Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 03-05-2011, n. 17206 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4 marzo 2010, la Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza emessa il 10 gennaio 2008 dal G.U.P. del Tribunale di Bari con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, N. D. veniva condannato per il reato di cui all’art. 609 bis c.p., comma 1 e u.c..

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un unico motivo di ricorso deduceva la "violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione al reato di cui all’art. 609 bis c.p. ed all’art. 192 c.p.p." rilevando che l’iter seguito dalla Corte di merito doveva ritenersi manifestamente illogico nella parte in cui veniva analizzato il comportamento della persona offesa dopo i fatti per i quali era accusato.

Aggiungeva, dopo aver descritto gli episodi ritenuti significativi, che erroneamente i giudici erano giunti alla conferma della sentenza appellata attribuendo un’elevata attendibilità alla persona offesa costituitasi parte civile e dando rilevanza al fatto di aver egli esercitato la facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio reso nella fase delle indagini preliminari.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre preliminarmente osservare che il ricorrente è accusato di aver sottoposto a ripetuti toccamenti in varie parti del corpo la persona offesa, presso l’abitazione della quale si era recato dopo che la stessa, avendo acquistato da lui alcuni mobili, aveva riscontrato dei difetti.

Nell’occasione, i palpeggiamenti erano stati accompagnati dall’affermazione che, qualora la parte offesa si fosse dimostrata "carina" nei suoi confronti, non le avrebbe fatto pagare il letto che ella voleva sostituire.

Il ricorso, che pur indicando in premessa anche la violazione di legge si incentra esclusivamente su pretesi vizi di motivazione, propone argomentazioni che la Corte d’Appello indica come già ampiamente trattate e disattese dal giudice di prime cure ed ha nuovamente affrontato in sede di gravame.

Viene in particolare posta in dubbio l’attendibilità della persona offesa asserendo che la Corte territoriale non avrebbe spiegato i motivi per i quali la stessa, subito dopo i fatti, abbia contattato il ricorrente, su suggerimento della madre, chiedendogli di tornare per chiarire la vicenda, anzichè il marito, nè in quale modo detto chiarimento avrebbe dovuto concretarsi.

Inoltre non appariva logica l’affermazione secondo la quale era improbabile che il titolare di un mobilificio si recasse presso un cliente per valutare eventuali difetti, poichè tale onere incombeva proprio su di lui e la veridicità delle affermazioni della persona offesa era inoltre fondata su una serie di massime giurisprudenziali.

Tali argomentazioni, come si è detto, vengono prospettate per la terza volta in questa sede estrapolando dal contesto generale parti della motivazione della sentenza impugnata ed indicandole genericamente come illogiche in quanto non fornirebbero adeguate spiegazioni su determinate circostanze.

Ciò che il ricorrente propone è, in definitiva, una lettura alternativa dei dati processuali già valutati in sede di merito.

Si tratta, tuttavia, di una possibilità che deve ritenersi esclusa in sede di legittimità, poichè il controllo sulla motivazione qui esperibile resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 6 n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6 n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6 n. 23528, Sez. 2 n. 12110, 19 marzo 2009).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fornito puntuale ed adeguata risposta alle doglianze formulate nell’atto di appello senza incorrere in alcun vizio logico.

E’ stata in primo luogo valutata l’attendibilità della persona offesa richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la testimonianza resa, se ritenuta intrinsecamente attendibile costituisce vera e propria fonte di prova sulla quale, anche esclusivamente, può essere fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata (Sez. 4 n. 30422, 10 agosto 2005; Sez. 4 n. 16860, 9 aprile 2004; Sez. 5 n. 6910,1 giugno 1999).

La Corte d’appello evidenzia anche la necessità di una valutazione rigorosa delle dichiarazioni e, sulla base di tali premesse, richiama la precisione e la coerenza del narrato, l’assenza di contraddizioni e la puntualità dei particolari.

I giudici dell’appello evidenziano anche la presenza di riscontri indiretti alle dichiarazioni della donna, rinvenibili nelle dichiarazioni della madre, subito dalla stessa interpellata dopo la violenza e nello stato di agitazione, già riferito dalla madre, riscontrato con certificazione presso il locale nosocomio dopo una visita medica.

Altrettanto puntualmente la sentenza impugnata analizza e disattende le argomentazioni prospettate dal ricorrente circa l’incongruità del comportamento tenuto dalla donna, osservando come sia del tutto plausibile e giustificato che la stessa, su suggerimento della madre, la quale ne ha dato conferma nelle sue dichiarazioni, abbia contattato il ricorrente subito dopo i fatti per chiarire la vicenda senza informare il marito, il quale venne avvisato solo dopo il rifiuto del ricorrente di incontrare nuovamente la p.o..

Coerentemente la Corte territoriale ha ritenuto del tutto plausibile tale comportamento, individuando una logica spiegazione nel fatto che la donna appena molestata sessualmente verosimilmente pensò di rivolgersi alla madre, che meglio avrebbe potuto aiutarla, piuttosto che al marito il quale poteva reagire in modo inconsulto.

Del resto, la decisione impugnata non si limita a tale osservazione, individuando ulteriori elementi di fondatezza della tesi accusatoria anche nel comportamento tenuto dal ricorrente, il quale si è recato da solo presso l’abitazione della vittima, quando l’eventuale verifica dei difetti lamentati sulla mobilia acquistata presupponeva la presenza di altro personale e la scelta processuale, del tutto legittima ma comunque valutabile, di non rispondere all’interrogatorio, rinunciando così a fornire la propria versione dei fatti.

In definitiva, la sentenza impugnata è del tutto immune da censure ed è solidamente supportata da una valutazione complessiva degli elementi fattuali offerti all’attenzione dei giudici di merito priva di contraddizioni e perfettamente coerente nel suo insieme.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare incolpa nella determinazione della causa di inammissibilità".(Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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