Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-04-2011) 03-05-2011, n. 17212

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

avv. Spigarelli Valerio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 24 ottobre 2009, il Gip del Tribunale di Roma, in accoglimento della richiesta del pubblico ministero, ha convalidato il fermo disposto nei confronti di T. e altri e ha contestualmente emesso, nei confronti degli stessi, ordinanza di custodia cautelare in carcere. I reati ipotizzati a carico di T. e degli altri prevenuti erano: "A) delitto di cui agli artt. 110 e 615 c.p. perchè, in concorso tra loro, i primi due quali carabinieri scelti, abusando dei poteri inerenti la loro funzione, in concorso e previo accordo con il maresciallo capo T., si introducevano e si intrattenevano illegalmente nell’appartamento sito in (OMISSIS), in uso a persona individuata come N.; fatto commesso in (OMISSIS); B) delitto di cui agli artt. 110 e 317 c.p. perchè, in concorso tra loro, nei termini e nelle circostanze sopra specificati, abusando della loro qualità, con minaccia di gravi conseguenze, costringevano M.P. a consegnar loro tre assegni dell’importo complessivo di 20.000,00 Euro; C) delitto di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 9, art. 628 c.p., comma 3, n. 1, perchè, in concorso tra loro, nei termini e nelle circostanze sopra specificati, con violazione dei doveri inerenti la funzione loro esercitata, con modalità intimidatorie derivanti dalle circostanze e dalla condotta descritte nei capi precedenti, si impossessavano della somma di Euro 5.000,00, appartenente ad altri; D) delitto di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 9, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6, perchè, in concorso tra loro, nei termini e nelle circostanze sopra indicati, con violazione dei doveri inerenti la funzione loro esercitata, detenevano illegalmente un quantitativo non determinato di cocaina; E) delitto di cui all’art. 110 c.p., art. 615 bis c.p., comma 3, perchè, in concorso tra loro, nei termini e nelle circostanze sopra indicati, con violazione dei doveri inerenti la funzione esercitata, mediante l’uso di strumenti di ripresa audio- video, si procuravano indebitamente immagini attinenti alla vita privata di quanti si trovavano all’interno dell’appartamento citato sub capo A), nel quale si erano abusivamente introdotti".

Su ricorso di T., il Tribunale del riesame di Roma, con ordinanza del 9 novembre 2009, ha annullato il provvedimento custodiale nei suoi confronti, disponendone la liberazione, per mancanza di gravi indizi di colpevolezza.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione – per quanto qui rileva – il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, lamentando che il tribunale del riesame aveva considerato solo parte degli elementi indiziari acquisiti a carico dell’indagato, avendone trascurato altri ugualmente significativi.

Con la sentenza n. 15082 del 2010 (Sez. 4, 24 febbraio 2010, dep. 19 aprile 2010), la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del pubblico ministero, annullando l’ordinanza impugnata in relazione alla posizione di T., con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione.

Con l’ordinanza del 4 novembre 2010 – oggetto del presente giudizio – il Tribunale, preso atto dei principi enunciati dalla Cassazione circa la motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di T., ha confermato, in relazione all’imputazione di cui al capo D), l’originaria ordinanza del GIP, che aveva disposto la custodia cautelare.

2. – Nelle more del procedimento di cui sopra, il pubblico ministero ha chiesto e ottenuto, da parte del GIP del Tribunale di Roma, l’emissione di una nuova ordinanza cautelare a carico di T. per i reati contestati ai capi A), B) e C). In relazione al reato di cui alla lett. D), il GIP ha ritenuto non sussistere gravi indizi di colpevolezza (ordinanza del 29 marzo 2010).

A seguito di appello del pubblico ministero, il Tribunale del riesame ha applicato a T. la custodia cautelare anche in relazione a tale ultimo reato, con ordinanza del 13 luglio 2010.

Con sentenza n. 8779 del 19 gennaio 2011, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del prevenuto contro tale ultima ordinanza, rilevando l’insussistenza di esigenze cautelari attuali e annullando il provvedimento con rinvio al Tribunale sul punto.

3. – Oggetto del presente giudizio è – come già precisato – l’ordinanza del 4 novembre 2010, che conferma, in relazione all’imputazione di cui al capo D) – riferita all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 9, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6 -, l’originaria ordinanza del GIP, che aveva disposto la custodia cautelare.

Ricorre contro tale provvedimento l’indagato, lamentandone, in primo luogo, l’abnormità (o, in subordine, la nullità o la violazione di legge) che consisterebbe nel fatto che il Tribunale avrebbe emesso la misura cautelare per un fatto mai precedentemente contestato in sede di richiesta cautelare dal pubblico ministero. A detta del ricorrente, la contestazione iniziale avrebbe avuto per oggetto una condotta materiale consistente nel portare dello stupefacente nell’abitazione del soggetto noto come N.; mentre la misura cautelare sarebbe stata emanata per la condotta, ontologicamente diversa, dell’essersi appropriati di stupefacente già presente sul posto, perchè introdotto da un terzo, allo scopo di distruggerlo o restituirlo allo spaccio.

