez. 6^ 13/2-17/6/09 n. 25454 Rv.

244520).

Fondato è invece il secondo motivo, che assorbe in sè anche il terzo.

Si tratta invero delle sei forniture acquistate dal T.W. ad (OMISSIS) dal fornitore R.B., dopo che l’imputato aveva messo in contatto i due e garantito l’affidabilità del primo nei confronti del secondo nel periodo tra il giugno 2001 e il Febbraio 2002, e ammontanti nel loro complesso a 4,5 kg. di cocaina, di cui ad una parte del capo 10), per la quale la corte distrettuale ha ritenuto acquisita la prova dal contenuto delle conversazioni ambientali intercorse tra l’imputato e il fratello M.P. il 22 e il 24 Aprile 2002. Alla obiezione difensiva, mossa nei motivi di appello, secondo la quale mancava la prova della consapevolezza in capo all’imputato del perfezionarsi di ogni singolo accordo di fornitura, successivo al primo ovvero del contributo causale del M.G. al buon esito delle forniture successive, la corte distrettuale ha risposto in modo confuso e sostanzialmente teso a dimostrare che, a seguito dell’avvenuta presentazione del T. al R.B., il secondo era divenuto fornitore ufficiale del primo. Ma tale argomentare non appare corrispondere alla logica, giacchè se è vero che la prima fornitura può costituire l’effetto dell’opera di intermediazione posta in essere nel caso in esame dall’imputato, non altrettanto può dirsi delle forniture successive alla prima, senza dimostrare sia la persistenza dell’opera di collegamento realizzata in origine dall’intermediario, sia l’esistenza di iniziative volte a rinnovare e rinsaldare gli effetti del primo intervento, sia infine la consapevolezza del realizzarsi delle transazioni successive alla prima.

La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino, che nel demandato nuovo giudizio provveda ad eliminare l’evidenziata carenza motivazionale alla stregua della direttiva suindicata.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli episodi di cui ai contatti tra il T. e il B. successivi al primo e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino, Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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