Con un secondo motivo di ricorso, si lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione, con riferimento alla condotta inizialmente contestata, di aver portato dello stupefacente presso l’abitazione del soggetto noto come N., sul rilievo che tale condotta sarebbe smentita dalle risultanze processuali.

Con un terzo motivo di ricorso, si lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un accordo criminoso fra T. e gli autori materiali del reato.

Con un quarto motivo di ricorso, si lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione, con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari.

In data 25 marzo 2011, la difesa del ricorrente ha depositato un nuovo motivo d’impugnazione, relativo a un vizio – a suo dire – rilevabile d’ufficio, quale la violazione del principio del ne bis in idem cautelare, perchè il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’impugnazione "quale effetto della preclusione endoprocedimentale occasionata dalla reiterazione dell’azione da parte del pubblico ministero per il medesimo fatto in contestazione".

In pari data, l’indagato personalmente ha depositato una dichiarazione con la quale rileva che, pur essendo già decorsi i termini di durata massima della custodia cautelare, persiste il suo interesse alla decisione del ricorso, perchè ha intenzione di proporre, all’esito del procedimento di merito, domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai sensi degli artt. 314 c.p.p. e seg..
Motivi della decisione

1. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. – Deve preliminarmente essere esaminato il nuovo motivo proposto con la memoria del 25 marzo 2011, secondo cui vi sarebbero nel caso in esame due provvedimenti cautelari emessi per lo stesso titolo e con lo stesso corredo probatorio, con la conseguenza che il primo di tali provvedimenti dovrebbe essere annullato per violazione del principio del ne bis in idem cautelare. Tale conseguenza deriverebbe – per il ricorrente – dalla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 7931/2011 del 16 dicembre 2010, pronunciata nella stessa vicenda, seppure con riferimento a reati diversi da quello per il quale qui si procede, secondo cui la seconda richiesta di misura cautelare, presentata dal pubblico ministero nelle more del procedimento di gravame contro la prima misura, non incontra preclusioni processuali, perchè fondata su elementi nuovi.

Deriverebbe, inoltre – sempre per il ricorrente – dal passo della stessa sentenza nel quale si richiama – ancora in relazione a reati di versi da quello per cui qui si procede – l’ordinanza qui censurata, nella parte in cui essa ha dichiarato l’inammissibilità del riesame per sopravvenuta carenza di interesse in ragione della (all’epoca) attuale condizione di restrizione del prevenuto per gli stessi reati in forza della seconda ordinanza.

Entrambi gli assunti del ricorrente devono essere disattesi.

Va innanzi tutto rilevato che la sentenza delle Sezioni unite n. 7931/2011 ha effettivamente enunciato il principio richiamato dal ricorrente, laddove ha affermato che: "Qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione su una impugnazione incidentale de libertate, intenda utilizzare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi probatori nuovi, preesistenti o sopravvenuti, può scegliere se riversarli nel procedimento impugnatorio o porli a base di una nuova richiesta di misura cautelare personale, ma la scelta così operata gli preclude di coltivare l’altra iniziativa cautelare". Secondo tale orientamento, dunque, il principio del ne bis in idem cautelare opera con l’effetto di precludere l’originaria iniziativa cautelare, a condizione che ricorra il presupposto di fatto dell’esistenza di un novum probatorio utilizzato dal pubblico ministero.

Dalla prospettazione del ricorrente emerge che i due provvedimenti cautelari in questione, quello per cui si procede e quello successivo, sono stati pronunciati per lo stesso titolo (il reato di cui al capo D sopra riportato) e sulla base dello stesso corredo probatorio. Lo stesso ricorrente adombra, poi, che, in realtà, gli elementi di prova portati originariamente a sostegno della prima richiesta cautelare erano stati integrati nel corso del procedimento di gravame con quelli, più ampi, portati a sostegno della seconda.

Non specifica, però, di quali elementi si tratti in concreto, nè in che misura essi siano più ampi, nè come essi siano specificamente riferibili al reato de quo.

Tale lacuna argomentativa impedisce a questa Corte di verificare se nel caso concreto si sia verificato il presupposto per l’applicazione del principio di diritto sopra enunciato, con la conseguenza che l’originaria iniziativa cautelare del pubblico ministero non può dirsi preclusa.

Non osta a tale conclusione il rilievo, evidenziato dal ricorrente, che l’ordinanza qui censurata abbia dichiarato – quanto a reati diversi da quello qui in esame – l’inammissibilità del riesame per sopravvenuta carenza di interesse in ragione della (all’epoca) attuale condizione di restrizione del prevenuto per gli stessi reati in forza della seconda ordinanza. Neanche con riferimento a tale rilievo, infatti, il ricorrente ha chiarito se vi sia e quale sia il quid novi probatorio specificamente riferibile al reato per il quale si procede nel caso in esame.

Ne deriva il rigetto del motivo di ricorso sopra riportato.

3. – Quanto al motivo di impugnazione relativo alla pretesa abnormità del provvedimento impugnato – configurata, in subordine, come nullità o violazione di legge – che consisterebbe nel fatto che il Tribunale avrebbe emesso la misura cautelare per una fattispecie mai precedentemente contestata in sede di richiesta cautelare dal pubblico ministero, va integralmente richiamato quanto già affermato nella sentenza di questa Corte n. 8779 del 19 gennaio 2011, avente ad oggetto la citata ordinanza del GIP del Tribunale di Roma del 29 marzo 2010.

In tale sentenza si rileva che, in realtà, la contestazione specifica mossa inizialmente ai ricorrenti, e fatta propria dal giudice, è quella di avere detenuto e gestito la sostanza stupefacente all’interno dell’alloggio ove si trovava M. e di averlo fatto dopo avere introdotto la sostanza nell’alloggio avendola previamente acquisita. In un secondo momento il Tribunale ha optato per una provenienza della droga probabilmente diversa e ritenuto non provato che i ricorrenti abbiano introdotto la sostanza nell’alloggio; ha, peraltro, ritenuto che costoro si siano impossessati della sostanza e ne abbiano fatto un utilizzo finalizzato alla documentazione della sua presenza, per poi disfarsene senza procedere al sequestro. E’ indubbio che, nel corso del segmento temporale che va dall’ingresso nell’alloggio al momento in cui uscirono da esso e quindi dispersero la sostanza, gli indagati abbiano avuto il controllo e la materiale detenzione della stessa, potendone disporre in modo assoluto e, presumibilmente, contro la volontà delle persone presenti nell’alloggio. Si tratta di condotta che, sotto questo profilo, non contrasta con la contestazione cautelare. L’errato rinvio al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, contenuto nella contestazione non costituisce circostanza che può superare la chiara descrizione in fatto della condotta illecita contenuta nello stesso capo D) della rubrica: gli indagati, infatti, secondo la contestazione "detenevano illegalmente" (e non "trasportavano" o altro) "un quantitativo non esattamente determinato di cocaina; fatto commesso nelle stesse circostanze sub A)". Ne deriva che la detenzione illecita della droga resta correttamente contestata anche nella ipotesi che tale condotta non sia iniziata prima dell’ingresso nell’alloggio e proseguita durante il trasporto inizialmente ipotizzato, ma si sia realizzata esclusivamente durante il periodo di permanenza nell’alloggio stesso.

Non sussiste, pertanto, la lamentata non corrispondenza fra chiesto e pronunciato, con la conseguenza che il primo motivo di ricorso deve essere rigettato.

4. – Analoghe considerazioni valgono a giustificare la dichiarazione di infondatezza del secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione, con riferimento alla condotta inizialmente contestata, di aver portato dello stupefacente presso l’abitazione del soggetto noto come N., sul rilievo che tale condotta sarebbe smentita dalle risultanze processuali.

Infatti, in forza di quanto appena osservato, il Tribunale ha legittimamente ricostruito la fattispecie nel senso che gli indagati si sono impossessati della sostanza e ne hanno fatto un utilizzo finalizzato alla realizzazione del video, per poi disfarsene senza procedere al sequestro.

Con riferimento a tale ricostruzione, il provvedimento in esame appare sufficientemente motivato ed esente da vizi, perchè correttamente trae le sue conclusioni da elementi quali i tabulati telefonici delle utenze cellulari degli indagati e le dichiarazioni di persone informate sui fatti.

Il motivo deve, pertanto, essere rigettato.

5. – Il terzo motivo, relativo alla manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un accordo criminoso fra T. e gli autori materiali del reato, è del pari infondato.

Correttamente il Tribunale ha desunto gravi indizi della sussistenza di un concorso morale del prevenuto nel reato materialmente compiuto dagli altri indagati, evidenziando l’univocità in tal senso di elementi quali: a) il collegamento fra la partecipazione attiva di T. ai tentativi di vendere il video girato e l’azione che ha portato alla realizzazione dello stesso video; b) l’esistenza di contatti telefonici tra T. e l’abitazione nella quale il fatto materiale si è svolto; c) il rapporto di colleganza con gli autori materiali del fatto; d) la conoscenza del luogo e della situazione precedente al fatto.

La motivazione dell’ordinanza censurata circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di T. è, dunque, logicamente argomentata e sufficientemente circostanziata, con conseguente rigetto del relativo motivo di ricorso.

6. – Quanto all’ultimo motivo di ricorso, riferito alla motivazione del provvedimento censurato in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, va rilevato che il medesimo è inammissibile.

Lo stesso ricorrente ha, infatti, dichiarato che, essendo già decorsi i termini di durata massima della custodia cautelare, il suo interesse alla decisione del ricorso persiste in relazione ad una eventuale domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione, da proporre ai sensi degli artt. 314 c.p.p. e segg..

Trova perciò applicazione il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui il raccordo fra interesse all’impugnazione e diritto alla riparazione per ingiusta detenzione opera limitatamente alla deduzione dell’insussistenza delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p., con l’esclusione delle esigenze cautelari (ex plurimis, Sez. un., 28 marzo 2006, n. 26795;

Sez. un., n. 7931 del 2010).

Ne consegue, nel caso in esame, la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente.

7. – Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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